Orientamento consolidato prima del termine di ragionevole durata? Niente equa riparazione
20 Marzo 2019
Il caso. I ricorrenti nel giudizio deciso dalla sentenza in commento si erano visti respingere la richiesta di indennizzo per equa riparazione con la motivazione che, contrastando la domanda, proposta nel giudizio presupposto nell'anno 2002, con numerose pronunce rese sia in primo grado che in secondo a far data dal 1996 e dal 2003, non era riconoscibile il patema d'animo correlato all'incertezza dell'esito del giudizio. Impugnando il decreto emesso della Corte d'Appello davanti alla Corte di cassazione, i ricorrenti contestano la violazione degli artt. 2 l. n. 89/2001 (c.d. Legge Pinto, la quale prevede l'equa riparazione per la violazione del termine di per ragionevole durata del processo) e 6 Cedu (Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo che nel disciplinare all'art. 6 il diritto ad un equo processo prevede anche un termine ragionevole di durata). Secondo i ricorrenti, la Corte avrebbe errato, in base alla formulazione dell'art. 2 applicabile ratione temporis alla fattispecie de qua, nel valutare, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo, l'esito del giudizio. I ricorrenti aggiungono la considerazione che, non essendo stati condannati ex art. 96 c.p.c., non poteva essere loro attribuita la temerarietà della lite, legittimante l'esclusione del patema.
Lite temeraria nel testo dell'art. 2 legge Pinto. In effetti, il testo della l. n. 89/2001 ha subìto varie modifiche nel tempo; in particolare, per quanto attiene qui al riferimento alla versione ratione temporis operato dai ricorrenti, si osserva che nel 2016 (ad opera della l. n. 208/2015) è stata introdotta l'esclusione dall'indennizzo «in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all'articolo 96 del codice di procedura civile»; nella versione precedente, la norma (introdotta dal d.l. n. 83/2012) escludeva l'indennizzo «a) in favore della parte soccombente condannata a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile»; ricordiamo che l'art. 96 c.p.c. disciplina la condanna della parte per responsabilità aggravata, altrimenti detta “per lite temeraria”.
Orientamento giurisprudenziale contrario consolidato ed equa riparazione. La Corte, nel respingere il ricorso, ribadisce il principio già affermato dalla giurisprudenza, per cui in tema di giudizi per equa riparazione il patema che giustifica il riconoscimento dell'indennizzo va escluso non solo in caso di proposizione di lite temeraria, ma anche quando la consapevolezza dell'infondatezza della domanda sopraggiunga prima che il processo superi il termine di durata ragionevole, come avviene nel caso in cui si consolidi definitivamente un orientamento della giurisprudenza avverso alla posizione dell'interessato (menziona le sentenze di legittimità nn. 4890/2015, 11149/2016, 28592/2011). Così è accaduto nel caso de quo, osserva la Corte, in cui il ricorso al TAR è stato proposto nel 2002, posto che già il Consiglio di Stato si era espresso in senso contrario, in adunanza plenaria nell'anno 1996 (sentenze nn. 4 e 18/1996); il Consiglio di Stato aveva poi ribadito l'orientamento nel 2003 (sentenza n. 842/2003), dunque la consapevolezza circa l'infondatezza della domanda era da riportarsi almeno a tale ultimo anno. Evidenzia poi la Corte che gli stessi precedenti richiamati dai ricorrenti equiparano alla promozione della lite temeraria l'artata resistenza in giudizio volta al solo fine di superare il termine della ragionevole durata e quindi di conseguire il riconoscimento dell'indennizzo ex l. n. 89/2001. Dunque, osserva la Corte, l'accertamento della temerarietà non è fondamentale ai fini dell'esclusione del diritto all'equa riparazione. A tali fattispecie va ricondotto, conclude la Corte, il caso della prosecuzione del processo in caso di un consolidato orientamento negativo della giurisprudenza. Ciò in quanto la parte che ricorre al giudizio deve sempre rispettare i principi di buona fede e correttezza e dunque, ove non abbia una ragionevole aspettativa di tutela, astenersi da iniziative giudiziarie o da prosecuzioni delle stesse, le quali altrimenti «si risolvono in una utilizzazione strumentale, e quindi abusiva, dello strumento processuale».
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it |