Rito Fornero: entità dell'indennizzo risarcitorio in caso di licenziamento illegittimo
29 Marzo 2019
Massime
Il processo deve dunque svolgersi con le regole del rito con le quali è stato introdotto. L'eventuale infondatezza dei fatti allegati a dimostrazione della versione attrice, accertata all'esito del giudizio, non potrebbe modificare questa conclusione, poiché investe il piano del merito della deliberazione giudiziale e non quello –a cui si arresta l'esame dell'eccezione dei convenuti− dell'astratta prospettazione.
L'art.9, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015, non ha subito censure, non essendo stato oggetto del quesito di costituzionalità. E' inevitabile però valutare l'incidenza della pronuncia della Corte cost. n. 194 del 2018 anche sulla sua applicazione, sia perché questa norma richiama direttamente quella dell'art.3, primo comma, per assumere la base di calcolo dell'indennizzo dovuto ai dipendenti delle piccole imprese sia perché adotta lo stesso criterio ancorato all'anzianità di servizio […] Onde evitare un'applicazione contrastante col pronunciamento della Corte costituzionale, deve ritenersi che il rinvio al “ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'art.3, comma 1” vada letto in riferimento a tutti i criteri risarcitori indicati dalla sentenza 194 del 2018.
Il disconoscimento dell'apporto professionale richiesto alla ricorrente, le gravi violazioni che hanno accompagnato il recesso, le ombre gravanti sulla scissione aziendale seguita in dieci mesi dalla decisione di licenziarla costituiscono elementi meritevoli di considerazione nella quantificazione del risarcimento dovuto, ben più della mera anzianità di servizio. Il caso
Con ricorso ai sensi dell'art.1, comma 47, l. 28 giugno 2012, n.92, la direttrice responsabile di una testata giornalistica online contestava la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatole dalla datrice di lavoro, subentrata al precedente titolare del rapporto a seguito di scissione societaria, invocando, in via principale, l'applicazione delle tutele previste dall'art.18, l. 20 maggio 1970, n.300 (e s.m.) e, in via subordinata, nell'ipotesi di difetto del requisito dimensionale, l'applicazione delle tutele di cui all'art.8, l. 15 luglio 1966, n.604; ciò, nonostante l'assunzione della lavoratrice fosse avvenuta in data 06/12/2016, in regime di “tutele crescenti” di cui al d.lgs. 4 marzo 2015, n.23.
La scelta del rito è motivata dal collegamento economico-funzionale tra le società convenute (rispettivamente datore di lavoro “originario” e datore di lavoro attuale), il cui frazionamento ⎯ad avviso della lavoratrice⎯ sarebbe stato solo fittizio e finalizzato ad eludere la normativa giuslavoristica. Sulla base della tesi del centro unico di imputazione del rapporto di lavoro (e della conseguente identità del momento genetico di costituzione dello stesso), parte ricorrente sostiene che la data di assunzione sia riconducibile al primo contratto sottoscritto in epoca antecedente all'entrata in vigore del predetto d.lgs. 4 marzo 2015, n.23.
Stupisce, dunque, la decisione del Tribunale di Genova, che, dopo aver rigettato l'eccezione di irritualità dell'azione promossa dalle controparti, pur ritenendo infondata ⎯perché non provata⎯ la predetta tesi del centro unico di imputazione del rapporto di lavoro, a seguito dell'accertamento dell'illegittimità del licenziamento, pronuncia sentenza di condanna nei confronti della datrice di lavoro (attuale) con applicazione delle tutele contenute all'art.9 di quel d.lgs. 4 marzo 2015, n.23, che espressamente dispone, per le assunzioni avvenute successivamente alla sua entrata in vigore, l'inoperatività dei commi da 48 a 68 dell'art.1, l.28 giugno 2012, n.92, disciplinanti il c.d. Rito Fornero.
Peraltro, la decisione accordata ha determinato in capo all'autorità giudiziaria l'ulteriore compito di svolgere un'attenta riflessione sulla quantificazione dell'indennità da accordare alla lavoratrice, alla luce della pubblicazione −pochi giorni prima− della sentenza n.194 del 2018 della Corte costituzionale, avente ad oggetto il giudizio di legittimità costituzionale sull'art.1, comma 7, lett. c), l. 10 dicembre 2014, n.183, e –per quanto maggiormente interessa− degli artt. 2, 3, 4, d.lgs.4 marzo 2015, n.23, indirettamente richiamati dall'art.9, d.lgs.4 marzo 2015, n.23, norma, quest'ultima, applicata al caso di specie.
Al riguardo, è giusto il caso di ricordare che le decisioni rese dalla Corte costituzionale comportano l'immediata disapplicazione della norma eventualmente dichiarata illegittima, con carattere retroattivo idoneo ad incidere anche nei procedimenti pendenti, allorché non coperti da giudicato.
Il Tribunale di Genova –forse il primo a doversi raffrontare con le rivisitate modalità di determinazione dell'indennizzo risarcitorio− facendo propri i criteri individuati dalla Corte costituzionale e sganciandosi dall'elemento dell'anzianità di servizio –poco, se non per nulla, considerato− quantifica l'ammontare dell'indennità nel limite massimo di sei mensilità. La questione
Le questioni sulle quali si ritiene opportuno soffermarsi sono le seguenti:
1. L'introduzione del giudizio del lavoro con ricorso ai sensi dell'ai sensi dell'art.1, comma 47, l. 28 giugno 2012, n.92, non è incompatibile con il provvedimento decisorio che disponga l'applicazione delle tutele contenute nel d.lgs. 4 marzo 2015, n.23, che limita l'utilizzo del “Fornero” ai lavoratori assunti prima della sua entrata in vigore?
2. Fino a che punto può estendersi la discrezionalità del giudice in ordine alla quantificazione dell'indennizzo risarcitorio operata sulla base dei principi individuati nella sentenza della Corte costituzionale? Le soluzioni giuridiche
In verità la sentenza in commento rappresenta un caso unico nel suo genere.
Non sono note altre pronunce rispetto alle quali il giudice del lavoro con rito introdotto ai sensi dell'art.1, comma 47, l. 28 giugno 2012, n.92, constata l'impossibilità di riconoscere le più ampie tutele confacenti con il rito de quo, abbia applicato le tutele crescenti di cui al d.lgs. 4 marzo 2015, n.23, che ammette esclusivamente il rito “ordinario” del lavoro, come regolamentato nel codice di procedura civile agli artt. 409 e ss. .
Le perplessità della scrivente non attengono la decisione preliminare del Tribunale di Genova di procedere secondo le regole del rito con le quali il processo è stato introdotto.
Il rito ⎯ così come la competenza ⎯ si determina sulla base della domanda attorea e la qualificazione del rapporto dedotto attiene al giudice designato (Cass.1059/90; 1013/89; 981/1986). Ciò che rilevano sono le affermazioni contenute nell'atto introduttivo: (a) senza alcun riguardo alle eccezioni del convenuto (Cass.981/86; Cass. n.12226/1990); (b) indipendentemente dalla fondatezza della domanda (Cass. n. 5186 del 1987; Cass. n. 10226 del 2001); (c) e dagli eventuali risultati dell'indagine probatoria; a prescindere inoltre dalle modifiche della domanda successive alla sua proposizione ed operate in corso di causa (Cass. n. 20118 del 2006; Cass. n. 4716 del 2006).
Pertanto, considerata la prospettazione dei fatti così come allegati da parte ricorrente, il Tribunale di Genova ha ⎯correttamente⎯ proceduto con le regole del rito con cui la causa era stata introdotta, precisando che “L'eventuale infondatezza dei fatti allegati a dimostrazione della versione attrice, accertata all'esito del giudizio, non potrebbe modificare questa conclusione, poiché investe il piano del merito della deliberazione giudiziale e non quello - a cui si arresta l'esame dell'eccezione dei convenuti - dell'astratta prospettazione”.
Ed infatti, l'eventuale errore sul rito difficilmente determina condizionamenti sul contenuto della decisione nel merito, perché l'autorità giudiziaria non può esaminare la questione sostanziale se non sotto il profilo giuridico che costituisce la premessa di quel rito. Del resto, la nozione stessa di “rito” si traduce nell'insieme delle norme che disciplinano i presupposti, la forma e gli effetti dei vari atti compiuti nell'ambito dell'azione giudiziale. Tuttavia, il Tribunale di Genova, ad avviso di chi scrive, è andato ben oltre le regole processuali sovra richiamate, in quanto, una volta ammessa la procedura di cui al “Fornero”, avrebbe dovuto concludere con il rigetto della domanda di parte ricorrente e non ⎯come invece è accaduto⎯ con il suo accoglimento parziale attraverso l'applicazione di una tutela a questo rito del tutto estranea.
In ordine alla quantificazione dell'indennizzo risarcitorio operata dal Tribunale di Genova sulla base dei principi individuati nella sentenza della Corte costituzionale può aiutare un breve excursus della sentenza costituzionale ai fini di meglio comprendere le statuizioni del giudice di merito.
Anzitutto, la sentenza della Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.3, comma 1, del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, nella parte in cui determina l'indennità in un “importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”. A tale conclusione la Corte costituzionale approda per serie di ragioni riconducibili alla duplice funzione svolta dalla predetta indennità, e cioè la funzione riparatorio-compensativa del danno sofferto dal lavoratore ingiustamente licenziato, e la funzione dissuasiva della stessa nei confronti del datore di lavoro. Ad avviso della Corte costituzionale la citata disposizione “prevede una tutela economica che non costituisce né un adeguato ristoro del danno prodotto, nei vari casi, dal licenziamento, né un'adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare ingiustamente”. L'organo di garanzia si sofferma altresì sulla rigidità dell'indennità, predeterminata dall'autorità giudiziaria, in quanto “non graduabile in relazione a parametri diversi dall'anzianità di servizio” con conseguente “inadeguata omologazione di situazioni diverse”. Pertanto, la Corte costituzionale statuisce che tale criterio ⎯e cioè l'anzianità di servizio⎯ seppur importante, costituisca solo uno dei molteplici fattori che possano contribuire a quantificare correttamente il danno patito dal lavoratore illegittimamente licenziato.
Dunque, la Corte costituzionale riabilita la discrezionalità del giudice nella quantificazione dell'indennità, seppur nei limiti edittali definiti dal legislatore: “il giudice terrà conto innanzi tutto dell'anzianità di servizio - criterio che è prescritto dall'art.1, comma 7, lett. c) della legge n.184 del 2013 e che ispira il disegno riformatore del d.lgs. n. 23 del 2015 - nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dipendenti occupati, dimensioni dell'attività economica, comportamento e condizioni delle parti)".
Il Tribunale di Genova, in applicazione della citata statuizione, attribuisce maggiore rilievo ad una serie di elementi di carattere soggettivo: “il disconoscimento dell'apporto professionale richiesto alla ricorrente, le gravi violazioni che hanno accompagnato il recesso, le ombre gravanti sulla scissione aziendale”, i quali divengono “meritevoli di considerazione ben più della mera anzianità di servizio”; anche se quest'ultimo elemento sia, di fatto, l'unico dotato di quell'oggettività necessaria a perseguire i fini indicati nella novella legislativa del 2015 e coincidenti, almeno in parte, con la predeterminazione dei costi datoriali circa l'eventuale licenziamento. Osservazioni
Premesso quanto già osservato sulla decisione del Tribunale di Genova, con particolare riguardo alla dubbia applicazione delle “tutele crescenti” nell'ambito di un procedimento introdotto con Rito Fornero, si ritiene opportuna un ultimo rilievo critico rispetto alla questione della quantificazione dell'indennizzo risarcitorio.
Invero, i criteri di cui si è detto, così come interpretati ed applicati dal giudice di prime cure, paiono non rispondenti all'ordine indicato nella sentenza della Corte costituzionale, la quale riserva comunque una posizione prioritaria all'anzianità di servizio laddove statuisce che “il giudice terrà conto innanzi tutto dell'anzianità di servizio”.
Pertanto, quest'ultimo criterio resta il parametro principale a cui, in via subordinata, dovrebbero aggiungersi gli“altri criteri … desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti” .
Contrariamente, il Tribunale di Genova non effettua un corretto bilanciamento tra l'anzianità di servizio ⎯ che nel caso di specie è assai ridotta ⎯ ed i criteri ulteriori indicati in sentenza. Anzi, tra gli elementi adottati dal giudice di prime cure per il calcolo rientrano anche “le ombre gravanti sulla scissione aziendale”, quando le istanze della ricorrente non trovano accoglimento proprio in conseguenza dell'assenza di prova sull'unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro.
In conclusione, la sentenza esaminata, ad avviso di scrive, è fonte di diverse e sostanziali perplessità e suscettibile di essere riformata, sotto più profili, nell'ambito di un eventuale giudizio di secondo grado. Minimi riferimenti bibliografici
C. Romeo, La Consulta e la parziale rivoluzione sulla misura dell'indennità per licenziamento illegittimo, in Giurisprudenza italiana, in corso di pubblicazione;
A. Minervini, Dalla prevedibilità dell'indennità risarcitoria alla personalizzazione del risarcimento del danno al lavoratore secondo la Corte Costituzionale, in DRI, in corso di pubblicazione;
A. Perulli, Una questione di “valore”. Il Jobs Act alla prova di costituzionalità, in Working Paper CSDLE “Massimo D'Antona”. IT, n.15/2017, 15. |