L'istituto in esame trova la sua base giuridica principalmente nell'art. 118 c.p.c., che ne individua il potere giudiziale, i presupposti ed i limiti, i destinatari e le conseguenze; invece, negli articoli 258-262 c.p.c., nell'ambito della disciplina dell'istruzione probatoria, vengono delineate essenzialmente le modalità esecutive.
Inquadramento
L'ispezione consiste nell'osservazione compiuta dal giudice in via immediata e diretta ovvero, qualora non sia possibile l'esame oculare, nell'osservazione strumentale a mezzo degli opportuni supporti tecnico-scientifici, dello stato o della condizione delle persone e delle cose mobili o immobili, rilevante per la decisione della causa, le cui risultanze, consacrate nell'apposito processo verbale, sono poi acquisite al processo.
Così definita, l'ispezione costituisce l'archetipo della prova diretta e s'inserisce nel novero delle prove costituende.
Ciò premesso in termini introduttivi, va rilevato che l'istituto in esame trova la sua base giuridica principalmente nell'art. 118 c.p.c., che, coerentemente alla sua collocazione (nel Titolo V “Dei poteri del giudice” del Libro primo “Disposizioni generali”), ne individua il potere giudiziale, i presupposti ed i limiti, i destinatari e le conseguenze; invece, nei quattro articoli 258-262 c.p.c. nell'ambito della disciplina dell'istruzione probatoria, vengono delineate essenzialmente le modalità esecutive.
Si impone innanzitutto di delineare i presupposti (sia di ordine positivo che negativo), l'oggetto e i destinatari; quindi, sarà possibile soffermarsi sulla figura peculiare dell'ispezione corporale, delineando le peculiarità nei presupposti e nella disciplina esecutiva con particolare riferimento alle prove ematologiche e immuno-genetiche.
Nel corso dell'indagine, inoltre, sarà necessario soffermarsi sul contemperamento del potere ufficioso del giudice con il generale principio dell'onere della prova.
L'ispezione giudiziale in generale: presupposti, destinatari ed oggetto
Dall'esame dell'art. 118 c.p.c. sono desumibili una pluralità di requisiti generali sia di ordine negativo che positivo.
La principale tra le condizioni negative di ammissibilità risiede nella circostanza che l'ispezione «possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo».
In assenza di precedenti giurisprudenziali che circoscrivano in maniera concreta l'area inibita all'esperimento del mezzo, è stato evidenziato che l'eccessività del danno che deriverebbe al soggetto passivo dall'esecuzione del mezzo istruttorio può assumere rilievo solo quando gli interessi della parte o del terzo, che verrebbero sacrificati o compressi, siano estranei all'oggetto della domanda o dell'eccezione alla cui prova l'ispezione è finalizzata: in altri termini, il rischio della soccombenza non giustifica l'esclusione dal mezzo istruttorio o la sua inottemperanza.
Altra condizione negativa di ammissibilità è ricollegata al divieto di costringere la parte o il terzo a violare uno dei segreti previsti negli artt. 351 e 352 c.p.p. (cui corrispondono ora gli artt. 200-202 del nuovo c.p.p.).
Naturalmente, i limiti negativi esaminati possono incidere, anziché sul profilo dell'inammissibilità, piuttosto sul diverso piano delle modalità esecutive stabilite dal giudice ai sensi dell'art. 268 c.p.c..
Passando all'esame delle condizioni positive, viene in rilievo innanzitutto il possesso della cosa, oggetto d'ispezione, da parte del destinatario dell'ordine del giudice: a tal fine si ritiene sufficiente la disponibilità giuridica e materiale della cosa, declinabile alla stregua anche di mera detenzione e non solo come possesso in senso tecnico.
Generalmente si riconosce che il potere d'ispezione non può mai trasformarsi in potere di perquisizione (affatto sconosciuto al processo civile), né può avere finalità meramente esplorative. A tal proposito, giova evidenziare che devono essere preventivamente scelti e determinati i fatti a dimostrazione dei quali l'ispezione è indirizzata e, in particolare, deve essere raggiunta nel corso del giudizio la prova dell'esistenza della cosa oggetto di ispezione, nonché la prova del possesso da parte del destinatario, eccezion fatta per l'ipotesi in cui il fatto rilevante per la decisione della causa, al cui accertamento l'ispezione medesima sarebbe preordinata, sia rappresentato proprio dall'esistenza (o dall'inesistenza) di quella cosa in un determinato posto.
L'ultima condizione richiesta dall'art. 118 è che l'ispezione appaia «indispensabile per conoscere i fatti della causa»: si dibatte in dottrina tra l'impostazione che interpreta il riferimento come estrema ratio ed assenza di altri mezzi istruttori disponibili e un orientamento che, per non tradire l'utilità dell'istituto, l'ammette anche quando le altre prove eventualmente disponibili risulterebbero per la parte o per il terzo più gravose dell'ispezione stessa.
Così sintetizzati i presupposti, sia di ordine negativo che positivo, è necessario passare all'individuazione dei destinatari e dell'oggetto dell'ispezione.
Soggetto passivo dell'ordine di ispezione può essere, come si ricava dall'art. 118 c.p.c., tanto una delle parti quanto un terzo.
Diverse sono però, nei due casi, le conseguenze dell'eventuale inottemperanza dell'ordine del giudice, poiché, mentre dal rifiuto della parte possono trarsi contro la medesima argomenti di prova a norma dell'art. 116, comma 2, c.p.c. (per espresso rinvio dell'art. 118, comma 2, c.p.c. da intendersi limitati allo specifico processo), il rifiuto del terzo implica solo l'applicazione nei suoi confronti di una pena pecuniaria, ferma restando l'incoercibilità dell'ordine.
La questione di illegittimità costituzionale dell'art. 118 c.p.c. in relazione all'art. 13 Cost. è stata ritenuta manifestamente infondata, atteso che dalla norma menzionata non deriva una restrizione della libertà personale in senso proprio, in quanto al soggetto destinatario dell'ordine è lasciata piena facoltà di libera determinazione in ordine all'assoggettamento o meno all'ispezione (cfr. Cass. civ., n. 1786/1965).
L'art. 118 c.p.c. indica quale possibile oggetto d'ispezione la persona stessa di una parte o di un terzo ovvero una cosa in loro possesso.
Dalla mancata menzione dei documenti, al contrario di quanto espressamente previsto in tema di ordine di esibizione exart. 210 c.p.c., è stato ritenuto che gli stessi non rientrino nel concetto di cosa ai cui fa riferimento l'art. 118 c.p.c.. (cfr. Cass. civ., n. 2760/1996).
L'ispezione corporale: in particolare la qualificazione delle prove ematologiche e immuno-genetiche.
Relativamente alla persona umana, l'indagine giudiziale può toccare ogni suo aspetto processualmente rilevante e riguardare tanto un suo modo di essere apprezzabile esternamente che la condizione degli organi interni: dalla semplice osservazione di una lesione presentata dal volto o di una anomalia degli organi esterni dei sensi, fino alla constatazione delle manifestazioni di alterazioni psicopatologiche e all'indagine sulle parti più interne dell'organismo.
Secondo un approccio tradizionale, si tendeva a ricondurre nella sfera dell'ispezione corporale anche le prove ematologiche e immuno-genetiche comunemente ammesse nei giudizi di accertamento del rapporto di filiazione.
Tale impostazione è stata oggetto di revisione in alcuni recenti pronunciamenti della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., n. 8733/2009 e n. 13880/2017), la quale ha evidenziato come, come nel caso in cui il giudice abbia ordinato al consulente tecnico di procedere ad ispezione corporale (in particolare, conduzione di esami genetici), sfumi il confine tra gli istituti dell'ispezione giudiziale e della CTU.
Specificatamente, è stato osservato che, mentre attraverso l'ispezione il giudice, ovvero il consulente quando possa legittimamente sostituirlo (art. 260 c.p.c.), introducono nel giudizio i risultati conoscitivi (tradotti in linguaggio) dell'osservazione di cose, oggetti, luoghi o persone, nella CTU, all'operazione di percezione, si aggiunge un sapere tecnico, normalmente non posseduto dal giudice, che permetta la valutazione scientificamente corretta dei dati osservati\percepiti.
Quando, però, la consulenza tecnica sostituisca un'ispezione corporale ovvero quando sia necessaria un attività di rilevazione dello stato dello stato di cose o luoghi, i cui risultati siano apprezzabili unicamente attraverso scienze tecniche specializzate (e non attraverso la mera osservazione), allora si esorbita dal campo sia dell'ispezione che della CTU cd. “deducente” perché il lavoro del consulente perde le sue caratteristiche di "ausilio assistenziale e valutativo" ed acquisisce quelle del mezzo di creazione della prova (cd. “percipiente”).
Nei giudizi riguardanti la dichiarazione giudiziale di paternità, gli esami genetici non servono al giudice per integrare la propria capacità di valutare i fatti già allegati in giudizio bensì costituiscono fonte di prova perché accertano in maniera diretta i fatti che la parte ha posto a fondamento della propria domanda (cfr. Cass. civ.,n. 6155/2009). Da tali esami il giudice acquisisce la conoscenza di un fatto biologico accertabile unicamente a mezzo di ricerche scientifiche qualificate, con un margine di errore che si avvicina allo zero e, di conseguenza, capace di decidere il giudizio.
Da ciò deriva l'impossibilità di sussumere gli esami genetici nella categoria dell'ispezione corporale e la conseguente estraneità della disciplina degli artt. 118,258 e 260 c.p.c..
In evidenza
Cass. civ., n. 8733/2009 e Cass. civ., n. 13880/2017
Quando la consulenza tecnica sostituisca un'ispezione corporale ovvero quando sia necessaria un attività di rilevazione dello stato dello stato di cose o luoghi, i cui risultati siano apprezzabili unicamente attraverso scienze tecniche specializzate (e non attraverso la mera osservazione), allora si esorbita dal campo sia dell'ispezione che della CTU cd. “deducente” perché il lavoro del consulente perde le sue caratteristiche di "ausilio assistenziale e valutativo" ed acquisisce quelle del mezzo di creazione della prova (cd. “percipiente”).
Casistica giurisprudenziale sulle prove ematologiche e immuno-genetiche
Dalla giurisprudenza in ordine alle prove ematologiche e immuno-genetiche nell'ambito dei giudizi di accertamento del rapporto di filiazione, a parte la problematicità della qualificazione probatoria, sono desumibili principi di valenza generale soprattutto in tema di ammissibilità e valore della prova.
Il primo dato significativo nell'ambito di tali prove risiede nell'attenuazione del requisito di indispensabilità ai fini della prova del rapporto di filiazione, avendo la giurisprudenza negato il suo carattere eccezionale e annoverato la stessa nel sistema dei mezzi ordinari di prova (cfr. Cass. civ., n. 6400/1980; più recentemente, Cass. civ., n. 3479/2016 ha escluso che, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l'ammissione degli accertamenti immuno-ematologici sia subordinata all'esito della prova storica dell'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, valorizzando il principio della libertà di prova di cui all'art. 269, comma 2, c.c., ed escludendo una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori; analogamente si era espressa Cass. civ., n. 15088/2008 in ordine alla prova del celamento della gravidanza).
Da tale impostazione sono derivate due importanti conseguenze: per un verso, tali prove sono state ritenute utilizzabili per corroborare gli elementi extra-scientifici previamente acquisiti attraverso prove testimoniali o documentali (cfr. Cass. civ., n. 9412/2004) e, per altro verso, il giudice potrebbe astenersi dal disporre tali esperimenti istruttori qualora si pervenga al rilievo dell'esistenza di elementi sufficienti a fondare il convincimento (cfr. Cass. civ., n. 3342/1997).
Il processo in esame è stato cristallizzato dalla pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 266/2006) che, con riferimento all'azione di disconoscimento di paternità prevista prima della riforma operata dal d.lgs. n. 154/2014 (che ha abrogato l'art. 235 c.c. ridisegnando i presupposti dell'azione di disconoscimento di paternità nell'art. 243-bis c.c.), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale (per violazione del principio della ragionevolezza e dell'art. 24 Cost.) dell'art. 235, comma 1, n. 3, c.c., nella parte in cui, ai fini dell'azione di disconoscimento della paternità, subordinava l'esame delle prove tecniche alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie.
Oggetto di particolare attenzione nell'ambito giurisprudenziale è stato il rifiuto di sottoporsi ad indagine ematologiche, configurato come comportamento valutabile exart. 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (cfr. Cass. civ., n. 6025/2015).
Da evidenziare che secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., n. 32309/2018) è valutabile come elemento indiziario di convincimento nel giudizio di disconoscimento della paternità anche la sistematica opposizione avverso l'istanza di detta prova, riconducibile nell'ambito del comportamento processuale di cui all'art. 116, comma 2, c.p.c..
In merito, è da osservare che il rifiuto del ricorrente di sottoporsi agli esami genetici, una volta ricondotti nell'ambito di una CTU cd. “percipiente” in luogo dell'ispezione giudiziale, non deve essere valutato a norma dell'art. 118, comma 2, c.p.c. (che ricollega l'argomento di prova direttamente all'inottemperanza dell'ordine di eseguire l'ispezione), bensì come argomento di prova ricollegato al complessivo contegno processuale in base all'articolo 116, comma 2, c.p.c..
Tale impostazione in ordine alla valutazione della condotta processuale della parte è stata sviluppata anche nei giudizi in materia di invalidità civile, nel cui ambito la mancata presentazione dell'interessato alla visita disposta dal CTU, in assenza di cause di giustificazione, può far ritenere insussistente il dedotto stato invalidante (Cfr. Cass. civ., n. 13533/2002; Cass. civ., n. 7011/2000), essendo necessaria l'ottemperanza all'onere di collaborazione posto a carico della parte istante.
Qualora, invece, sussistano delle cause di giustificazione ritenute fondate dal giudice, egli dovrà valutare complessivamente la condotta della parte ai sensi dell'art. 116 c.p.c. (Cfr. Cass. civ., n. 11056/2003 e Cass. civ., n. 7123/2005).
Peculiarità operative dell'ispezione corporale
L'ispezione è disposta con ordinanza (revocabile e modificabile) del giudice istruttore, che ne fissa il tempo, il luogo e le concrete modalità; dopo la riforma del 1990 le ordinanze pronunciate in materia di ispezione non sono più soggette a reclamo immediato al collegio (come, invece, risultava dal disposto dell'art. 178, comma 1, c.p.c. nel testo previgente).
Qualora soggetto passivo dell'ispezione sia la parte contumace od il terzo, si ritiene che la relativa ordinanza debba essere loro personalmente notificata; ciò che può indifferentemente desumersi, per analogia, dall'art. 95 disp. att. c.p.c., ovvero dall'art. 292 c.p.c..
Qualora, invece, soggetto passivo dell'ispezione sia la parte costituita, la relativa ordinanza, se pronunciata fuori udienza, verrà ad essa comunicata ex art. 176, comma 2, c.p.c..
Particolari misure sono prescritte per l'ispezione corporale, alla quale il giudice deve procedere «con ogni cautela diretta a garantire il rispetto della persona» (art. 260 c.p.c.), potendovi anche delegare il solo consulente tecnico; l'art. 93 disp. att. c.p.c. consente al soggetto passivo di farsi assistere durante l'assunzione «da persona di sua fiducia che sia riconosciuta idonea dal giudice», distinta dal consulente di parte.
Le cautele di cui trattasi attengono alla salvaguardia del diritto alla riservatezza e si possono concretizzare nell'esclusione da parte del giudice della partecipazione delle parti e dei rispettivi difensori, ma, stando ad autorevole orientamento dottrinale, non dei consulenti tecnici.
L'ispezione viene consacrata in apposito verbale che può essere sottoscritto dal solo pubblico ufficiale che lo ha redatto, senza che sia necessaria la sottoscrizione di tutti coloro che vi hanno partecipato.
Si discute in dottrina e giurisprudenza in ordine alle conseguenze della omessa redazione del verbale dell'ispezione o di una redazione del verbale che non riporti fedelmente le attività svolte, le dichiarazioni dei testimoni, i rilievi sollevati, ecc.. Ad avviso di una tesi diffusa in giurisprudenza l'atto sarebbe addirittura inesistente, in quanto il giudice non potrebbe fare ad esso riferimento nella sentenza, non potendo successivamente le parti ed il giudice di appello controllare l'iter compiuto dal giudice di prime cure. Secondo altra tesi, che appare preferibile, l'atto sarebbe nullo, sempre che non vi sia stato raggiungimento dello scopo. Ed infatti, se comunque il giudice tiene conto dell'ispezione ai fini della decisione, tale vizio non può che essere fatto valere con gli ordinari mezzi di impugnazione; in caso contrario, passando in giudicato la sentenza, il vizio in esame non potrà più essere fatto valere.
Non da ultimo, va posto in rilievo che la Corte costituzionale (sent. n. 471/1990), dichiarando la parziale illegittimità dell'art. 696,comma 1 c.p.c., ha di fatto esteso i provvedimenti giudiziali di istruzione preventiva includendovi le ispezioni corporali.
In conclusione
In sede di considerazioni conclusive, deve evidenziarsi come il potere del giudice di disporre l'ispezione debba conformarsi al pieno rispetto delle garanzie costituzionali sancite agli artt. 13, comma 2, e 14 Cost., sulle quali si fonda, altresì, l'esigenza – ormai inderogabile – di una motivazione del provvedimento ordinatorio, ai sensi dell'art. 134, comma 1, c.p.c..
In proposito, la dottrina ha posto in rilievo la necessità di un'adeguata motivazione, che permetta di evitare un mero arbitrio e consenta la verificabilità, in positivo o in negativo, delle ragioni della decisione istruttoria.
La sede di tale motivazione, qualora non contemplata in sede di ordinanza istruttoria che dispone o nega l'ispezione, dovrebbe essere la sentenza di merito, in cui le prove raccolte devono essere comparativamente valutate, anche con riguardo alle altre eventualmente richieste dalle parti e non ammesse.
In merito, la giurisprudenza (cfr. Cass. civ., n. 15430/2006, n. 13431/2007, n. 15447/2007) si è espressa nel senso che non è censurabile in sede di legittimità l'omessa statuizione in ordine all'istanza di ispezione giudiziale, giacché dal mancato esercizio, da parte del giudice, del potere discrezionale di disporla si deduce per implicito che egli, alla stregua delle risultanze istruttorie acquisite, non ne ha ravvisato la necessità.
L'esigenza di una motivazione esplicita e non puramente apparente è stata affermata soltanto con riferimento alla negata ammissione delle prove ematologiche, finalizzate all'accertamento della paternità (cfr. Cass. civ., n. 2736/1983).