Le preclusioni istruttorie nel rito sommario di cognizione e l'incidenza sul potere di mutamento del rito del giudice
13 Marzo 2019
Massima
La valutazione, da parte del giudice, della necessità di un'istruzione non sommaria, ai fini della conversione del rito ex art. 702-ter, comma 3, c.p.c., presuppone pur sempre che le parti – e in primo luogo il ricorrente – abbiano dedotto negli atti introduttivi tutte le istanze istruttorie che ritengano necessarie per adempiere all'onere probatorio ex art. 2967 c.c., non potendosi attribuire a tale decisione la funzione di rimetterle in termini per la formulazione delle deduzioni istruttorie, che siano state omesse o insufficientemente articolate in limine litis. Il caso
Q.M. e N.V., quali eredi di Q.V., convenivano, ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., davanti al Tribunale di Parma, la P.G. Cooperativa sociale Onlus, per ottenerne la condanna alla restituzione della somma di Euro 27.880,00, a loro dire indebitamente percepita dalla menzionata cooperativa in occasione del ricovero del de cuius. Accertata la contumacia della convenuta, il Tribunale adito rigettava il ricorso, ritenendo non provata la domanda. Q.M. e N.V. proponevano, quindi, appello dinanzi alla Corte d'appello di Bologna, ex art. 702-quater c.p.c., per ottenere l'accoglimento delle domande formulate in primo grado e per essere ammessi alla produzione di nuovi documenti. La Corte d'appello, con sentenza del 10/05/2016, giudicando infondato il primo motivo di appello relativo all'asserita non corretta applicazione, da parte del giudice di primo grado, dell'art. 702-ter c.p.c., rigettava l'appello e condannava le appellanti a rifondere alla controparte le spese del grado. Il giudice di secondo grado, in particolare, riteneva che la decisione di proporre la domanda nelle forme del rito sommario era stata frutto di una scelta processuale degli attori, sicché la possibilità di conversione del rito, ai sensi dell'art. 702-ter, comma 3, c.p.c. non poteva che dipendere dalla valutazione giudiziale dei fatti allegati dalle parti e delle loro deduzioni istruttorie, con la conseguenza che l'inerzia degli attori, che avevano omesso tanto di allegare i fatti decisoriamente rilevanti quanto di indicare i mezzi di prova, non giustificava la conversione del rito. Quanto ai documenti offerti in comunicazione in appello, gli stessi erano già nella disponibilità degli appellanti al momento della proposizione del giudizio e, quindi, dovevano essere prodotti dinanzi al primo giudice nel rispetto delle preclusioni di cui all'art. 702-bis c.p.c.. Avverso la predetta sentenza Q.M. e N.V. proponevano ricorso in cassazione, lamentando, per quanto qui rileva, la violazione e falsa applicazione degli artt. 702-ter, comma 3, c.p.c. e 702-quater c.p.c., il giudice di primo grado, ritenuto che le difese svolte dalle parti richiedevano una istruzione non sommaria, avrebbe dovuto disporre la conversione del rito e, in ogni caso, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto consentire la produzione di nuovi documenti. Il ricorso di Q.M. e N.V. era, tuttavia, rigettato dalla Suprema Corte.
La questione
Alla Suprema Corte è stato chiesto di occuparsi di stabilire in cosa consiste l'istruttoria non sommaria, che preclude la trattazione del processo nelle forme del rito sommario. Le soluzioni giuridiche
Sul punto, all'indomani dell'entrata in vigore della riforma del 2009, sono state avanzate diverse ipotesi e, in particolare, si era paventato che il nuovo rito potesse trovare applicazione in relazione alle sole cause “semplici”, in cui, cioè, apparisse manifestamente fondata o manifestamente infondata la domanda, senza, quindi, sostanzialmente necessità di istruzione. Successivamente, la giurisprudenza di merito si è assestata nel senso di valutare l'ammissibilità il rito sommario a seconda della complessità dell'istruzione da svolgere, indipendentemente dalla complessità delle questioni giuridiche da trattare: si presteranno, pertanto, a tale modulo procedurale non solo le cause “semplici” prima ricordate, ma anche quelle giuridicamente complesse, caratterizzate, però, da un'istruttoria snella, destinata a concludersi nel giro di una o due udienze (perché ad esempio devono essere sentiti pochi testi su poche circostanze o deve essere espletata unicamente una CTU) o implicanti unicamente la necessità di risolvere questioni di diritto (cfr. Corte d'appello di Roma, 31 luglio 2017, n.5208). La snellezza dell'istruttoria deve, inoltre, essere verificata non in astratto (con riferimento ai mezzi di prova indicati dalle parti), bensì in concreto, in relazione alle prove che il giudice ritenga ammissibile e rilevanti e, quindi, effettivamente da assumere; ciò al fine di evitare che il convenuto possa effettuare richieste istruttorie dilatorie, finalizzate unicamente ad ottenere il mutamento del rito. Sarà, invece, bisognevole di una istruttoria non sommaria la causa che richieda l'audizione di molti testi, su molti capitoli di prova, ovvero indagini peritali particolarmente lunghe e complesse. In questo caso il giudice fisserà udienza ex art. 183 c.p.c. disponendo il mutamento del rito con ordinanza non impugnabile e invitando le parti alla regolarizzazione fiscale degli atti, in particolare per quanto riguarda l'importo del contributo unificato che dovrà essere integrato. In questo caso il processo proseguirà nelle forme ordinarie, per cui le parti potranno chiedere la concessione dei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., il giudice ammetterà le prove ritenute rilevanti e all'esito dell'istruttoria il giudizio sarà definito con sentenza. La conversione del rito presuppone ovviamente che sia definito il thema decidendum e il thema probandum del giudizio; e poiché la decisione sulla definibilità con rito sommario del giudizio deve avvenire in prima udienza, è da ritenere che entro quel momento le parti debbano precisare le proprie posizioni allegatorie e probatorie, benché l'art. 702-ter c.p.c. non preveda preclusioni temporalmente specificate. In questo senso si era espressa anche la Suprema Corte, la quale aveva osservato che nel procedimento sommario di cognizione l'art. 702-bis, commi 1 e 4, c.p.c., laddove dispone che ricorso e comparsa di risposta contengano, fra l'altro, l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali attore e convenuto intendano avvalersi, come dei documenti offerti in comunicazione, non vale a segnare alcuna preclusione istruttoria e quindi non comporta, in caso di omissione, alcuna decadenza, dovendosi piuttosto individuare la barriera preclusiva della formulazione di nuove richieste istruttorie nella pronuncia dell'ordinanza avente ad oggetto l'eventuale riscontro della non sommarietà dell'istruzione (Cass.civ., sez. II,sent., n. 25547/2015). La sentenza in commento, invece, irrigidisce le preclusioni proprie del rito sommario di cognizione, ritenendo corretta la valutazione del giudice di merito, che aveva considerato l'attore onerato sin dall'atto introduttivo della delimitazione del thema decidendum e del thema probandum, sul presupposto che «la decisione di proporre una domanda nelle forme del rito sommario, ex art. 702-bis c.p.c., è la conseguenza di una scelta processuale della parte che agisce, la quale, ha pur sempre l'onere di fornire le indicazioni di cui all'art. 163, comma 3, nn. 4) e 5) c.p.c.». Osservano, infatti, i giudici di legittimità che «La specificità del rito sommario ex art. 702-bis c.p.c., risiede anche nella necessità che le parti, ma soprattutto il ricorrente, deducano negli atti di costituzione tutte le istanze istruttorie che ritengono di formulare per adempiere al loro onere probatorio ex art. 2697 c.c.. Solo attraverso le concrete allegazioni del thema decidendum e probandum delle parti il giudice può, infatti, valutare nell'ambito di quel processo se la causa possa o meno essere decisa con una istruzione sommaria e in caso di valutazione negativa disporre il mutamento del rito ex art. 702-ter c.p.c.. Se la valutazione del thema decidendum e delle prove dedotte dalle parti è tale da far ritenere non provata la domanda, quindi, “il giudice è tenuto a rigettarla, perché, sulla base delle prove dedotte, essa risulta non fondata». La valutazione in merito alla conversione del rito non può essere, in altri termini, condotta sulla base dell'insufficienza o dell'inidoneità delle prove dedotte a fondamento della domanda, «altrimenti la conversione del rito consentirebbe di rimettere nei termini la parte ricorrente per le allegazioni istruttorie, aprendo ad ipotesi di conversione del rito determinate non dalla natura non sommaria dell'istruttoria da compiere, ma da carenze nelle deduzioni delle prove: ipotesi di conversione del rito non contemplata affatto dall'art. 702-ter c.p.c.». Tantomeno, secondo la Suprema Corte, può pretendersi che in applicazione dell'art. 702-ter c.p.c., comma 5, il giudice superi, avvalendosi dei propri poteri istruttori, eventuali carenze od omissioni probatorie, posto che la disposizione in oggetto«non depone affatto per un superamento o un'attenuazione, nell'ambito del procedimento sommario, dell'onere della prova, come del principio di disponibilità delle prove». Resta inteso che la scelta del giudice di merito di esercitare gli ampi poteri d'iniziativa istruttoria, concessigli dall'art. 702-ter,comma 5, c.p.c. esprime una valutazione discrezionale, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione esente da vizi di logica giuridica, «restando nel contempo esclusa la sola possibilità di decidere la controversia mediante l'applicazione dell'art. 2697 c.c., quale regola di giudizio, nel senso che il giudice non può dare per esistenti fonti di prova decisive e nel contempo astenersi dal disporne l'acquisizione d'ufficio». Quanto, invece, alla questione della produzione in appello di nuovi documenti, la Corte osserva che ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c. (nella formulazione vigente a seguito dell'entrata in vigore del d.l. 83/2012 (convertito in l. 134/2012) nell'appello avverso l'ordinanza emessa a definizione del processo svoltosi con rito sommario di cognizione sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene “indispensabili” ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Indispensabile, in particolare, è, per come chiarito anche dalle Sezioni Unite con riferimento al rito ordinario, «quella prova di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado» (Cass.civ., Sez. Un., 4 maggio 2017, n. 10790). In presenza, pertanto, di una prova “indispensabile” nel senso appena chiarito, il giudice deve privilegiarne la decisività anche a scapito della “tardività imputabile”, dovendo il regime delle preclusioni istruttorie essere contemperato con il principio di ricerca della verità materiale, a cui il processo deve tendere. Poiché, tuttavia, rispetto alla vicenda specifica, la Corte d'appello aveva motivato anche nel senso della non decisività dei nuovi documenti prodotti dalla parte ai fini del decidere – e non solo sulla tardività della produzione – anche il relativo motivo di impugnazione veniva rigettato.
Osservazioni
La sentenza in commento sembra, come detto, irrigidire il sistema delle preclusioni istruttorie proprie del rito sommario di cognizione, ponendo a carico delle parti (e, in particolare, del ricorrente, che sceglie di agire con rito sommario di cognizione) l'onere di indicare sin dagli atti introduttivi i documenti e i mezzi di prova di cui intendono avvalersi, non essendo eventuali carenze istruttorie motivo di mutamento del rito ai sensi dell'art. 702-terc.p.c.. Ove, pertanto, il giudice rilevi simili carenze istruttorie, ha l'obbligo di rigettare la domanda, salva la possibilità di ricorrere ai poteri officiosi di cui all'art. 702-ter comma 5 c.p.c., che pure non possono spingersi fino al punto di superare gli oneri probatori gravanti sulle parti ai sensi dell'art. 2697 c.c.. Gli stessi giudici di legittimità estendono, tuttavia, al giudizio di appello di cui all'art. 702-quater c.p.c. i principi dettati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con riferimento al testo previgente dell'art. 345, comma 3, c.p.c., (rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83/2012, conv. con modif. dalla l. n. 134/2012): in presenza, pertanto, di una prova “indispensabile” ai fini del decidere – intesa come prova di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato – la stessa dovrà considerarsi ammissibile a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado. Trattasi di decisione coerente con l'approccio delle Sezioni Unite – che propugnano la cedevolezza delle preclusioni istruttorie rispetto alla ricerca della verità materiale a cui deve tendere il processo civile – che, però, ancor di più accentua la differenza tra l'appello con rito ordinario e quello avverso provvedimento emesso a definizione di processo svoltosi con rito sommario, posto che, a seguito delle modifiche apportate dal citato d.l. n. 83/2012, nell'appello ordinario, salva la possibilità di deferire senza limiti il giuramento decisorio, non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, indipendentemente, quindi, dal fatto che si tratti o meno di prova indispensabile. Non necessariamente, tuttavia, la maggiore ampiezza dei poteri istruttori del giudice appello confligge con la previsione di un regime istruttorio rigoroso per il giudizio di primo grado. La giurisprudenza di merito, infatti, già antecedentemente all'arresto in commento, aveva escluso che la maggiore ampiezza dei poteri istruttori del giudice di appello potesse costituire appiglio normativo ad un'interpretazione meno rigorosa delle preclusioni proprie del giudizio di primo grado, trattandosi di valutazione rimessa esclusivamente al giudice del gravame, da fondarsi sui motivi d'appello e sulle ragioni specificamente addotte dalle parti, senza alcuna possibilità di condizionamento del giudice di prime cure (Trib. Milano, sez. IV, 18 maggio 2017). |