Licenziamento intimato in ragione del trasferimento d'azienda e difetto di giustificato motivo

18 Febbraio 2019

La Suprema Corte ribadisce quanto affermato dalla più recente giurisprudenza, e cioè che in caso di cessione d'azienda, l'alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, sicché il trasferimento, sebbene non possa esserne l'unica ragione giustificativa, non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo...

Il caso. Con ricorso ex lege n. 92 del 2012, una lavoratrice conveniva in giudizio la società E. s.p.a. al fine ottenere, in via principale, la declaratoria di nullità o di inefficacia del licenziamento intimatole e comunque il suo annullamento, la condanna della società alla reintegrazione nonché il pagamento del risarcimento danni; in via subordinata, la declaratoria di illegittimità del licenziamento in quanto privo di giustificato motivo oggettivo e la condanna al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a una somma compresa tra le 12 e 24 mensilità; in via ulteriormente subordinata, la declaratoria di inefficacia del licenziamento intimato in violazione della procedura prevista dalla l. n. 604 del 1966, art. 7, con condanna al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a una somma compresa tra le 6 e le 12 mensilità.

La ricorrente deduceva di aver lavorato alle dipendenze della società S. s.p.a. e di aver ricevuto una comunicazione sulla soppressione del proprio posto di lavoro a seguito del trasferimento dei relativi compiti presso la sede della società “consorella” di E. s.p.a. in vista della fusione per incorporazione di quest'ultima con la società S. s.p.a., poi concretizzatasi; a tale comunicazione seguiva la lettera di licenziamento intimatole per soppressione del posto di lavoro.

Per la ricorrente doveva applicarsi il comma 4 dell'art. 2112, c.c., che esclude che il trasferimento d'azienda (cui doveva equipararsi la fusione) possa costituire di per sé motivo di licenziamento, e lamentava la mancata osservanza dell'obbligo di repechage, e/o la violazione della procedura di cui alla l. n. 223 del 1991, art. 14.

La resistente, società E. s.p.a., deduceva la legittimità del licenziamento individuale per g.m.o. (determinato dal calo del fatturato e dalla necessità di incorporare S. s.p.a.), escludendo l'applicabilità della l. n. 223 del 1991.

Il Tribunale accoglieva con ordinanza la domanda, annullando il licenziamento intimato alla lavoratrice, ordinava la sua reintegra e il pagamento dell'indennità risarcitoria, ritenendo il recesso in contrasto con l'art. 2112, c.c., comma 4, dovendo ricondursi esclusivamente alla fusione societaria e comunque per violazione della procedura ex lege n. 223 del 1991.

Successivamente il Tribunale accoglieva l'opposizione proposta dalla società, ritenendo provata la crisi aziendale che aveva determinato la soppressione del posto di lavoro in questione indipendentemente dalla fusione e dunque esclusa la violazione dell'art. 2112, c.c., ed esclusa infine, anche per difetto dei requisiti numerici, l'applicabilità della l. n. 223 del 1991.

Avverso tale sentenza proponeva reclamo la lavoratrice e resisteva la E. s.p.a.

La Corte d'appello di Roma riformava la sentenza impugnata, dichiarando l'illegittimità del licenziamento, ordinava la reintegra della lavoratrice presso lo stabilimento della società E. di Napoli e il risarcimento del danno pari a 12 mensilità della r.g.f., l. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 1, novellato, oltre accessori.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società E. s.p.a.

Licenziamento intimato in ragione del trasferimento d'azienda e difetto di giustificato motivo. La Suprema Corte ribadisce quanto affermato dalla più recente giurisprudenza, e cioè che in caso di cessione d'azienda, l'alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, sicché il trasferimento, sebbene non possa esserne l'unica ragione giustificativa, non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo.

L'art. 2112, c.c., stabilisce che il trasferimento di azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento, non facendone in generale divieto, tanto meno a pena di nullità.

Nel caso in esame la Corte osserva che il licenziamento non può essere tutelato dal comma 1 dell'art.18, che prevede la reintegra piena nei casi di licenziamento discriminatorio o determinati da motivo illecito determinante ovvero, per quanto qui interessa e ritenuto dalla sentenza impugnata, negli "altri casi di nullità previsti dalla legge" non essendovi dubbio che il ridetto art. 2112, c.c., non preveda affatto la nullità del recesso, ma, in conformità della lettera della legge, da interpretarsi restrittivamente, una ipotesi di annullabilità per difetto di giustificato motivo.

Deve piuttosto ritenersi che la fattispecie in esame concreti l'ipotesi della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per g.m.o. di cui al secondo periodo del comma 7 dell'art. 18 novellato, essendo stato accertato che al momento del recesso le ragioni poste a fondamento di questo non solo non sussistevano, essendo semplicemente correlate ad un futuro accorpamento di mansioni che sarebbe peraltro conseguito da una futura fusione societaria, ancora da venire ancorché prossima, che a sua volta non costituisce per legge (art. 2112, comma 4, c.c.) un giustificato motivo di licenziamento.

La sentenza impugnata avrebbe dunque dovuto applicare la tutela di cui al comma 4 dell'art. 18 novellato (cd. reintegra attenuata), con annullamento del licenziamento, condanna alla reintegrazione del lavoratore ed al pagamento a carico della società di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione, detratto l'eventuale aliunde perceptum o percipiendum, in ogni caso non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali come stabilito dal detto comma 4).

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