Società tra professionisti: la maggioranza dei 2/3 dei soci deve ricorrere congiuntamente sia per teste che per quote

02 Aprile 2019

La questione giuridica esaminata dalla pronuncia in commento riguarda la corretta interpretazione del tenore letterale della norma di cui all'art. 10, comma 4, lett. b, l. n. 183/2011.
Massima

Possono iscriversi nella sezione speciale dell'Albo solo le società tra professionisti che presentano la maggioranza dei due terzi dei soci professionisti sia per quote che per teste.

Il caso

Con ricorso ex art. 32 d.lgs. n. 139/2005 una società tra professionisti (di seguito solo “Stp”) proponeva reclamo avverso la decisione del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (evocando nel giudizio anche l'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) che aveva respinto il ricorso proposto dalla predetta Stp avverso la decisione adottata dall'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, che, a sua volta, aveva rigettato la domanda avanzata dalla Stp di iscrizione nella sezione speciale dell'Albo professionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili.

In particolare, la società ricorrente, tra i vari motivi di impugnazione, evidenziava al Tribunale l'illegittimità della decisione per violazione dell'art. 10, comma 4, lett. b l. 183/2011, per avere le resistenti rifiutato l'iscrizione della società in ragione del fatto che nella società non ricorreva il duplice requisito della maggioranza dei 2/3 dei soci sia per teste che per quote societarie, anche nel caso, come quello che la riguardava, in cui l'impostazione statutaria del voto e la composizione della compagine sociale erano tali da assicurare comunque ai professionisti la maggioranza dei due terzi nelle decisioni dei soci. Il socio professionista in questione era infatti titolare di una quota di proprietà pari al 6,25% del capitale sociale e di una quota di usufrutto con diritto di voto pari al 66,40% del capitale sociale.

Costituendosi in giudizio le resistenti contestavano le asserzioni della società ricorrente ritenendo in particolare l'infondatezza dell'interpretazione dell'art. 10, comma 4, lett. b l. n. 183/2011 offerta dalla ricorrente poiché in contrasto con il tenore letterale della norma laddove statuisce che «In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni e decisioni dei soci».

La questione

La questione giuridica esaminata dalla pronuncia in commento riguarda quindi la corretta interpretazione del tenore letterale della norma di cui all'art. 10, comma 4 lett. b, l. n. 183/2011 per la quale «… In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci …». Ci si chiede infatti se il prescritto requisito della “maggioranza dei due terzi” debba essere inteso con riferimento al solo valore delle quote sociali dei professionisti ovvero anche per teste.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale con la sentenza in commento respinge interamente il reclamo proposto dalla Stp ribadendo la validità dell'interpretazione fornita dal Consiglio Nazionale. Secondo il suddetto Tribunale, infatti, la società reclamante non possiede i requisiti prescritti dal citato art. 10, comma 4, l. n. 183/2011, per esser la compagine sociale composta da un solo socio esercente la professione di dottore commercialista e da quattro ulteriori soci non professionisti, partecipanti con sole finalità di investimento. Secondo il Tribunale la lettera della norma, nel prescrivere che "In ogni caso" il numero dei soci professionisti "e" la partecipazione al capitale sociale degli stessi deve essere tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni e decisioni dei soci, utilizza espressioni che non indicano una possibilità alternativa, bensì requisiti che debbono sussistere cumulativamente, senza possibilità di eccezione alcuna. Pertanto – sempre secondo il tribunale di Treviso – è inidonea ad integrare il requisito della maggioranza del capitale sociale dell'unico socio professionista la circostanza che egli sia titolare di una quota di proprietà pari al 6,25% del capitale sociale e di una quota di usufrutto con diritto di voto pari al 66,40% del capitale medesimo, non solo per il fatto che tale ultimo diritto non è computabile ai fini del calcolo della maggioranza per quote ma anche perché, in ogni caso, difetterebbe il requisito della maggioranza per teste.

Osservazioni

La soluzione interpretativa offerta dalla pronuncia in commento appare condivisibile e si segnala per essere la prima pronuncia in cui si è offerta un'interpretazione del non chiaro tenore letterale della disposizione di cui all'art. 10, comma 4 lett. b, l. n. 183/2011, la quale prevede che «… In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci …».

In effetti, occorre rammentare che la l. n. 183/2011 (art. 10) aveva introdotto la possibilità di costituire, dal 1° gennaio 2012, società che abbiano per oggetto l'esercizio di attività professionali. In sostanza veniva abolito il divieto, contenuto nella l. n. 1815/1939, che consentiva l'aggregazione tra professionisti solo con la formula dello “studio associato”.

Il testo della predetta legge è estremamente stringato, ragion per cui si sono aperte diverse discussioni sull'interpretazione di temi di rilevante importanza. Tra questi, in effetti, si segnala il dubbio interpretativo sorto con riferimento al su citato art. 10, comma 4 lett. b, l. n. 183/2011 oggetto della pronuncia in commento.

Risulta evidente come il legislatore nell'art. 10, comma 4 lett. b, l. n. 183/2011 abbia ritenuto di dover dettare un criterio che potesse assicurare la prevalenza della componente professionale sulla componente dei soci “non professionisti” (anche per mera finalità di investimento), ma ci si chiede se il prescritto requisito della “maggioranza dei due terzi” debba essere inteso con riferimento al solo valore delle quote sociali dei professionisti ovvero anche per teste.

Secondo una prima interpretazione dalla predetta disposizione si desume che il voto dei soci professionisti deve pesare per almeno i due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; per tale ragione dovrebbe ritenersi che, qualora si raggiunga un assetto tale da permettere l'adozione di decisioni dei soci con tale maggioranza, qualsiasi altro requisito non abbia rilevanza. Per tale interpretazione, infatti, la normativa fa riferimento al “numero dei soci professionisti” e alla “partecipazione al capitale sociale dei professionisti”, che, “in ogni caso”, deve essere tale da garantire che, relativamente a qualsiasi decisione o deliberazione dei soci, i soci professionisti esprimano i due terzi sul totale dei voti. La locuzione “in ogni caso” potrebbe anche intendersi nel senso che ciò che conta sia soltanto il fatto che venga rispettata la maggioranza di due terzi dei soci professionisti nelle deliberazioni o decisioni dei soci, e non anche che i soci professionisti debbano rappresentare i due terzi del numero complessivo di soci né i due terzi del capitale sociale.

Come anticipato, la pronuncia in esame ha sconfessato tale interpretazione. Secondo il tribunale di Treviso, infatti, la lettera della norma (art. 10, comma 4 lett. b, l.n. 183/2011), nel prescrivere che "in ogni caso" il numero dei soci professionisti "e" la partecipazione al capitale sociale degli stessi deve essere tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni e decisioni dei soci, utilizza espressioni che non indicano una possibilità alternativa, bensì requisiti che debbono sussistere cumulativamente, senza possibilità di eccezione alcuna.

Il Tribunale afferma quindi che il requisito della prevalenza dei soci professionisti sia nella partecipazione al capitale sociale che nel numero dei soci è prescritto dalla legge in via cumulativa senza possibilità di eccezione. Per tale ragione il Tribunale di Treviso, nella fattispecie concreta al suo vaglio, ha ritenuto che la società reclamante non possedesse i requisiti prescritti dal citato art. 10, comma 4, l.n. 183/2011 atteso che la compagine sociale era composta da un solo socio esercente la professione di dottore commercialista e da quattro ulteriori soci non professionisti, partecipanti con sole finalità di investimento.

A sommesso parere di chi scrive la soluzione offerta dal Tribunale di Treviso (in relazione alla quale, al momento, non si registrano pronunciamenti giurisprudenziali difformi) è condivisibile poiché offre una soluzione interpretativa conforme alla ratio legis sottesa alla previsione di cui all'art. 10, comma 4 lett. b, l. n. 183/2011 che è quella di garantire la prevalenza dei soci professionisti rispetto agli investitori finanziari puri al fine di tutelare l'indipendenza dell'attività professionale.

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