Il divieto di detenere nel proprio immobile pensioni e locande non può essere esteso anche all’attività di affittacamere
29 Gennaio 2019
Massima
Il condominio risponde nei confronti degli altri condomini della violazione al regolamento condominiale consumata dal proprio conduttore qualora non dimostri di aver adottato, in relazione alle circostanze, le misure idonee a far cessare gli abusi alla stregua del criterio generale di diligenza posto dall'art. 1176 c.c., ponendo in essere iniziative che possono arrivare fin alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di locazione. Ove la durata del contratto di sublocazione con il quale è concesso ad un conduttore il godimento ad uso abitativo parziale di singole stanze di un appartamento sia assimilabile a quella di una locazione transitoria e tra le prestazioni accessorie non figurino quelle del riassetto, pulizia dei locali, fornitura e lavaggio della biancheria, il rapporto è incompatibile con quello dell'attività di affittacamere. Il divieto posto nel regolamento di tenere locande o pensioni non si estende alla attività di affittacamere in quanto non è consentita una interpretazione estensiva della norma regolamentare ed in ogni caso le prime, a differenza delle seconde, oltre al godimento di locali ammobiliati, comportano anche la somministrazione di un vitto. Il caso
Il condominio, esponendo che il conduttore di un appartamento lo aveva sublocato a terzi per svolgervi attività di affittacamere, aveva convenuto in giudizio il condomino proprietario dell'appartamento stesso, chiedendo che fosse condannato a cessare immediatamente l'attività sostenendo che fosse contraria alla clausola del regolamento di natura contrattuale, che faceva divieto ai condomini di tenere locande o pensioni e di esercitare attività imprenditoriali. Il condomino aveva resistito alla domanda contestando la propria legittimazione passiva e contestando che nell'immobile oggetto di sublocazione si esercitasse una attività imprenditoriale di affittacamere. Il condomino convenuto in giudizio aveva concesso in locazione ad un terzo il proprio appartamento con la facoltà di poterlo a sua volta sublocare a terzi. Il conduttore principale aveva dapprima ristrutturato l'appartamento ricavandone 6 stanze, che erano state concesse separatamente in godimento ad altri soggetti con un contratto qualificato di sublocazione parziale ad uso abitativo di durata di 4 anni. Il canone corrisposto dai subconduttori copriva contrattualmente la locazione delle proprie stanze e l'uso delle parti comuni dell'appartamento, tra le quali erano compresi anche due bagni in condivisione e la cucina, le spese relative alle utenze ed ai servizi Wifi, escluso il canone televisivo e la tassa rifiuti, nonché l'uso degli arredi. È risultato in causa che non venissero forniti servizi ulteriori quali la pulizia delle stanze o la fornitura e il cambio della biancheria. Il Tribunale sulla base delle circostanze di fatto suddette rigettava la domanda.
La questione
Due sono le questioni affrontate dal Tribunale di Milano. La prima è se sia passivamente legittimato il condomino alla domanda di condanna alla cessazione della attività asserita contraria al regolamento quando essa non è esercitata da lui ma da un subconduttore. La seconda è se la norma regolamentare, che pone un divieto ai condomini di tenere locande o pensioni e attività imprenditoriali, si estenda o meno alla attività di affittacamere e quali siano gli elementi che identificano quest'ultima. Le soluzioni giuridiche
Secondo il Tribunale di Milano, il condomino che abbia locato la propria unità immobiliare a terzi con successiva sublocazione è legittimato passivamente alla domanda del condominio di condanna alla cessazione di usi dell'unità stessa che sono vietati dal regolamento di natura contrattuale. Esiste infatti un consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale il condomino è il principale destinatario delle norme regolamentari e si pone nei confronti della collettività condominiale non solo come responsabile delle dirette violazioni di quelle norme da parte sua ma anche come responsabile delle violazioni delle stesse norme da parte del conduttore del suo bene, essendo egli tenuto ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, a prevenirne le violazioni ed a sanzionarle anche mediante la risoluzione del rapporto. Nel giudizio è emerso che la durata dei contratti di sublocazione era di quattro anni e che il sublocatore non forniva ai subconduttori i servizi di pulizia delle stanze ed il cambio della biancheria. Il Tribunale di Milano ha ritenuto che le predette circostanze fossero incompatibili con l'attività di affittacamere in quanto quest'ultima consta di una durata del rapporto assai più ridotta rispetto a quella delle locazioni ad uso abitativo e transitorio e comunque non può realizzarsi l'attività di affittacamere quando non vengano somministrati anche i servizi di pulizia e del cambio della biancheria. In ogni caso, il giudice ha escluso che il divieto posto dal regolamento contrattuale ai condomini di tenere pensioni o locande fosse estendibile anche alla attività di affittacamere rilevando che le prime a differenza della seconda prevedono anche la somministrazione del vitto. Il giudice ha richiamato l'orientamento della Suprema Corte secondo il quale non è consentito all'Autorità giudiziaria procedere ad interpretazioni estensive delle clausole del regolamento di condominio quando esse pongano restrizioni alle facoltà inerenti la proprietà esclusiva, dovendo esse essere formulate in modo espresso e comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e sulla portata delle relative disposizioni (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2004, n. 23). Parimenti è stato escluso anche che le stanze fossero utilizzate per una finalità imprenditoriale sulla scorta della circostanza che esse erano invece state destinate alla abitazione transitoria dei subconduttori, risultando quindi preservata la destinazione residenziale del fabbricato. Osservazioni
Il Tribunale di Milano ha correttamente applicato i principi elaborati dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 8 novembre 2010, n. 22665; Cass. civ, sez. II, 18 maggio 1993, n. 5632; Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 2002, n. 17167), secondo i quali l'attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno. In difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell'ambito dell'attività di affittacamere, né quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo. Il caso si inserisce nella più ampia questione assai dibattuta in tema di interpretazione delle clausole regolamentari che pongono restrizioni all'uso della proprietà esclusiva in ordine alle quali sono possibili due ipotesi di divieti. In particolare secondo i giudici di Piazza Cavour (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21307), il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare. In quest'ultimo caso, per evitare ogni equivoco in una materia atta a incidere sulle proprietà dei singoli condomini, i divieti e i limiti debbono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda a un interesse meritevole di tutela. In presenza di una norma regolamentare che specifichi solo il pregiudizio che intende evitare il giudice è chiamato a verificare in concreto se l'attività esercitata determini o meno il sorgere del pregiudizio descritto. Viceversa in presenza di una norma regolamentare che specifichi ed individui le singole attività vietate esse devono risultare precisate da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti. È comunque doveroso segnalare che a volte i giudici di merito si discostano dall'impostazione sopra ricostruita. Si richiama ad esempio il caso affrontato dalla Corte meneghina (App. Milano 23 novembre 2018, n. 5159) che doveva accertare se il mutamento di destinazione di una unità immobiliare adibita dapprima a negozio e, poi, trasformata in ristorante, violasse o meno la clausola regolamentare che poneva divieto ai condomini di esercitare le attività di locande, friggitorie e simili. La Corte territoriale ha risolto il caso affermativamente, ritenendo che nella specie, la stessa espressione usata nella clausola (“simili”), consentisse al Giudice l'applicazione del criterio estensivo analogico. Nella predetta decisione si afferma che l'uso del termine “simili”, in relazione al termine locande, dimostra l'intento di evitare l'esercizio di attività che comportino la presenza di un indifferenziato ed elevato numero di persone e quindi, l'attività di ristorante è pienamente assimilabile alle locande stesse. La motivazione non pare condivisibile poiché anche l'attività di negozio cui era pacificamente e legittimamente destinata l'unità immobiliare in questione, prima del mutamento della destinazione stessa, comportava la presenza di un indifferenziato ed elevato numero di persone. Trotta, Interpretazione del regolamento condominiale: sul vincolo di destinazione, in Giur. it., 2015, 809; D'Auria, Sulla interpretazione del regolamento condominiale: l'ipotesi delle clausole limitative dei diritti individuali, in Giur. it., 2011, 1040; Valenti, Regolamento contrattuale di condominio e svolgimento di un'attività di bed and breakfast: interpretazione storicistica dei divieti di destinazione, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 892; De Tilla, Sulle norme del regolamento condominiale che incidono sulla destinazione delle parti dell'edificio di proprietà esclusiva, in Arch. loc. e cond., 1995, 121; Iudica, Criteri interpretativi di una clausola di regolamento condominiale concernente vincolo di destinazione d'uso degli appartamenti, in Giust. civ., 1981, I, 2952. Della Corte, Regolamento condominiale: vietata l'interpretazione estensiva sui limiti alla destinazione degli appartamenti, in Condominioelocazione.it. |