Campo di applicazione del contratto a tutele crescenti: il Tribunale di Roma apre a nuovi scenari

Riccardo Maraga
11 Febbraio 2019

Il 7 marzo 2015 rappresenta una data di fondamentale importanza nel diritto del lavoro italiano. Tale data costituisce, infatti, nella determinazione delle tutele spettanti al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, lo spartiacque che segna il passaggio dall'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300) all'applicazione del c.d. contratto a tutele crescenti, ovvero, alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 23 del 2015.E' infatti noto che ai rapporti di lavoro sorti dopo il 7 marzo 2015 si applica il contratto a tutele crescenti. Il problema sorge con riferimento a quei rapporti di lavoro che sono sorti prima del 7 marzo 2015, sotto forma di contratto di lavoro a tempo determinato, e che sono stati “convertiti” in contratti a tempo indeterminato dopo tale data.Il d.lgs. n. 23 del 2015 prevede una esplicita norma che disciplina tale fattispecie ma la formulazione utilizzata dal legislatore ha dato adito a problemi interpretativi ancora oggi irrisolti.A gettare ulteriori ombre sulla nozione di “conversione” del contratto a tempo determinato è intervenuta, di recente, l'ordinanza 6 agosto 2018, n. 75870 del Tribunale di Roma che fornisce una interpretazione restrittiva di tale nozione tale da ricomprendervi solo i casi di conversione giudiziale del contratto.
Abstract

Il 7 marzo 2015 rappresenta una data di fondamentale importanza nel diritto del lavoro italiano. Tale data costituisce, infatti, nella determinazione delle tutele spettanti al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, lo spartiacque che segna il passaggio dall'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300) all'applicazione del c.d. contratto a tutele crescenti, ovvero, alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 23 del 2015.

È infatti noto che ai rapporti di lavoro sorti dopo il 7 marzo 2015 si applica il contratto a tutele crescenti.

Il problema sorge con riferimento a quei rapporti di lavoro che sono sorti prima del 7 marzo 2015, sotto forma di contratto di lavoro a tempo determinato, e che sono stati “convertiti” in contratti a tempo indeterminato dopo tale data.

Il d.lgs. n. 23 del 2015 prevede una esplicita norma che disciplina tale fattispecie ma la formulazione utilizzata dal legislatore ha dato adito a problemi interpretativi ancora oggi irrisolti.

A gettare ulteriori ombre sulla nozione di “conversione” del contratto a tempo determinato è intervenuta, di recente, l'ordinanza 6 agosto 2018, n. 75870 del Tribunale di Roma che fornisce una interpretazione restrittiva di tale nozione tale da ricomprendervi solo i casi di conversione giudiziale del contratto.

Il quadro normativo

L'innovazione principale contenuta nel complesso di riforme operato negli anni 2014-2015 e noto come Jobs Act è rappresentata dalla modifica dell'assetto delle tutele che può ottenere il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.

Come noto, infatti, prima dell'entrata in vigore del c.d. contratto a tutele crescenti (introdotto con uno dei decreti attuativi del Jobs Act, ossia con il d.lgs. n. 23 del 2015) in caso di licenziamento illegittimo di un dipendente lo stesso poteva invocare due diversi regimi di tutela a seconda delle dimensioni aziendali.

Nelle aziende di minori dimensioni, ovvero prive del requisito dimensionale di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300) il dipendente – fatta eccezione per le ipotesi di licenziamento nullo, discriminatorio o ritorsivo, tutelate in ogni caso con la reintegrazione nel posto di lavoro - poteva ottenere la tutela, essenzialmente risarcitoria o indennitaria, di cui all'art. 8,l. n. 604 del 1966.

Nelle aziende più grandi, che raggiungono il requisito dimensionale di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il dipendente poteva, al contrario, ottenere le tutele previste dall'art. 18 medesimo le quali, dopo la modifica della norma ad opera della c.d. riforma Fornero (l. n. 92del 2012) assumono natura reintegratoria o meramente indennitaria a seconda dei profili che inficiano la legittimità del licenziamento stesso.

Il tema della corretta individuazione della disciplina applicabile al rapporto di lavoro è, dunque, di particolare rilevanza posto che, soprattutto prima della modifica normativa del d.lgs. n. 23 del 2015 ad opera del c.d. decreto dignità (d.l. n. 87 del 2018, conv. in l. n. 96 del 2018) e, soprattutto, dell'intervento della Corte costituzionale (Corte cost., n. 194 del 2018), la tutela offerta dal Jobs Act al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo risultava essere particolarmente depotenziata rispetto alla maggiore tutela offerta dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Prima del predetto intervento della Consulta, infatti, il lavoratore illegittimamente licenziato ed assoggettato alla disciplina del contratto a tutele crescenti aveva diritto al pagamento, da parte del datore di lavoro, di una indennità fissa e crescente pari a 2 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di due ed un massimo di ventiquattro mensilità.

Soprattutto con riferimento ai lavoratori neo-assunti o, comunque, con un numero esiguo di anni di anzianità, si assisteva, dunque, ad un evidente l'indebolimento della tutela offerta rispetto all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Come noto, il c.d. decreto dignità ha modificato la norma limitandosi ad innalzare a 6 il numero minimo ed a 36 il numero massimo di mensilità erogabili al dipendente illegittimamente licenziato.

La Corte costituzionale, con l'arresto di fine 2018, ha invece fatto saltare il criterio di calcolo, fisso e crescente, delle indennità erogabili al dipendente illegittimamente licenziato ritenendo illegittimo il mero riferimento al parametro dell'anzianità di servizio per la commisurazione dell'indennizzo.

Da ciò deriva che, allo stato, la situazione si è fortemente modificata e, nel raffronto tra il livello di tutela offerto dal contratto a tutele crescenti e quello ottenibile azionando l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori finiscono per esserci delle situazioni maggiormente tutelate nel primo caso piuttosto che nel secondo.

Ad onta di ciò, resta comunque fondamentale delimitare con sufficiente certezza a quali rapporti di lavoro si applica il contratto a tutele crescenti.

A tal fine, l'art. 1, d.lgs. n. 23 del 2015, chiarisce che il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo disciplinato dalle disposizioni del decreto stesso si applica a:

  • lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015, ossia, dopo il 7 marzo 2015;
  • nei casi di conversione, successiva all'entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato;
  • nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015, raggiunga il requisito occupazionale di cui all'art. 18, comma 8, e 9 dello Statuto dei lavoratori, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente al 7 marzo 2015, è disciplinato dalle disposizioni del d.lgs. n. 23 del 2015.
L'interpretazione estensiva fornita dalla dottrina prevalente e i primi dubbi sollevati dalla dottrina sulla nozione di “conversione” di contratto a tempo determinato

La gran parte della dottrina non ha, in un primo momento, colto le gravi problematiche esegetiche che poneva la locuzione “conversione […] di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato” dando quasi per scontata una lettura estensiva di tale nozione che vi ricomprendesse qualsiasi fattispecie che produce l'effetto di trasformare un rapporto nato originariamente a termine in un rapporto a tempo determinato, purché l'atto della trasformazione si situasse, da un punto di vista cronologico, oltre la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015 e, quindi, dopo il 7 marzo 2015.

In base a tale lettura, dunque, sia la trasformazione su base negoziale, vale a dire l'accordo delle parti atto a trasformare il contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, sia la conversione giudiziale, ovvero la conversione del rapporto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato per ordine del Giudice, a causa della violazione della disciplina normativa del rapporto a termine, se avvenute dopo il 7 marzo 2015, avrebbero automaticamente comportato l'applicazione al rapporto di lavoro del regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo introdotto dalle disposizioni del d.lgs. n. 23 del 2015.

Non sono mancate, tuttavia, letture diverse da parte di una certa dottrina che ha evidenziato l'ambiguità della locuzione “conversione” utilizzata dal legislatore del Jobs Act.

In particolare, è stato notato che il termine “conversione” assume, nell'ambito dell'ordinamento giuridico italiano, un preciso significato tecnico, teso ad indicare in alcuni casi la modifica legale del contratto che ne evita la nullità (cfr. l'art. 1424,.c.c.), in altri casi la sanzione specificamente prevista dalla legge per la violazione di norme imperative legate all'utilizzo di determinate tipologie contrattuali c.d. atipiche o temporanee.

In questa prospettiva interpretativa, l'utilizzo del termine “conversione” non avrebbe dunque nulla di generico e inconsapevole ma, anzi, indicherebbe la volontà del legislatore di fare riferimento ad un significato tecnico ben preciso richiamando testualmente il regime sanzionatorio previsto dalla legge in presenza di determinati vizi formali e sostanziali nella attivazione di contratti di lavoro a termine e di apprendistato.

Non è raro, invero, rinvenire pronunce giurisprudenziali in cui il termine “trasformazione” sia impiegato quale sinonimo di conversione e ciò perché, indubbiamente, il concetto di trasformazione contiene al suo interno anche quello di conversione (cfr. Cass., 2 aprile 2014, n. n. 7672; Cass., 12 febbraio 2014, n. 3234; Cass., 12 novembre 2014, n. 24127 e anche, con riferimento al contratto di apprendistato, Cass., 1° febbraio 2006, n. 2247). Non esistono, per contro, precedenti giurisprudenziali in cui il termine “conversione” sia utilizzato quale sinonimo di trasformazione e questo proprio perché il primo termine è più ristretto e tecnicamente preciso del secondo.

L'ordinanza 6 agosto 2018, n. 75870 del Tribunale di Roma e l'interpretazione restrittiva della nozione di “conversione” di contratto a tempo determinato

Il dibattito dottrinale relativo alla corretta interpretazione della locuzione “conversione” del contratto a termine, utilizzata dal legislatore del Jobs Act, si è rapidamente esaurito e la dottrina prevalente ha, senza dubbio, inteso declinare tale espressione in senso estensivo, in modo tale da ricomprendervi sia la conversione in senso tecnico (ovvero quella disposta dal Giudice) sia la trasformazione per volontà delle parti.

Il tema, che pareva ormai definitivamente archiviato, è stato riportato in auge da una recente ordinanza del Tribunale di Roma (ord. 6 agosto 2018, n. 75870) che ha, per ora in maniera isolata, fatto propria l'interpretazione restrittiva del concetto di “conversione” avanzata da una parte minoritaria della dottrina.

Nell'ordinanza si afferma, infatti, che “da un lato […] il termine conversione richiama una figura giuridica che si rinviene sia nell'art. 1424, c.c. (il contratto nullo produce effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, se si accerta che le parti lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità), sia nell'art. 32, comma 5, l.n. 183 del 2010 (contratto a termine nullo perché stipulato in violazione dei requisiti formali e sostanziali per l'apposizione del temine al contratto di lavoro), e che pertanto deve tenersi conto di tale puntualizzazione, contenuta nel d.lgs. n. 23 del 2015, dall'altro, che, a sua volta, la norma della legge delega citata da riferimento solo alle nuove assunzioni per circoscrivere il campo di applicazione del contratto a tutele crescenti”.

Sulla base di tale ragionamento giuridico, il Tribunale di Roma ha ritenuto di interpretare la locuzione “conversione” di cui all'art. 1, d.lgs. n. 237 del 2015, in modo restrittivo, tale da ricomprendervi unicamente l'ipotesi di conversione in senso tecnico quale l'evento giudiziale o stragiudiziale, con cui il rapporto viene convertito ipso iure, lasciando dunque fuori dal campo di applicazione del contratto a tutele crescenti le ipotesi di conversione latu sensu, ovvero, “tutte le ipotesi di semplice trasformazione, di fatto o con manifestazione esplicita di volontà, del rapporto […] intervenute in modo che questo semplicemente prosegua, senza interruzione”.

In conclusione

Ad oltre tre anni di distanza dal Jobs Act non può dirsi del tutto chiarito a quali rapporti di lavoro si applica il regime di tutela introdotto dal contratto a tutele crescenti nei casi di licenziamento illegittimo.

Una recente ordinanza del Tribunale di Roma, in particolare, ha riaperto il dibattito sulla possibilità di applicare il contratto a tutele crescenti anche ai rapporti di lavoro a termine trasformati a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015.

Il tema riveste oggi, sicuramente, un interesse minore rispetto alla data di emanazione del Jobs Act posto che la tutela offerta oggi dal contratto a tutele crescenti al lavoratore illegittimamente licenziato ha subito un innegabile rafforzamento ad opera del decreto dignità, prima, e della Corte costituzionale, poi.

Tuttavia resta comunque di fondamentale importanza, al di là del quantum della tutela offerta, stabilire quale regime normativo si applichi in caso di licenziamento ed è quindi auspicabile un intervento chiarificatore in tal senso o del legislatore o della giurisprudenza.

Guida all'approfondimento

In dottrina:

  • M. Tiraboschi, Conversione o semplice trasformazione dei contratti per l'applicazione delle cosiddette tutele crescenti?,in Bollettino Adapt, 9 aprile 2015;
  • M. Tiraboschi, Il contratto a tutele crescenti: spazi di applicabilità in caso di apprendistato e somministrazione di lavoro, in F. Carinci, M. Tiraboschi, I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni, Adapt University Press, 2015, spec. pp. 110-112;
  • A. Maresca, Assunzione e conversione in regime di tutele crescenti, in Guida al lavoro, n. 12/2015, pp. 12-15;
  • M. Miscione, Tutele crescenti: un'ipotesi di rinnovamento del diritto del lavoro, in Diritto e pratica del lavoro, 2015.

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