Recesso del socio di s.r.l. e diritto di prelazioneFonte: Cod. Civ. Articolo 2473
07 Marzo 2019
Il socio di s.r.l. che ha dichiarato di voler recedere dalla società con effetto immediato chiedendo la liquidazione della sua quota, prima che detta liquidazione avvenga ha diritto di esercitare la prelazione statutaria nel caso di trasferimento della quota di altro socio?
Riferimenti normativi – L'art. 2473 c.c. rubricato “Recesso del socio” al comma 1 dispone che “L'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'articolo 2468, quarto comma. Restano salve le disposizioni in materia di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento. L'art. 2469 c.c. (“Trasferimento delle partecipazioni”) enuncia che “Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto. Qualora l'atto costitutivo preveda l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473. In tali casi l'atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato”.
Osservazioni – Il quesito in esame impone una verifica circa la compatibilità dell'istituto disciplinato dall'art. 2473 c.c. (il recesso del socio) ed il diritto del socio stesso ad esercitare la cd. clausola di prelazione, ove prevista dall'Atto Costitutivo della società. Occorre premettere, anzitutto, che la prelazione societaria non è espressamente disciplinata dal legislatore, ma il suo fondamento giuridico (per le S.r.l.) lo si ricava in negativo dall'art. 2469 c.c. ed in particolare dall'inciso “le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto”. La clausola di prelazione, in buona sostanza, costituisce una limitazione alla libera circolazione delle quote, obbligando il socio che intende cedere la propria partecipazione ad offrirla alla restante compagine sociale, che potrà acquistarla ai medesimi termini concordati con i terzi. La giurisprudenza maggioritaria ha attribuito alla clausola in parola un interesse prettamente sociale, volto a tutelare, cioè, la struttura e l'organizzazione della società (cfr., per chiarezza espositiva, Cass., n. 12012/1998, poi richiamata da tutti i più recenti arresti). Svolta tale doverosa premessa, occorre ora analizzare come si pone la menzionata prelazione con l'istituto di cui all'art. 2473 c.c. ed in particolare verificare se, una volta esercitato il recesso, il socio versi ancora nella possibilità e disponibilità di azionare la prelazione statutaria. Per rispondere al quesito posto si ritiene doveroso analizzare la natura del recesso. Orbene, già prima del noto d.lgs. n. 6/2003, con cui è stato profondamente riformato l'impianto giuridico del diritto societario, dottrina e giurisprudenza erano sostanzialmente concordi nell'equiparare tale istituto ad una forma di recesso contrattuale ex art. 1373 c.c. Tale tesi viene oggi ulteriormente corroborata dal respiro marcatamente contrattualistico che la citata riforma ha attribuito al fenomeno societario (cfr. art. 3 Legge Delega n. 366/2001). Anche in ambito societario, pertanto, il recesso può essere definito come atto unilaterale e recettizio: unilaterale in quanto si perfeziona grazie alla dichiarazione di volontà di una sola parte e recettizio in quanto produce i suoi effetti una volta che è portato a conoscenza dell'altra parte. In merito al carattere recettizio, in particolare, occorre svolgere un'ulteriore riflessione circa l'efficacia del recesso, ossia sul momento temporale in cui il socio recedente perde in via definitiva la propria qualità di socio, con conseguente perdita dei diritti ad essa correlati. Un primo orientamento – per vero risalente ed assolutamente minoritario – ritiene che il venir meno dello status di socio coincida con la liquidazione della propria quota (sul punto, G. Grippo Il recesso del socio, in Trattato Colombo, 1999, 181 e ss). Tale scuola di pensiero, tuttavia, non ha mai trovato un reale conforto nella giurisprudenza di legittimità ed anzi è stata superata da una diversa ricostruzione, secondo cui il socio perde tale qualifica una volta che la propria comunicazione di recesso perviene alla società (su tutti, E.E. Bonavera, Esercizio del diritto di recesso del socio di società di capitali, 2001, 55 e ss). E, in ragione della menzionata natura contrattuale del recesso, è proprio a tale secondo orientamento a cui si ritiene di aderire, ove lo scioglimento dal vincolo contrattuale (id est societario) lo si avrà già con la semplice ricezione della dichiarazione di recesso, costituendo la liquidazione della quota solo un mero effetto successivo al recesso stesso. Applicando tali principi al caso di specie è possibile quindi sostenere che al socio recedente, in attesa che gli venga liquidata la propria partecipazione sociale, non spetti l'esercizio della prelazione; diritto, questo, già perso una volta esercitato il recesso dalla società. Ma a prescindere da tale argomentazione, ad analoga conclusione è possibile giungere anche analizzando la natura prettamente sociale della prelazione: se, come detto, la ratio di tale clausola è quella di salvaguardare l'organizzazione e la struttura della società, non avrebbe senso riconoscere l'esercizio di tale diritto ad un soggetto che, di fatto, ha già dichiarato il proprio disinteresse nei confronti della stessa società, stante l'esercitato recesso. In conclusione, per le ragioni esposte pare aprirsi un certo spazio per sostenere, anzi confermare, l'incompatibilità tra i due istituti. |