La Convenzione delle Nazioni Unite sull’esecutività degli accordi raggiunti in mediazione: un primo sguardo
13 Febbraio 2019
Un nuovo inizio
La Convenzione delle Nazioni Unite sugli accordi ad esito di una mediazione commerciale internazionale, che sarà conosciuta in breve come “Convenzione di Singapore”, è un nuovo trattato multilaterale messo a punto dalla Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto Commerciale Internazionale (UNCITRAL). La Convenzione fornisce una base uniforme per il riconoscimento e l'esecutività degli accordi di mediazione nell'ambito di questioni commerciali internazionali ed è stata elaborata, per la prima volta nella storia dell'UNCITRAL, unitamente ad un Modello di Legge (Model Law) sulla mediazione. Il testo definitivo della Convenzione è stato licenziato nel corso della 51esima sessione della Commissione delle Nazioni Unite per il commercio internazionale, il 25 giugno 2018. Ai lavori hanno partecipato 85 Stati membri e 35 organizzazioni governative e non governative, riunite in un gruppo di lavoro, il “Working Group II”. È stato creato uno strumento che mira ad implementare un regime internazionale per l'esecutività degli accordi di mediazione, simile a quello previsto dalla convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e l'esecuzione dei lodi arbitrali. La cerimonia per l'apertura della Convenzione alle firme dei paesi aderenti si terrà a Singapore nell'agosto del 2019 e affinché la Convenzione entri in vigore è necessario che venga ratificata da almeno tre Stati membri. Il contesto
Nel maggio del 2014, gli Stati Uniti hanno avanzato una proposta al Working Group II per lo sviluppo di una convenzione multilaterale sulla esecutività degli accordi della mediazione, con l'intento di dare alla mediazione internazionale la stessa spinta che ha avuto l'arbitrato internazionale a seguito della Convenzione di New York. La mancanza di uno strumento simile alla Convenzione di New York del 1958 che garantisse il riconoscimento e l'esecuzione degli accordi raggiunti in mediazione, era infatti ritenuto un fattore disincentivante rispetto all'uso della mediazione per la risoluzione delle controversie internazionali. Era necessario, secondo i proponenti, combattere lo sfavore con cui la mediazione viene percepita a livello internazionale nel mondo degli affari. È infatti una percezione assai diffusa che nel caso in cui una parte si renda inadempiente rispetto ad un accordo raggiunto in mediazione, l'altra parte si trovi grandemente svantaggiata, avendo investito risorse nella mediazione e trovandosi poi a difendere le proprie posizioni in un ordinario giudizio civile con un evidente aumento di costi e di tempi. Alcune delle delegazioni che hanno partecipato ai lavori hanno suggerito che la Commissione sviluppasse simultaneamente sia una convenzione, sia un modello di legge, per dar modo al più gran numero di Stati possibile di usare uno strumento condiviso, compresi quegli Stati per i quali una convenzione come quella di Singapore sarebbe al momento prematura. In precedenza l'UNCITRAL aveva già approvato le “Conciliation Rules” (1980) e una Legge Modello (2002) sulla Conciliazione commerciale internazionale. Il lavoro del Working Group II si è dipanato per 8 sessioni, tra Vienna e New York, e ha adottato, durante le negoziazioni, una struttura simile a quella di una mediazione multiparte. Il Working Group II ha eletto un presidente, la Signora Natalie Morris-Sharma, di Singapore, che ha condotto le negoziazioni sviluppando “un'agenda”, ovvero dei punti di discussione, assicurando l'adesione da parte dei partecipanti, adattando i lavori in modo che la diversità di vedute dai partecipanti potessero essere rappresentate e così contribuire alle deliberazioni. Ogni sessione si riuniva in una seduta congiunta e successivamente venivano tenuti degli incontri separati o “caucus”. Il segretariato dell'UNCITRAL ha quindi approntato il sostegno tecnico per la redazione del testo. Nel preambolo della Convenzione si riconosce il valore per gli scambi internazionali della mediazione come metodo per risolvere le dispute commerciali, nel quale le parti chiedono a un terzo di assisterle nel tentativo di trovare una soluzione amichevole. Viene altresì riconosciuto che la mediazione è sempre più usata come modalità di risoluzione delle dispute nell'ambito commerciale internazionale e si precisa che l'uso della mediazione conferisce significativi benefici, specialmente nell'ambito delle relazioni commerciali di durata. Viene fatto cenno alla facilitazione degli scambi commerciali internazionali che la mediazione induce, nonché al risparmio che la mediazione apporta ai singoli Stati nell'ambito dell'amministrazione della Giustizia. L'auspicio è che l'esistenza di uno strumento condiviso per gli accordi internazionali ottenuti in mediazione possa contribuire allo sviluppo di relazioni economiche internazionali armoniose. Alcuni tratti salienti della convenzione
TerminologiaIl termine “conciliation” che era usato nei precedenti lavori della Commissione, incluso il modello di legge del 2002, viene sostituito dal termine “mediation”. Il Working Group II ha rilevato che il secondo termine fosse molto più usato per indicare una modalità di risoluzione amichevole delle controversie facilitata da un terzo e ha ritenuto che l'uso di un termine già ampiamente usato, quale mediazione, in luogo di conciliazione, potesse favorire la diffusione e migliorare la visibilità della Convenzione e della nuova legge modello. La Convenzione fornisce anche una definizione di mediazione come il processo per il quale le parti cercano di raggiungere un accordo amichevole della loro controversia con l'assistenza di un terzo (“il mediatore”) che non ha l'autorità di imporre una soluzione alle parti della controversia (art. 2.3), senza che rilevi l'espressione usata per definire il processo né il presupposto in base al quale tale processo si svolge. Ambito di applicazioneAffinché ricada nell'ambito di applicabilità della Convenzione, l'accordo deve soddisfare diversi requisiti: deve essere stato raggiunto ad esito di una mediazione, deve riguardare degli scambi commerciali internazionali e non deve essere soggetto ad alcuna esplicita esclusione. La Convenzione si applica ad un accordo raggiunto ad esito di una mediazione, senza che siano indicate specifiche caratteristiche della mediazione, ulteriori alla definizione di mediazione data nell'art. 2.3 della Convenzione. Il testo non specifica se debba esistere una “struttura” minima della mediazione o se possa essere un procedimento completamente informale, né quale debba essere il coinvolgimento minimo del mediatore. Non si dice, ad esempio, se il mediatore debba essere coinvolto per tutto il processo di mediazione, oppure solo per alcune parti o alcuni specifici punti che le parti non sono riuscite a risolvere autonomamente. Pertanto si può sostenere che la Convenzione si orienti per un'interpretazione molto ampia di mediazione. La Convenzione di Singapore si applica quando almeno due parti hanno le rispettive sedi d'affari in due stati diversi, ovvero quando le sedi d'affari siano in uno stato diverso da quello in cui una parte sostanziale dell'obbligazione deve essere eseguita, oppure diverso dallo Stato con cui l'accordo ha il collegamento più stretto (art. 1.1).La Convenzione non si applica agli accordi di mediazione nelle materie consumeristiche e a quelle personali, familiari e domestiche. In questo caso la Convenzione si rifà, anche testualmente, alle esclusioni già contenute nella Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (art. 1.2, lett. a).L'applicabilità è altresì esclusa per agli accordi relativi al diritto di famiglia, successorio e del lavoro (art. 1.2, lett. b).La Convenzione esclude dal proprio ambito di applicazione gli accordi:• raggiunti o ratificati da un organo giurisdizionale;• gli accordi che costituiscono titolo esecutivo nello Stato in cui tale organo giurisdizionale si trova;• i lodi arbitrali (art. 1.3).Benché la seconda ipotesi sopra riportata, ovvero gli accordi che costituiscono titolo esecutivo nello Stato in cui vengono raggiunti, abbia poca rilevanza nella pratica, il Working Group II, dopo un approfondito dibattito svoltosi essenzialmente nella sessione di febbraio 2017, ha deciso di specificarla anche per evitare una sovrapposizione con la Convenzione de L'Aia del 2005, la Choice of Court Agreement Convention.La Convenzione appronta anche alcuni (pochi) requisiti formali per l'accordo. Innanzitutto l'accordo deve essere in forma scritta (art. 1.1), dove la forma scritta (“in writing”) copre diverse forme di manifestazione dell'accordo, dalla registrazione vocale, alla forma elettronica, ovvero qualunque forma che consenta di accedere alle informazioni contenute nell'accordo, anche un semplice scambio di email. La Convenzione infatti non prescrive che l'accordo debba essere contenuto in un unico documento. In secondo luogo l'accordo deve essere sottoscritto dalle parti. Per quanto riguarda i documenti elettronici, il requisito della sottoscrizione è soddisfatto se rispetta alcuni standard previsti per il commercio elettronico (art. 4.2). Ad esempio, può ritenersi sufficiente che la mail che contiene il documento provenga dall'account di una delle parti. Limiti e requisiti dell'esecutivitàLa Convenzione riconosce agli Stati una certa flessibilità ed autonomia nell'esecuzione degli accordi derivanti da una mediazione commerciale internazionale.Ogni stato aderente potrà rendere esecutivi gli accordi raggiunti in mediazione secondo le proprie norme di procedura, oppure alle condizioni previste dalla Convenzione (Art. 3).Al fine di provare che l'accordo è stato raggiunto in mediazione, la Convenzione fornisce alcuni esempi, quali: la firma del mediatore sull'accordo, un documento a firma del mediatore che conferma l'avvenuta mediazione, un'attestazione da parte dell'ente che amministra la mediazione. La Convenzione precisa che è considerata valida qualunque prova considerata tale dall'autorità competente, lasciando agli Stati membri l'autonomia di decidere quale prova sia accettabile (art. 4.1).La Convenzione detta altresì dei limiti all'esecutività dell'accordo.Non può trovare esecuzione un accordo sottoscritto da una parte che non aveva la piena capacità (art. 5.1, lett. a); nemmeno può trovare esecuzione un accordo nullo, impossibile, non vincolante o non definitivo, o successivamente modificato (art. 5.1, lett. b); non può nemmeno trovare esecuzione un accordo le cui obbligazioni siano incomprensibili, già eseguite ovvero quando la loro esecuzione sarebbe contraria ai termini dell'accordo (art, 5.1, lett. c).La contrarietà all'ordine pubblico dell'accordo e il fatto che la questione controversa non possa essere risolta in mediazione secondo la legge di una delle parti sono ulteriori motivi di impedimento all'esecuzione dell'accordo (art. 5.2).Inoltre, non può essere messo in esecuzione un accordo per il quale il mediatore abbia tenuto condotte gravemente scorrette, ovvero abbia occultato delle circostanze dalle quali sarebbero emersi dei dubbi sul rispetto da parte del mediatore stesso dei propri doveri di indipendenza e imparzialità, quando tale occultamento abbia avuto un'influenza indebita sull'adesione di una delle parti all'accordo (art. 5.1, lett. e, f). La natura dell'AccordoQualcuno, tra cui Timothy Schnabel, negoziatore della Convenzione per gli Stati Uniti, ha suggerito che dalla Convenzione nasca un nuovo strumento legale internazionale, elevando ciò che sarebbe altrimenti è un semplice contratto a uno status sui generis. Secondo questa suggestione, la Convenzione trasforma ciò che sarebbe un semplice accordo tra le parti in uno strumento privilegiato, legalmente vincolante a livello internazionale.All'interno del Working Group II, questo è stato un punto molto controverso. Alcune delegazioni hanno suggerito che l'accordo derivante dalla mediazione venisse riversato o trasformato in un lodo arbitrale usando una finzione, “a useful fiction”. Ma, oltre all'estrema laboriosità di questo ipotizzato procedimento, che implicherebbe la nomina di un arbitro che riversi l'accordo in un lodo, resta la questione, già nota, se ad un lodo così fittiziamente trasformato sia applicabile la convenzione di New York. Infatti, secondo argomenti già approfonditi da diversi anni, a un tale accordo, trasformato eventualmente in un lodo, mancherebbe il requisito della “controversia” previsto dall'art. 1 della Convenzione di New York ai fini la sua applicabilità, pertanto un accordo siffatto resterebbe esterno all'applicazione di tale convenzione.La Convenzione di Singapore non pone limiti al contenuto dell'accordo. Benché l'azione esecutiva per ottenere l'adempimento di un'obbligazione non monetaria sorgente dall'accordo possa essere difficile da ottenere nella pratica, la Convenzione, a seguito di accesi dibattiti nel Working Group II, non fa differenza tra obbligazioni monetarie e non monetarie. Pertanto ogni obbligazione sorgente da un accordo di mediazione può ricevere l'esecutività anche se è evidente che le obbligazioni non monetarie presenteranno una maggiore complessità di esecuzione. RiserveLa Convenzione di Singapore permette agli Stati aderenti di svolgere una serie di riserve. In particolare l'art. 8 prevede che uno Stato possa escludere l'applicabilità della Convenzione negli accordi raggiunti ad esito di una mediazione in cui lo Stato, il governo o una sua emanazione, sia parte. Prevede altresì che gli Stati possano applicare la Convenzione solo nel caso in cui le parti dell'accordo di mediazione abbiano espressamente previsto l'applicabilità della Convenzione stessa.
In conclusione
Lo sviluppo di un trattato multilaterale come la Convenzione di Singapore costituisce una base di riferimento per la comunità internazionale, che sostenga e promuova lo sviluppo della mediazione commerciale internazionale come metodo di risoluzione delle controversie. Il pieno dispiegamento di un così grande potenziale dipenderà in gran parte dal numero di Stati che decideranno di ratificare la Convenzione, a partire dal 1° agosto 2019, e dalla capacità degli avvocati, dei mediatori e degli operatori del diritto di argomentare in favore dei benefici della Convenzione e della sua ratifica. |