Chiamata in garanzia: non opera la regola dell'automatica estensione della domanda attorea al terzo chiamato
26 Febbraio 2019
Massima
Qualora il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni chiami in causa un terzo indicandolo come soggetto (cor)responsabile della pretesa fatta valere dall'attore e chieda di essere manlevato in caso di accoglimento della pretesa attorea, senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva, si versa in una ipotesi di chiamata in garanzia, nella quale non opera la regola della automatica estensione della domanda al terzo chiamato, atteso che la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta, ma anzi coesiste, con quella del convenuto rispetto all'azione risarcitoria, salvo che l'attore danneggiato proponga nei confronti del chiamato (quale coobbligato solidale) una nuova autonoma domanda di condanna. Il caso
AAA conveniva in giudizio l'Azienda Ospedaliera BBB, onde ottenere risarcimento dei danni sofferti in ragione di intervento chirurgico effettuato nell'ambito della struttura della stessa. Costituitasi in giudizio, l'Azienda convenuta resisteva alla domanda e, nel contempo, chiamava in causa il medico chirurgo CCC autore del suddetto intervento, per farne accertare la corresponsabilità nell'occorso ed esserne manlevata in ipotesi di soccombenza. Il Tribunale adito dichiarava cessata la materia del contendere fra le parti originarie del processo, essendo intervenuta tra le stesse transazione stragiudiziale, e dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento danni proposta dall'attore nei confronti del medico chirurgo chiamato in causa, sul rilievo che, poiché quest'ultimo non era stato evocato in giudizio quale unico ed esclusivo responsabile del danno, non poteva trovare applicazione la regola dell'estensione automatica al terzo chiamato della domanda risarcitoria attorea svolta nei confronti del soggetto convenuto. In sede di gravame proposto dall'originario attore AAA, la Corte di merito adita confermava in ogni sua parte la decisione di primo grado e rilevava, inoltre, che la domanda risarcitoria formulata dall'appellante nei confronti del medico chirurgo CCC, per la prima volta, con una «memoria istruttoria», era da ritenere tardiva, in quanto preclusa dalla scadenza dei termini perentori di cui all'art. 183 c.p.c., rimanendo altresì preclusa per «novità» ex art. 345 c.p.c. la domanda di condanna proposta nei confronti del sanitario con l'atto di appello. Avverso tale pronuncia AAA proponeva ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento. Gli intimati (medico chirurgo ed assicuratore dello stesso) resistevano con distinti controricorsi. La questione
La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione è stata quella di stabilire se, nel caso di chiamata in garanzia effettuata dal convenuto in un giudizio per risarcimento danni, mirata unicamente a far dichiarare il terzo chiamato corresponsabile del danno, senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva, la domanda attorea debba ritenersi automaticamente estesa al terzo chiamato. Le soluzioni giuridiche
i) Le doglianze proposte in varie forme dal ricorrente, tutte mirate a far rientrare dalla finestra ciò che sarebbe stato suo onere far entrare dalla porta nella fase di primo grado del giudizio, si sono sostanziate nel censurare la decisione di merito nella parte in cui aveva sancito che la domanda risarcitoria formulata nei confronti dell'Azienda Ospedaliera convenuta non poteva ritenersi automaticamente estesa al medico chirurgo chiamato da quest'ultima in causa, per farne accertare la corresponsabilità nell'occorso ed esserne manlevata. ii) In primo luogo, a parere del ricorrente, la Corte di merito aveva errato nel fondare l'applicazione del principio di estensibilità della domanda risarcitoria nei confronti del terzo chiamato sulla distinzione della natura del rapporto obbligatorio tra chiamante e terzo chiamato, a seconda che si trattasse di garanzia «propria» o di garanzia «impropria», escludendo il principio di automatismo nei casi di garanzia «impropria», ravvisata sussistente nella fattispecie giacché la responsabilità fatta valere dall'Azienda Ospedaliera nei confronti del terzo trovava fondamento in un titolo indipendente ed autonomo – il rapporto di lavoro dipendente – rispetto a quello posto a base della domanda principale – contratto di assistenza sanitaria) – tesi erronea ad avviso del ricorrente, essendo stata riconosciuta irrilevante dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 4 dicembre 2015, n. 24707) la distinzione tra garanzia «propria» ed «impropria», dovendo, pertanto, l'estensione della domanda di condanna al risarcimento danni ritenersi automaticamente estesa al chiamato in qualsiasi ipotesi di chiamata in garanzia. iii) In secondo luogo, a parere del ricorrente, il principio di estensione automatica della domanda al terzo chiamato in garanzia impropria si dovrebbe, comunque, ritenere applicabile tutte le volte in cui tale chiamato sia stato indicato come «corresponsabile»del danno. iv) Entrambe le doglianze sono state ritenute infondate dalla sentenza in commento. v) La Corte ha chiarito, «in fatto», che, nella fattispecie, dovevano ritenersi venuti in rilievo due distinti rapporti processuali, il primo (rapporto principale) tra attore e convenuto e il secondo (rapporto di garanzia – propria o impropria) tra convenuto e terzo chiamato e che la chiamata del terzo in garanzia era stata effettuata dal convenuto senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva, quindi a titolo di corresponsabilità; non risultando, inoltre, l'esplicita estensione della domanda attorea nei confronti del terzo chiamato. vi) La Corte ha, quindi, ricordato che la giurisprudenza di legittimità è assolutamente univoca nell'affermare che l'estensione automatica della domanda dell'attore nei confronti del chiamato in causa dal convenuto opera unicamente quando tale chiamata sia effettuata dal convenuto per ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea, sia cioè volta a sottrarsi alla pretesa risarcitoria con «indicazione del terzo quale esclusivo responsabile» del danno – caso in cui, essendo «unico» il rapporto da accertare (id est il rapporto tra il danneggiato-attore e l'autore della condotta da cui è derivato il danno), si tratta solo di stabilire quale tra i due soggetti che negano di essere entrambi l'effettivo destinatario della pretesa risarcitoria sia il vero responsabile in via alternativa (il convenuto o il terzo). vii) Quanto al richiamato (v. punto ii) «arresto» delle Sezioni Unite,la Corte ha affermato che lo stesso doveva ritenersi non pertinente, essendo stato tale «arresto» unicamente inteso ad affermare il principio secondo cui la distinzione fra garanzia «propria» ed «impropria» «è priva di effetti sulla regola, ricorrente in tutti casi di chiamata del terzo in garanzia, della legittimazione del terzo chiamato a contraddire anche in ordine al rapporto principale e ad esercitare il potere di impugnazione sui capi della sentenza di merito concernenti l'accertamento del rapporto principale …, il che non esclude affatto la irrilevanza della distinzione tra garanzia propria ed impropria al di fuori della regola indicata»; non risultando, pertanto consentito di risolvere, sulla base del suddetto principio «la diversa questione della "automatica estensione" della domanda risarcitoria svolta dall'attore nei confronti del convenuto, anche al terzo chiamato in garanzia (propria od impropria) dal convenuto, ai soli fini della estensione soggettiva dell'accertamento del rapporto principale, ovvero ampliando l'oggetto originario del giudizio anche al differente rapporto di garanzia (di cui il chiamante chiede l'accertamento od anche l'adempimento)». viii) La Corte ha, comunque, a tale riguardo, assorbentemente, chiarito che la nozione di garanzia «propria» ed «impropria» non assumeva, nella fattispecie, alcun rilievo, in quanto la Corte di merito, diversamente da quanto ipotizzato dal ricorrente, non aveva fondato sulla diversa natura della garanzia la regola dell'automatica estensione della domanda al terzo chiamato, «quanto piuttosto sul contenuto della domanda proposta dal convenuto-chiamante nei confronti del terzo», venendo a distinguere tra l'ipotesi di chiamata in garanzia«propria» od «impropria» (con le domande di accertamento ed eventualmente di condanna condizionata, svolte dal garantito contro il terzo), alla quale la suddetta regola non si applica, giacché la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta ed anzi coesiste con la legittimazione passiva del convenuto-responsabile rispetto alla azione risarcitoria proposta dall'attore, e l'ipotesi in cui la chiamata venga effettuata al fine di indicare il terzo quale esclusivo responsabile del fatto, alla quale, invece, la suddetta regola si applica, giacché la posizione processuale assunta dal terzo risulta oggettivamente incompatibile con quella del convenuto, ponendosi in termini di alternatività, in quanto l'accertamento della responsabilità dell'uno esclude quella dell'altro. Osservazioni
i) Con il termine «garanzia» si fa riferimento al fenomeno in base al quale un soggetto (il garantito) ha, per legge o per titolo negoziale, il diritto ad essere tenuto indenne, ad opera di un altro soggetto (il garante), dal pregiudizio economico o giuridico che possa derivargli dalla soccombenza nei confronti della controparte nella causa in cui sia stato «coinvolto». Il soggetto garantito può identificarsi sia – ed è questa l'ipotesi che ordinariamente si verifica – con la parte convenuta nella causa principale, sia con la parte attrice nella medesima causa. Mediante la chiamata in garanzia, il terzo viene evocato in causa affinché risponda in luogo del chiamante, oppure affinché sia condannato a rispondere di quanto il chiamante sarà tenuto eventualmente a prestare all'altra parte, oppure affinché su di lui vengano a prodursi le eventuali conseguenze negative a carico del chiamante, oppure affinché venga accertata la sua corresponsabilità nell'occorso posto a fondare la domanda attorea. ii) A seconda del fatto giuridico assunto a fondare il rapporto di garanzia, la giurisprudenza di legittimità ha sempre distinto per vari effetti sul piano processuale, almeno sino a tempi recenti, tra garanzia c.d. «propria» e garanzia c.d. «impropria». La garanzia del primo tipo ricorre quando domanda principale e domanda di garanzia abbiano lo stesso titolo ovvero ricorra una connessione oggettiva (identità di oggetto, cioè del petitum, e identità di titolo, cioè della causa petendi) tra le due domande oppure quando siaunico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella accessoria (v. ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 25 luglio 2004, n. 13968; Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2007, n. 5978; Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2009, n. 17688; Cass. civ., sez.lav., 16 aprile 2014, n. 8898). La garanzia del secondo tipo ricorre nelle ipotesi in cui il chiamante (di regola, la parte convenuta) tenda a riversare su di un terzo le conseguenze del proprio inadempimento o comunque della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso ed autonomo/indipendente da quello assunto a fondare la domanda principale, oppure in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (v., ex multis, Cass. civ., sez.lav., 16 aprile 2014, n. 8898). iii) Va segnalato che la suddetta distinzione deve ritenersi divenuta ormai irrilevante, essendole stato attribuito «valore puramente descrittivo» in forza di recente intervento delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 4 dicembre 2015, n. 24707). Le Sezioni Unite, pur chiamate a deliberare in ordine a specifica fattispecie, dichiarando la distinzione priva di effetti ai fini dell'applicazione degli artt. 32, 108 e 331 c.p.c., hanno dato la suddetta soluzione in termini sostanzialmente unitari, vale a dire con argomenti che appaiono essere utilizzabili per dare supporto in termini generali ai principi affermati. Ciò stante, non si ritiene di poter seguire la sentenza in commento laddove (punto vii) del precedente paragrafo) sembra avere sostenuto la tesi secondo cui nei casi della specie condotta al suo esame la distinzione dovrebbe ritenersi operativa e l'estensione della domanda attorea sarebbe ammessa in caso di garanzia «propria» e non in caso di garanzia «impropria». iv) Il vero è che nei casi di chiamata in garanzia, «propria» od «impropria» che sia, l'estensione della domanda attorea al terzo chiamato in causa è subordinata ad alcune condizioni. É consolidato in giurisprudenza l'indirizzo secondo cui il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore nei confronti del terzo chiamato in causa dal convenuto opera soltanto quando tale chiamata sia effettuata dal convenuto per ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea, individuandosi il terzo come l'unico obbligato nei confronti dell'attore, in posizione alternativa con il convenuto ed in relazione ad un unico rapporto, mentre non opera in caso di chiamata in garanzia («propria» od «impropria»), in ragione dell'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2006, n. 1522; Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13131; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2010, n. 5057; Cass, sez. L, 7 giugno 2011, n. 12317; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2013, n. 5400; Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3613; Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2014, n. 23306; Cass. civ., sez. III, 13 novembre 2015, n. 23213; Cass. civ., sez. II, 27 aprile 2016, n. 8411; Cass. civ., sez. I, 28 novembre 2016, n. 24294). In particolare, è stato precisato che, nell'ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di risarcimento dei danni, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami in causa un terzo, con il quale non sussista alcun rapporto contrattuale, l'atto di chiamata, al di là della formula adottata, va inteso come chiamata del terzo responsabile e non già come chiamata in garanzia «impropria», giacché non solo tale condotta è logicamente e giuridicamente incompatibile con la qualificazione dell'evocazione del terzo come chiamata in garanzia, ma, altresì in quanto l'effettiva volontà del chiamante appare essere nel senso di perseguire l'attribuzione al terzo della responsabilità del danno (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 2009, n. 27525; Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2016, n. 24294; Cass. civ., sez. I, ord. 8 marzo 2018, n. 5580). v) Il principio dell'estensione automatica della domanda principale al terzo chiamato in causa dal convenuto non opera, invece, quando lo stesso terzo venga evocato in giudizio come obbligato solidale o in garanzia «propria» od «impropria», essendo in questo caso necessaria la formulazione di un'espressa ed autonoma domanda da parte dell'attore (Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2007, n. 23308). Il caso esaminato dalla sentenza in commento rientra nella fattispecie appena sopra descritta. Ed invero, la chiamata del terzo ad opera del soggetto convenuto risulta essere stata effettuata non già al fine di ottenere liberazione dalla pretesa attorea ma al fine di ottenere dichiarazione di corresponsabilità con domanda di manleva, senza che il chiamante ponesse in dubbio la propria legittimazione passiva. vi) Anche in caso di rapporto oggettivamente unico, la presunzione su cui si fonda il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al terzo chiamato (ossia che l'attore voglia la condanna del chiamato, pur avendo agito nei confronti del solo convenuto) non può operare se l'attore escluda espressamenteche la propria domanda sia stata proposta nei confronti del terzo chiamato (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 2016, n. 8411). Qualora ciò avvenga e l'attore si limiti a chiedere la sola condanna dell'originario convenuto, al giudice, in virtù del principio generale della domanda, è inibito il potere di emettere una statuizione di condanna nei confronti del stesso terzo e a favore dell'attore (v. Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2009, n. 998, secondo cui, in tal caso, all'attore non è consentito di estendere successivamente la domanda condannatoria nei riguardi del terzo in appello, perché essa, configurandosi come nuova, incorrerebbe nella preclusione prevista dall'art. 345 c.p.c.). Qualora, invece, l'attore non provveda all'esclusione esplicita, il giudice può direttamente emettere nei confronti del terzo chiamato una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione (Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2007, n. 13165; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2011, n. 20610). Si realizza, nei casi in questione (nei casi, cioè, in cui la domanda venga espressamente estesa al terzo oppure debba considerarsi estesa al medesimo), un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso (Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2007, n. 13374 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1748; Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13131; Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2011, n. 12317). Le Sezioni Unite hanno chiarito che il principio dell'automatica estensione delle domande (nella specie, di risarcimento) al terzo che il convenuto abbia chiamato in causa, indicandolo come effettivo e diretto obbligato, non opera quando il terzo non abbia partecipato al giudizio in tale veste, ma sia in esso intervenuto per far affermare la propria qualità di titolare, in luogo dell'attore, del diritto da questi fatto valere a fondamento della domanda di risarcimento del danno. Incorre, pertanto, nel vizio di ultrapetizione il giudice che condanni, in questo caso, il terzo intervenuto al risarcimento del danno in solido con il convenuto (Cass. civ., Sez. Un., 13 luglio 2007, n. 15756). |