Tutela dei dirigenti in materia di licenziamento collettivo
25 Marzo 2019
Massima
In forza dell'art. 24, comma.1-quinquies, l. n. 223 del 1991, la comunicazione di avvio della procedura e la previa consultazione delle organizzazioni sindacali di categoria, maggiormente rappresentative sul piano nazionale, trova applicazione anche qualora vi siano coinvolti lavoratori con qualifica dirigenziale, così adempiendo lo Stato italiano agli obblighi derivanti dalla Direttiva 98/59/CE. La violazione delle regole procedurali comporta automaticamente la condanna al pagamento di una indennità a favore del lavoratore, non necessitando la prova del danno sopportato. Il caso
Un dipendente di una società, poi fallita, con qualifica di dirigente, era stato da questa licenziato senza preavviso, in esito alla procedura di mobilità per cessazione di attività, ai sensi degli artt. 4 e 24, l. n. 223 del 1991.
Il Tribunale di Verona rigettava nel merito la domanda di accertamento di illegittimità del licenziamento avanzata dal lavoratore, ad avviso del quale il recesso datoriale doveva ritenersi viziato in ragione della mancata comunicazione di avvio della procedura di mobilità a Federmanager, indicata come la più rappresentativa associazione sindacale dei dirigenti (categoria alla quale lo stesso apparteneva) nel settore metalmeccanico, nel quale operava la società datrice.
Il Tribunale escludeva l'illegittimità del licenziamento in quanto:
a) si riteneva sufficiente l'inoltro della comunicazione di avvio, avvenuto regolarmente, alla R.S.U. e alle associazioni sindacali di categoria (Fim-Cisl, Fiom, Cgil, Uilm, Uil), dovendosi guardare al settore merceologico dell'impresa e non al profilo professionale del lavoratore impugnante il licenziamento; b) si rilevava un difetto di prova circa la ragione di una comunicazione preventiva alla Federmanager e non ad altre associazioni; c) difettava la prova del concreto pregiudizio subito dal lavoratore derivante dall'omessa comunicazione.
Il lavoratore presentava quindi ricorso in Cassazione sostenendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 24 c. 1-quinquies, l. n. 223 del 1991, con il quale viene espressamente prevista la preventiva comunicazione di avvio della procedura di mobilità alle oo.ss. maggiormente rappresentative di categoria, nel caso di specie Federmanager in quanto firmataria del CCNL applicato al ricorrente con le relative conseguenze risarcitorie. Sostiene inoltre il Fiorini l'esclusione della necessità di prova del danno sofferto per l'omissione della comunicazione, dovendosi esso ritenere presunto, con necessità della sola valutazione del quantum del risarcimento. La questione
L'obbligo di comunicazione e consultazione sindacale si estende anche alle associazioni maggiormente rappresentative dei dirigenti, qualora essi siano coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo? La soluzione
La Corte di cassazione accoglie entrambi i motivi del ricorso.
Viene richiamata la sentenza della Corte giust. UE, 13 febbraio 2014, causa C-596/12 (Commissione c. Italia), con la quale veniva accertata la violazione da parte dello Stato italiano dell'art. 1 par. 1 e 2, direttiva 98/59/CE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), per l'esclusione, mediante l'art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991, della categoria dei dirigenti dall'ambito di applicazione della procedura prevista dall'art. 2 della medesima direttiva. In seguito a tale condanna veniva introdotto nel 2014 il comma 1-quinquies all'art. 24, l. n. 223 del 1991, così espressamente estendendo ai dirigenti l'applicabilità della procedura di mobilità.
Nel caso di specie la Corte accertava la violazione dell'obbligo di consultazione delle OO.SS. maggiormente rappresentative della categoria, individuata in Federmanager in quanto firmataria del CCNL applicato al Fiorini.
I giudici di legittimità evidenziano, infine, la chiarezza della previsione normativa circa l'automaticità dell'indennità dovuta per violazione della suddetta procedura, cui ammontare, compreso tra 12 e 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, dovrà essere determinato tenendo in conto della natura e della gravità della violazione, e ciò indipendentemente dalla prova di un danno sofferto. Osservazioni
La l. n. 223 del 1991, concernente la materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, introduce un modello di tutela di tipo essenzialmente procedurale, coinvolgendo datori di lavoro, occupanti un numero di dipendenti superiore a 15, i quali intendano procedere, per riduzione o trasformazione di attività o lavoro ovvero per cessazione dell'attività stessa, ad almeno 5 licenziamenti nell'ambito della medesima unità produttiva ovvero in più unità nella medesima Provincia, in un arco temporale di 120 giorni.
L'esclusione dei dirigenti dall'ambito di applicazione veniva ricavata da un dato normativo testuale, rectius l'art. 4 comma 9 della stessa legge, costando tale limitazione l'avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia. Lo Stato aveva giustificato la mancata estensione evidenziando la peculiarità della posizione del personale dirigenziale, guardato come una sorta di alter ego del datore, dotato di estesa autonomia decisionale, evidenziando inoltre l'esistenza di una tutela specifica, di carattere economico, garantita ai dirigenti in caso di licenziamento, risultante più favorevoli ai lavoratori ai sensi dell'art. 5, direttiva 98/59, di talché l'Italia non sarebbe venuta meno agli obblighi comunitari. Sul punto, però, già la Commissione aveva evidenziato come nella categoria dirigenziale esclusa non fossero coinvolti solo dirigenti apicali, ma anche quelli preposti a settori limitati dell'impresa, gerarchicamente subordinati ai primi.
La Corte giust. UE, 13 febbraio 2014, causa C-596/2012, non ha comunque accolto la tesi difensiva italiana. Viene innanzitutto sottolineato come la nozione di “lavoratore” non possa essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, dovendosi invece attribuire un significato “comunitario”: essa dovrà fondarsi su un criterio oggettivo, ossia la circostanza che una persona, per un certo periodo di tempo, presti la propria attività lavorativa a favore di un altro soggetto e sotto la direzione dello stesso, percependo una retribuzione come controprestazione (v. Corte giust. UE, 11 novembre 2010, C-232/09).
Il giudice europeo, basandosi essenzialmente sull'antico brocardo “ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus”, rileva come deriverebbe una parziale privazione di effettiva utilità della normativa europea, diretta a realizzare un'armonizzazione degli oneri procedurali gravanti sugli imprenditori operanti nell'UE ed a evitare o ridurre i licenziamenti collettivi, qualora la procedura di consultazione sindacale venisse a mancare relativamente a taluni lavoratori, e ciò a prescindere dalle misure sociali, dirette ad attenuare le conseguenze del licenziamento collettivo, eventualmente esistenti in loro favore. L'art. 2, par. 1 di suddetta direttiva, dispone che, avviata la procedura di licenziamento collettivo, il datore è tenuto a procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori, senza operare alcuna distinzione tra le diverse categorie, salvo i casi espressamente indicati all'art. 1, par. 2.
Alcun rilievo potrebbe inoltre essere riconosciuto all'elemento fiduciario, ritenuto da una parte della giurisprudenza italiana come connotato distintivo del rapporto tra il datore ed il personale direttivo. Si sottolinea infatti come l'intuitus personae, guardato come fattore idoneo a giustificare una diversa disciplina rispetto alle altre categorie di lavoratori in materia di recesso, non possa costituire fondamento di un trattamento differente anche nei casi di licenziamento collettivo, avendo natura prettamente oggettiva le ragioni giustificanti l'avvio della procedura relativa.
In seguito alla sentenza della Corte di giustizia, nelle more di un intervento legislativo, si era sostenuta l'impossibilità di estendere immediatamente la procedura di cui alla l. n. 223 della 1991 anche alla categoria manageriale, sebbene vi fossero anche voci contrarie in merito.
Pur non applicandosi direttamente la direttiva, questa, insieme all'interpretazione datane dalla Corte di Lussemburgo, diveniva un parametro di riferimento per il giudice italiano, soggetto all'obbligo di interpretare il diritto nazionale conformemente a quello europeo (c.d. “efficacia orizzontale indiretta” – Corte giust. UE 4 luglio 2006, C-212/04 (Adelaner e al.); Cass. 22 maggio 2015, n.10612; Cass.,sez. un., 16 marzo 2009, n. 6316).
Per tale ragione sembravano profilarsi due possibili percorsi ermeneutici:
Tuttavia, l'intervento del legislatore italiano si è palesato indefettibile. La l. n. 161 del 2014, introduce il comma 1-quinquies all'art. 24, l. n. 223 del 1991, estendendo espressamente ai dirigenti la procedura di comunicazione e consultazione con le organizzazioni sindacali rappresentative della categoria manageriale.
Relativamente alla comunicazione scritta di avvio della procedura, contenente i dati informativi richiesti dalla stessa legge anche circa le posizioni dirigenziali coinvolte, essa dovrà essere indirizzata anche alle rappresentanze sindacali dei dirigenti e l'esame di cui all'articolo 4, commi 5 e 7, dovrà essere svolto in «appositi incontri». La fase di consultazione viene così sostanzialmente sdoppiata su due “binari paralleli”, con il rischio di uno sfasamento dei tempi (ad es. qualora essa si concluda con un accordo nella fase sindacale per quadri, impiegati ed operai, mentre si protragga in quella amministrativa per i dirigenti, o viceversa)
Novità di rilievo sono rappresentate dalla precisazione che i dirigenti devono essere computati nella soglia dimensionale dell'azienda e nel numero dei lavoratori interessati dal licenziamento collettivo stesso, nonché nell'applicazione dei criteri legali in ipotesi di mancato accordo con le OO.SS.
La violazione delle regole procedurali ovvero dei criteri di scelta concordati o legali, comporta un'unica sanzione: il datore di lavoro sarà tenuto a corrispondere al dirigente un'indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla gravità della violazione e fatte salve le diverse previsioni eventualmente contenute nei contratti collettivi.
Alla luce di quanto esposto, si rinviene chiaramente una ulteriore manifestazione del mutamento dell'approccio concettuale rispetto al rapporto di lavoro dirigenziale (v. relativamente al licenziamento disciplinare del dirigente e all'applicazione delle relative garanzie procedurali: Cass., sez. un., 30 marzo 2007, n. 7880). Una sorta di destrutturazione di quel modello normativo il quale ha costituito per anni fondamento della sostenuta alterità della figura dirigenziale, nonché giustificazione delle diversità di trattamento rispetto alle ulteriori categorie lavorative. Per approfondire
V.F. Giglio, Licenziamento collettivo anche per i dirigenti, ma solo dal 2014, in Guida lav., 2018, 17, 18 ss.
M. Galletti, Dirigenti, campo di applicazione della legge n. 223 del 1991 e Corte di giustizia: il Giudice nazionale non deve attendere l'intervento del legislatore nazionale, in ADL, 2016, 6, 1288 ss.
D. Colombo, Licenziamento collettivo dei manager, in Dir. prat. lav., 2015, 5, 285 ss.
G. Di Garbo, G. I. Fiorelli, L'Italia colta in infrazione dalla Corte di giustizia in materia di licenziamento collettivo dei dirigenti. Spunti sulle conseguenze concrete della sentenza, in Corr. giur., 2014, 8-9, 1053 ss.
M. Miscione, I dirigenti per la Corte Europea equiparati ad operai ed impiegati solo per i licenziamenti collettivi, in Lav. giur., 2014, 3, 233 ss.
P. Tosi, Il licenziamento collettivo dei dirigenti, in Giur. it., 2014, 1154. |