Vizi delle opere ediliFonte: Cod. Civ. Articolo 1490
22 Gennaio 2019
Inquadramento
Nella esecuzione di opere edili nell'edificio condominiale, che possono essere dovute sia ad interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria che alla realizzazione di innovazioni, può accadere che la prestazione contrattuale dell'esecutore - quando non risulti resa secondo le regole dell'arte - manifesti inconvenienti che, a seconda della gravità e del rapporto contrattuale che lega il titolare dei diritti sul bene immobile e l'esecutore, assumono diversa connotazione. La principale caratterizzazione, non sempre semplice a fronte della sterminata elaborazione giurisprudenziale sul punto, attiene alla qualificazione dell'inconveniente in funzione della gravità del difetto, distinguendosi, da un lato, i vizi che derivano da una non corretta esecuzione dell'obbligazione contrattuale e limitano la loro rilevanza agli ordinari rimedi contrattuali e, dall'altro, quegli inconvenienti che - pur non compromettendo la stabilità del fabbricato - siano invece idonei a pregiudicarne o menomarne in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità (Cass.civ., sez. II, 16 febbraio 2012, n. 2238), come ad esempio si verifica nel caso di significative infiltrazioni di acqua e di umidità (Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2005, n. 21351) o in quelle ipotesi in cui, pur non essendo grave in sè il difetto, da questo derivino gravi conseguenze (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2000, n. 81). Questi ultimi integrano inadempimento dell'appaltatore cui il legislatore ha connesso una significativa tutela poiché, aldilà delle conseguenze contrattuali fra le parti, finiscono per incidere anche su beni di rilievo collettivo quali la sicurezza degli edifici e l'incolumità, così che le norme a presidio di tali patologie sono innanzitutto volte a garantire la stabilità e la solidità degli edifici e delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata ed a tutelare, soprattutto, l'incolumità personale dei cittadini (Cass. civ., sez. II, 14 agosto 1997, n. 7619). Ne deriva che si tratta di fattispecie che, secondo la prevalente giurisprudenza e dottrina, va ricondotta a responsabilità di natura extracontrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in ordine anche alla legittimazione ad agire.
La presenza di difetti nel fabbricato può conseguire non solo ad interventi sul fabbricato già esistente ma, con grande frequenza, è connessa alla realizzazione del fabbricato stesso ad opera del costruttore. É noto che il condominio sorge, ipso iure, nel momento in cui il costruttore aliena la prima unità immobiliare a terzi (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 2017, n. 5335), sì che da quel momento diviene applicabile, da un lato, la disciplina di cui agli artt. 1117 ss. c.c. e, dall'altro, l'acquirente potrà valersi nei confronti del costruttore venditore della specifica disciplina in tema di appalto (art. 1669 c.c.), in luogo della più restrittiva in tema di vendita (art. 1490 ss. c.c.), secondo una ormai consolidata giurisprudenza (Cass. civ., sez.II, 28 luglio 2017, n. 18891; Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1998, n.9853). Con riguardo al venditore che non sia anche costruttore dell'edificio, si è ritenuto che sia applicabile la più significativa ed estesa disciplina della garanzia in tema gravi vizi nell'appalto prevista dall'art. 1669 c.c., ritenendo che tale azione possa essere esercitata anche dall'acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all'appaltatore esecutore dell'opera: graverà in tal caso sul venditore l'onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull'impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell'evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva (Cass. civ., sez. II, 28 luglio 2017, n. 18891; Trib. Milano24 luglio 2018, n.8300). Tuttavia, la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto non vale ad attribuirgli le veste di appaltatore nei confronti dell'acquirente, con la conseguenza che quest'ultimo non acquista la qualità di committente nei confronti del primo: l'acquirente non potrà dunque esercitare le azioni di natura contrattuale volte ad ottenere l'adempimento del contratto d'appalto e l'eliminazione dei difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., poichè tale azione spetta esclusivamente al committente nel contratto d'appalto, mentre all'acquirente deve ritenersi estesa unicamente l'azione prevista dall'art. 1669 c.c. di natura extracontrattuale (Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2017, n. 26574). Art. 1667 c.c.: la garanzia contrattuale
Laddove i vizi presenti nell'opera edile non siano di tale gravità da poter essere ricondotti all'ipotesi specifica dell'art. 1669 c.c., l'ordinamento appresta a favore del committente le ordinarie azioni di natura contrattuale volte ad ottenere l'adempimento oppure la risoluzione e il risarcimento del danno, ove l'entità della condotta dell'appaltatore finisca per avere un effetto esiziale sul vincolo sinallagmatico. Le norme di riferimento sul punto si ravvisano negli artt. 1667 e 1668 c.c., ipotesi che devono essere ritenute sussistenti ove l'inesatto adempimento comporti la sussistenza di difetti che non incidono sulla funzione primaria del fabbricato, pur comportando un'inesatta esecuzione dell'opera e la sussistenza di inconvenienti che pure possono essere anche significativi sotto il profilo quantitativo o degli oneri necessari alla loro eliminazione. Si è a tal proposito ritenuto che anche ipotesi di infiltrazioni d'acqua, seppur diffuse, ma di entità tale da non condizionare la funzionalità globale dell'opera, non siano idonee a configurare fattispecie di responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 c.c. ma, invece, debbano essere ricondotte alla garanzia prevista dall'art. 1667 c.c. (Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2010, n. 18032); allo stesso modo difetti di coloritura della facciata, limitandosi ad un mero problema estetico, vanno necessariamente ricondotti alla disciplina dell'art. 1667 c.c. (Trib.Modena 27 gennaio 2016, n. 193), pur potendo rivelarsi necessario, per la loro eliminazione, un intervento di estesa portata e di concreto impegno patrimoniale; escono, viceversa, dal perimetro della norma richiamata eventuali cavillature degli intonaci esterni che, non limitandosi a mero difetto estetico, compromettano la tenuta degli stessi agli agenti atmosferici, poiché in tal caso il vizio finisce per incidere su una delle componenti essenziali dell'opera edile, ovvero la sua attitudine a fornire riparo dagli elementi (Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2018, n. 10048). La disciplina in tema di vizi dettata dall'art. 1667 c.c. comporta che l'opera sia stata terminata e costituisce elemento integrativo della più generale disciplina in tema di inadempimento: rimangono perciò applicabili i principi riguardanti la responsabilità dell'appaltatore secondo gli artt. 1453 e 1455 c.c. nel caso in cui l'opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o l'appaltatore abbia realizzato l'opera con ritardo o, pur avendo eseguito l'opera, si rifiuti di consegnarla (Cass. civ., sez. II, 13 aprile 2018, n. 9198). La norma codicistica è infine applicabile solo ove si tratti di vizi occulti, ovvero non riconosciuti o riconoscibili all'atto della consegna dell'opera, e prevede termini di attivazione decisamente contenuti: il committente deve denunziare i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta e l'azione si prescrive comunque in due anni dalla consegna dell'opera; la denunzia non è necessaria ove l'appaltatore abbia riconosciuto la sussistenza dei vizi o li abbia occultati. Ove, infine, sia decorso il termine biennale di prescrizione dell'azione, il committente che non aveva ancora versato l'intero prezzo potrà eccepire la garanzia per i vizi, sempre che ne avesse provveduto a denunziarne tempestivamente la sussistenza. Si è ancora osservato in giurisprudenza che l'impegno, assunto dall'appaltatore, di eliminare i vizi denunciati dal committente costituisce tacito riconoscimento degli stessi e, senza novare l'originaria obbligazione gravante sull'appaltatore, ha l'effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1667 c.c., costituendo fonte di un'autonoma obbligazione di facere che si affianca a quella preesistente legale di garanzia e che va ricondotta ad ordinaria prescrizione decennale (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2018, n.14815). Da quanto sin qui prospettato deriva che l'amministratore del condominio sia legittimato a proporre azione contrattuale ex art 1667 c.c. con esclusivo riferimento alle parti comuni, ove il condominio sia committente dell'opera (Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 2009, n. 3040), deliberi sul punto ex art 1131 c.c., mentre i singoli condomini potranno intervenire, iure proprio, nello stesso giudizio per far valere il danno subito individualmente a causa di tale inadempimento (Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2017, n. 30038). Si è già evidenziato come la garanzia per gravi difetti sia stata estesa dalla giurisprudenza ad ipotesi che il mero dettato letterale della norma pareva non ricomprendere, sia con riguardo alla tipologia di vizio e alla natura della relativa responsabilità, sia con riferimento all'oggetto dell'appalto. Sotto il primo profilo, va osservato che la giurisprudenza prevalente riconduce all'alveo della norma la rovina totale, la rovina parziale, il pericolo imminente di rovina e il grave difetto. Il difetto, per considerarsi riconducibile alla fattispecie in esame, deve incidere in modo significativo sul godimento del bene diminuendolo in modo apprezzabile; la norma è stata ritenuta applicabile non solo nelle fattispecie più ovvie di vizio costruttivo, ma anche a tutte quelle ipotesi in cui il grave difetto riguardi beni che, seppur secondari, siano destinati ad un impiego duraturo (ad esempio l'impianto di riscaldamento, v. Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 1995, n. 1081). Le Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un. 5 giugno 2014, n. 2284), quanto alla natura di detta responsabilità, hanno evidenziato come la previsione dell'art. 1669 c.c. integri un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 c.c.; si tratta tuttavia di una norma non di favore diretta a limitare la responsabilità del costruttore, quanto di previsione finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale; pertanto, ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione, come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell'opera, potrà farsi luogo all'applicazione dell'art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, in tal caso, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall'art. 1669 c.c., spettando a chi agisce in giudizio l'onere di provare tutti gli elementi richiesti dall'art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore. Infine, sempre le Sezioni Unite, componendo il contrasto di pronunce esistente sul punto, hanno chiarito che l'art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che rovinino o presentino evidente pericolo di rovina o gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo (Cass. civ., sez. un., 27 marzo 2017, n. 7756). A fronte della sussistenza di tali gravi vizi, il committente è tenuto ad effettuarne denunzia entro un anno dalla scoperta ed a promuovere la relativa azione entro un anno dalla denunzia. La garanzia ha durata decennale dal compimento dell'opera.
Alla luce di quanto sopra, consegue che l'amministratore è legittimato in via autonoma, ex art. 1130, n. 4), c.c., a proporre la relativa azione senza necessità di preventiva delibera assembleare (Cass. civ., sez. II, 19 aprile 2017, n. 9911; Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2011, n. 7470), e con riferimento all'edificio nel suo complesso, senza che possa necessariamente distinguersi fra parti private e parti comuni (Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1980, n. 1178). Si è ritenuto, inoltre, che la garanzia ex art 1669 c.c., a differenza di quella derivante dall'art. 1667 c.c., sia applicabile anche alle ipotesi in cui l'opera non sia ancora terminata ma presenti comunque gravi difetti (Cass. civ., sez. II, 27 novembre 2017, n. 28233) e che, essendo connessa ad esigenze di natura pubblicistica, non sia in alcun modo derogabile o rinunciabile dalle parti (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2000, n. 81). Si tratta di tema che ha dato luogo a imponente contenzioso che, quantomeno con riguardo al decorso del termine iniziale per denunzia, si è ormai attestato su orientamento consolidato: affinché possa ritenersi maturato tale presupposto deve sussistere in capo al committente adeguata consapevolezza della natura del vizio e della sua riconducibilità causale all'operato dell'appaltatore, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera ricognizione della manifestazione esterna del vizio; tale consapevolezza, non di rado, può dirsi sussistente solo a seguito di specifiche indagini tecniche, sì che la mera comunicazione da parte dell'amministratore del condominio dell'esistenza dell'inconveniente risulta inidonea a far decorrere il termine annuale per l'esercizio della relativa azione (Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 2013, n. 28202; Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1999, n. 1993); talune pronunce hanno infine ritenuto che tale grado di conoscenza potesse - in alcuni specifici casi - derivare solo all'esito di indagini tecniche svolte in sede di accertamento tecnico preventivo, poichè solo dal deposito della relativa relazione si poteva ritenere maturato il dies a quo da cui far decorrere il termine annuale per la denunzia ex art 1669 c.c. Va osservato che, anche con riferimento all'ipotesi di gravi vizi costruttivi, l'impegno dell'appaltatore ad eliminare i vizi della cosa o dell'opera costituisce, alla luce dei principi generali dell'ordinamento e indipendentemente dalla natura del singolo contratto, fonte di un'autonoma obbligazione di facere, la quale si affianca all'originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, a meno di uno specifico accordo novativo; tale obbligazione, pertanto, è soggetta non già ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella di garanzia, ma all'ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l'inadempimento contrattuale (Cass. civ., sez. II, 4 gennaio 2018, n.62). Si è, infine, ritenuto che il termine prescrizionale di un anno per la proposizione dell'azione si interrompa ex art. 2943, comma 1, c.c. anche con la proporzione di azione di mero accertamento, quale il ricorso per accertamento tecnico preventivo (Cass. civ., sez. II, 20 maggio 2009, n. 11743).
La realizzazione di lavori edili vede oggi coinvolte diverse figure che, anche sotto il profilo normativo, costituiscono spesso attori necessari del cantiere, fra i quali il progettista, il direttore lavori, il cui contributo può costituire elemento rilevante, sotto il profilo causale, con riguardo alla esistenza di vizi nella realizzazione. Il tema è stato spesso affrontato in giurisprudenza, pervenendo a soluzioni che - salvo ipotesi specifiche da valutare di volta in volta secondo i criteri generali di causalità nella disciplina del fatto illecito e nelle obbligazioni contrattuali - tendono a ravvisare una responsabilità concorrente e non esclusiva dei diversi soggetti coinvolti nella realizzazione. Quanto alla responsabilità del committente, si è osservato che l'appaltatore è tenuto ad un comportamento diligente nella realizzazione dell'opera commessagli, dovendo adottare tutte le misure e le cautele necessarie e idonee per la esecuzione della prestazione, secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto richiesto e idoneo a soddisfare l'interesse del committente; anche ove si sia attenuto alle indicazioni ricevute - come nel caso in cui il committente abbia predisposto il progetto e fornito indicazioni sulla relativa realizzazione - l'appaltatore può essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera qualora non abbia segnalato eventuali carenze e errori e potrà andare esente da responsabilità solo laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto e gli ribadisca le indicazioni, in tale ipotesi risultando l'appaltatore ridotto a mero nudus minister (Cass.civ., sez. III, 15 giugno 2018, n.15732) In ordine alle figure tecniche, secondo un consolidato orientamento, si è ritenuto che, avendo la responsabilità ex art. 1669 c.c. natura extracontrattuale, nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l'appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell'opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione (Cass. civ., sez. II, 23 luglio 2013, n. 17874; Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1993, n. 4900). Non sempre nel condominio la realizzazione di opere edili deve essere ricondotta alla fattispecie dell'appalto, ben potendo la stessa qualificarsi quale contratto d'opera, ove l'esecutore rientri in una dimensione individuale/artigianale (Cass. civ., sez. II, 16 novembre 2017, n. 27258). In tal caso, il regime della garanzia è individuato dall'art. 2226 c.c., che stabilisce un termine decadenziale per la denunzia assai breve, indicato dalla norma in otto giorni dalla scoperta dei vizi, mentre è indicato in un anno dalla consegna il termine per la prescrizione della relativa azione; la norma richiama, per altri profili, la disciplina di cui all'art. 1668 c.c. in tema di appalto. La sussistenza di profili di responsabilità in capo all'esecutore delle opere edili non esclude l'obbligo del condominio di attivarsi per l'eliminazione delle conseguenze dannose che possano derivare a terzi ed ai condomini, quale custode dei beni comuni ex art. 2051 c.c. Si è, a tal proposito, osservato che Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in base all'art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini; non vale ad escludere tale responsabilità la circostanza che i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile, comportanti la concorrente responsabilità del costruttore-venditore, ai sensi dell'art. 1669 c.c., non potendosi equiparare i difetti originari dell'immobile al caso fortuito, che costituisce l'unica causa di esonero del custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c., di talchè ben potrà il condominio proporre azione ex artt. 1667 o 1669 c.c. contro costui ove ne sussistano i presupposti, pur dovendo immediatamente e autonomamente attivarsi quale custode del bene (Trib Roma 31 ottobre 2018, n. 20894). Nel caso specifico di umidità conseguente ad inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, si è rilevato che, ove sia compromessa l'abitabilità e il godimento del bene, sussiste grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore, ex art. 1669 c.c.; tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei confronti di costoro è responsabile in via autonoma ex art. 2051 c.c., il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa (Cass. civ. sez. II, 12 luglio 2011, n.15291), poste di cui, peraltro, sarà legittimato a chiedere conto nella azione promossa contro l'appaltatore responsabile dei vizi. Casistica
Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano,2017;Panetta, Il contratto di appalto, Torino, 2016;Terzago, Il Condominio. Trattato teorico-pratico, aggiornato a cura di A. Celeste, L. Salciarini e P. Terzago, Milano, 2015;Musolino, La resposnabilità civile nell'appalto, Padova, 2006;Triola, Il nuovo condominio, AA.VV. a cura di R. Triola, Torino, 2014.
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