La definizione delle liti pendenti nella “pace fiscale”

30 Gennaio 2019

L'articolo 6, D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, ha reintrodotto la possibilità di definire, in modo agevolato, le controversie tributarie, pendenti in ogni stato e grado del giudizio. La norma, che fa seguito alle precedenti edizioni della sanatoria sui giudizi tributari (l'ultima delle quali contenuta nel D.L. n. 50/2017), ripropone la stessa ratio della rottamazione dei ruoli ma consente, in caso di vittoria, un risparmio anche consistente sul valore della lite.In attesa della modulistica ufficiale e dei chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate, ripercorriamo la disciplina della norma, ponendo l'accento sui vari passaggi operativi.
I presupposti temporali

Il primo dei tre requisiti per poter accedere alla definizione agevolata (i requisiti non sono alternativi, ma devono coesistere tutti) è rappresentato dalla data di instaurazione del giudizio tributario, che dev'essere antecedente al 24 ottobre 2018, data di entrata in vigore del Decreto n. 119/2018.

Infatti, come previsto dal quarto comma della disposizione, la definizione agevolata si applica alle controversie in cui il ricorso in primo grado sia stato notificato alla controparte entro quella data.

Inoltre, come previsto sempre dal quarto comma, deve trattarsi di giudizi che non si siano conclusi con sentenza definitiva, non già al 24 ottobre 2018, bensì alla data di presentazione della domanda (che, come si vedrà, potrà avvenire entro il 31 maggio 2019).

Come si vedrà, per le controversie definibili è prevista una sospensione ex lege dei termini di impugnazione che scadano tra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019: pertanto, è escluso che i giudizi conclusisi con una sentenza (di primo o di secondo grado) i cui termini di impugnazione scadano entro quell'intervallo temporale possano risultare conclusi e, di conseguenza, esclusi dalla definizione.

Con riferimento a tale secondo requisito, le uniche ipotesi che comportano l'inibizione dalla sanatoria sono rappresentate, da un lato, dalle controversie le quali, ancorchè instaurate con ricorso notificato entro il 24 ottobre 2018, si siano già concluse con una sentenza divenuta definitiva entro quella data, dall'altro, dalle controversie per le quali, alla data di presentazione della domanda, sia stata depositata una sentenza di Cassazione senza rinvio.

Al di fuori di queste ipotesi, saranno definibili tutti i giudizi tributari pendenti in ogni stato e grado, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio.

Il presupposto soggettivo

Il secondo requisito che, insieme agli altri (temporali e oggettivo), deve sussistere, per poter accedere alla definizione agevolata, è costituito dalla controparte processuale, che dev'essere l'Agenzia delle Entrate.

È quanto previsto dal primo comma dell'art. 6, il quale, infatti, contempla, ai fini della definizione agevolata, le sole controversie tributarie in cui è parte l'Agenzia delle Entrate.

È, tuttavia, concesso agli enti locali, o agli enti strumentali dei quali essi si avvalgano (ai fini dell'accertamento o della riscossione), di aderire alla sanatoria entro il 31 marzo 2019, mediante apposita delibera.

Al di fuori di questa ipotesi, dunque, le uniche controversie che rientrano nel perimetro di applicazione della norma sono quelle instaurate con l'Agenzia delle entrate: restano, pertanto, fuori i giudizi con gli agenti della riscossione, primo fra tutti l'Agenzia delle Entrate – Riscossione e quelli avverso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Il presupposto oggettivo

L'ultimo e fondamentale requisito, concorrente con i precedenti, è rappresentato dalla natura dell'atto impugnato, che forma oggetto del giudizio. Infatti, il primo comma dell'art. 6 consente di accedere alla definizione agevolata ai soli giudizi che abbiano per oggetto l'impugnazione di un atto impositivo, dovendosi intendere per tale ogni atto con il quale viene rettificato l'imponibile. Pertanto, rientrano sicuramente nel novero delle controversie definibili le liti riguardanti gli avvisi di accertamento, che rappresentano gli atti impositivi per eccellenza.

Altrettanto dicasi per gli avvisi di rettifica in materia di IVA e per gli avvisi di rettifica e liquidazione in materia di imposte dirette (in primis, per l'imposta di registro).

Restano, invece, esclusi dalla definizione gli atti meramente liquidatori, a cominciare dalle cartelle di pagamento derivanti dalla liquidazione automatica ex artt. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633/1972 e dagli avvi si di liquidazione.

Viceversa, in presenza di ruoli emessi a seguito del controllo formale delle dichiarazioni (ex art. 35-ter del d.P.R. n. 633/1972), la definizione agevolata risulta possibile, trattandosi di una rettifica, ancorchè automatizzata, del reddito imponibile dichiarato.

Le cause espresse di esclusione

Ai sensi del quinto comma, restano espressamente escluse dalla definizione le controversie concernenti anche solo in parte:

a) le risorse proprie tradizionali previste dall'art. 2, paragrafo 1, lettera a), delle Decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione;

b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 16 del Regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015.

Il quantum da pagare

La struttura della norma, contenuta nell'art. 6, prevede una regola generale e delle eccezioni. La regola generale, dunque, prevista per definire, in modo agevolato, le controversie tributarie prevede il pagamento dell'intero valore della controversia, stabilito ai sensi del comma 2 dell'art. 12 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Pertanto, saranno dovute le sole imposte contestate in giudizio, il relativo risparmio essendo rappresentato dalle sanzioni e dagli interessi.

Va precisato, dunque, che il quantum dovuto tiene conto delle sole somme che hanno formato oggetto di contestazione: di conseguenza, qualora il contribuente abbia impugnato solo parzialmente un avviso di accertamento (perché abbia ritenuto di prestare acquiescenza ad alcuni rilievi), sarà solo con riferimento a quella parte, che forma oggetto di giudizio, che egli potrà avvalersi della definizione agevolata, determinando il dovuto limitatamente ai rilievi oggetto di contestazione.

Se, pertanto, è questa la regola generale, veniamo alle eccezioni.

La prima, aggiunta in sede di conversione, è quella prevista dal comma 1 bis della norma e prevede un'aliquota ridotta per i ricorsi ancora pendenti e, pertanto, non ancora decisi con sentenza di primo grado.

In questi casi, la norma prevede che, qualora il ricorso sia iscritto in primo grado, per poter definire la controversia si paghi il 90% del valore della lite. Il dubbio, in questo caso, è se, effettivamente, si debba avere riguardo non soltanto alla data di notifica (necessariamente precedente il 24 ottobre 2018), ma anche alla data di costituzione in giudizio, come lascerebbe intendere l'espressione “iscritto nel primo grado” utilizzata dal legislatore.

Questa soluzione, se più aderente al dato letterale, lascia aperti numerosi dubbi di tipo pratico, dal momento che l'applicazione dell'aliquota del 90% (e, pertanto, il risparmio del 10% rispetto alla regola generale) dipenderebbe da un evento meramente eventuale, pur se soggetto a termini di decadenza ben precisi: difatti, a fronte di due ricorsi definibili, pendenti in primo grado, notificati entrambi lo stesso giorno (ad esempio, il 20 ottobre 2018) ma depositati uno il giorno dopo e l'altro dopo 15 giorni, solo il primo beneficerebbe dell'ulteriore risparmio del 10%.

Stesso dicasi ove si consideri l'eventualità della mediazione: in questo caso, il ricorrente si troverebbe a non poter beneficiare dell'ulteriore sconto del 10%, solo perché “costretto” ad attendere il decorso dei 90 giorni previsti per la mediazione dall'art. 17-bis del D.Lgs. 546/1992; a meno di non voler “premiare” il contribuente che, anticipando il deposito, sia incorso nella improcedibilità prevista dalla norma.

La seconda eccezione, alla regola generale, è rappresentata dal deposito di una sentenza favorevole al contribuente, di primo o di secondo grado, avvenuto entro il 24 ottobre 2018, data di entrata in vigore del decreto.

In questi casi, come previsto dai commi 2 e 2-bis, le controversie possono essere definite con il pagamento:

a) del 40% del valore della controversia, in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;

b) del 15% del valore della controversia, in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado;

c) delle diverse percentuali pro quota, in caso di soccombenza parziale. In questo caso, occorrerà “riliquidare” la sentenza e, sulla parte di atto confermata dai giudici, si pagherà il valore della controversia. Invece, sulla parte di atto annullata, si pagherà il 40% se si tratta si una sentenza di primo grado e il 15% se si tratta di una sentenza di secondo grado.

La terza eccezione è rappresentata dai giudizi, pendenti in Cassazione al 19 dicembre 2018, data di entrata in vigore della legge di conversione, per i quali via stata una “doppia conforme”, ossia una sentenza totalmente favorevole al contribuente sia in primo che in secondo grado. In queste ipotesi, la controversia beneficerà dello sconto massimo, pari al 5% del valore della controversia.

L'ultima eccezione, oggetto del terzo comma, è rappresentata dalle controversie relative esclusivamente alle sanzioni.

Nell'ipotesi in cui si tratti di sanzioni non collegate al tributo, la lite potrà essere definita con il pagamento del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza dell'Agenzia delle Entrate con sentenza depositata entro il 24 ottobre 2018 e con il pagamento del 40% negli altri casi.

Invece, in caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, la norma prevede che non sarà dovuto alcun importo qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla definizione agevolata (ad esempio, nell'ipotesi di sanzione irrogata per “splafonamento” rispetto al limite massimo consentito per legge).

L'iter di adesione e il perfezionamento della definizione agevolata

Come previsto dall'ottavo comma, per poter aderire alla chiusura delle liti pendenti, il ricorrente (ovvero chi vi è subentrato o ne ha legittimazione, come nel caso degli eredi), entro il 31 maggio 2019, dovrà presentare l'apposita domanda utilizzando la modulistica in corso di approvazione e provvedere al versamento delle somme dovute, ovvero, se superiori a 1.000 euro, della prima di venti rate trimestrali di pari importo, secondo le regole previste per l'adesione dall'art. 8, D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

La presentazione della domanda e il pagamento, integrale o della prima rata, entro il 31 maggio sono la condizione di perfezionamento della definizione agevolata, come previsto dal sesto comma.

Inoltre, ai sensi del comma nono, gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente al 24 ottobre 2018, data di entrata in vigore del decreto. Pertanto, gli effetti delle sentenze, naturalmente non definitive (altrimenti non sarebbe possibile aderire alla sanatoria), verranno sterilizzati e il nuovo titolo per la riscossione delle somme sarà rappresentato dalla definizione perfezionata.

Sempre ai sensi del sesto comma, il termine di pagamento delle rate successive alla prima scade il 31 agosto, 30 novembre, 28 febbraio e 31 maggio di ciascun anno a partire dal 2019. Sulle rate successive alla prima, si applicano gli interessi legali calcolati dal 1° giugno 2019 alla data del versamento.

È esclusa la compensazione prevista dall'art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241: pertanto, le somme dovute, in base alla definizione, dovranno essere necessariamente versate, mediante modello F24 (utilizzando i codici tributo che verranno approvato dall'Agenzia delle entrate). Qualora non ci siano importi da versare, la norma prevede che la definizione si perfezioni con la sola presentazione della domanda.

Come precisato dalla norma, occorrerà presentare una distinta domanda di adesione per ogni controversia autonoma, dovendosi intendere, per controversia autonoma, quella relativa a ciascun atto impugnato. Pertanto, nell'ipotesi di un unico giudizio con parti collegate (come, ad esempio, nel caso di controversie aventi per oggetto l'accertamento societario e gli accertamenti dei singoli soci), occorrerà presentare tante domande quante sono le liti (ciascuna individuata dal proprio numero di ruolo generale ricorsi).

Al riguardo, il comma 14 della norma prevede che la definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente.

Il rapporto con la rottamazione bis e lo scomputo delle somme

La disciplina sulla definizione delle liti pendenti, contiene un iter ad hoc nel caso in cui la sanatoria si intrecci con la rottamazione bis.

In questi casi, infatti, per poter perfezionare la chiusura della controversia occorrerà essere in regola con quella procedura, anche qualora si siano versate in ritardo, ma entro il 7 dicembre 2018, le rate di luglio, settembre e ottobre 2018.

Ai sensi del nono comma, dal dovuto verranno sottratte tutte le somme versate in pendenza di giudizio e, pertanto, anche a titolo di sanzione: la previsione non è di poco conto, dal momento che, a differenza della rottamazione, in questo caso la quota parte di sanzioni eventualmente già versate (a seguito di una sentenza sfavorevole) varrà a ridurre l'ammontare del tributo dovuto. Inoltre, la definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate, ancorchè in eccedenza.

La sospensione dei giudizi in corso e dei termini di impugnazione

Come previsto dal decimo comma della norma, la presentazione della domanda di definizione non comporta l'automatica sospensione del giudizio.

Per far questo, occorre che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo.

Stante il tenore letterale della norma, sarà il contribuente a nome proprio – e non il suo difensore – a chiedere la sospensione del giudizio: tale lettura trova il conforto anche della Corte di Cassazione, la quale, con sentenza 7 dicembre 2018 n. 31720, ha respinto l'istanza di rinvio a nuovo ruolo proposta dal difensore della contribuente (una società) al fine di consentire alla propria assistita di valutare la possibilità di accedere alla definizione agevolata prevista dal D.L. n. 119/2018, perché (tra l'altro) il decimo comma dell'art. 6 stabilisce che “le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo”, laddove nel caso in esame nessuna richiesta era stata avanzata direttamente dal contribuente.

La richiesta di sospensione del giudizio non è vincolante; pertanto, il contribuente potrà formularla per il solo fatto di voler valutare l'opportunità di aderire alla definizione, salvo poi ritornare sui propri passi ove non dovesse ritenerla più conveniente.

Tale iter trova conferma nel prosieguo della norma, in base alla quale, a seguito della richiesta, il processo resta sospeso fino al 10 giugno 2019 e, solo se entro tale data il contribuente depositerà copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, la sospensione proseguirà fino al 31 dicembre 2020. Diversamente, il processo sospeso verrà rimesso in trattazione, si ritiene senza necessità di un'apposita istanza di trattazione da parte del contribuente.

Come previsto dal comma 13, in mancanza di istanza di trattazione entro il 31 dicembre 2020, presentata da qualunque parte che ne abbia interesse, il processo si estingue e le spese, in base alle regole generali, restano a carico della parte che le ha anticipate.

Infine, come già evidenziato, per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonchè per la proposizione del controricorso in Cassazione, che scadono tra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019.

Il diniego della definizione

Nell'ipotesi in cui l'Agenzia delle Entrate rilevasse non trattarsi di una controversia definibile, la norma prevede che venga notificato un apposito diniego entro il 31 luglio 2020 che costituisce un atto impugnabile, ai sensi dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

Questo potrebbe accadere per assenza di uno dei requisiti per l'accesso alla definizione, come, ad esempio, nel caso di un ricorso non avente per oggetto un atto impositivo.

Il diniego potrà essere impugnato, entro sessanta giorni, dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia venga richiesta in pendenza del termine per impugnare, unitamente al diniego potrà essere impugnata anche la sentenza; si pensi al caso di una sentenza che usufruisca della sospensione dei termini di impugnazione, la quale, in presenza di diniego, potrebbe essere impugnata con lo stesso ricorso avverso il diniego di definizione agevolata.

Come previsto dal comma 13, infine, l'impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valgono anche come istanza di trattazione.

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