Mancato rilascio della patente per insussistenza dei requisiti morali: norma incostituzionale?
15 Aprile 2019
IL CASO Nel corso di un procedimento civile cautelare – promosso da un soggetto condannato per due reati di cessione e commercializzazione illecita di stupefacenti, che si era visto negare il rilascio della patente di guida per l'insussistenza dei requisiti morali di cui all'art. 120, comma 1, d.lgs. n. 285/1992 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett. a), della l. n. 94/2009 – il Tribunale adito ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della citata disposizione sotto duplice profilo. In primo luogo, il giudice a quo ha ritenuto che la disciplina impugnata contrasti con gli artt. 11 e 117 Cost., in relazione all'art. 7 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui prevede la revoca e il diniego della patente a persone condannate per reati commessi prima dell'entrata in vigore della novella del 2009. In secondo luogo, il rimettente ha ravvisato una violazione degli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost. laddove la revoca e il diniego della patente vengono previsti come conseguenza automatica di una condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74, d.P.R. n. 309/1990 (Testo unico in materia di stupefacenti), a prescindere da ogni valutazione sulla gravità del reato e sulle pene in concreto comminate.
LA DISCIPLINA IMPUGNATA L'art. 120, comma 1, del Nuovo codice della strada, nel testo novellato nel 2009, sotto la rubrica “Requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all'articolo 116”, così testualmente dispone: “Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali (…), le persone condannate per i reati [in materia di stupefacenti] di cui agli artt. 73 e 74” del Testo unico, “fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi (...)” (comma 1); se tali condizioni soggettive “intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data (…) del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1” (comma 2).
IL PRECEDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE La pronuncia in commento ricorda come la Consulta abbia già dichiarato, con la sentenza n. 22 del 2018, l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, cit. nella parte in cui – con riguardo all'ipotesi di condanna per i menzionati reati in materia di stupefacenti, che intervenga in data successiva a quella del rilascio della patente di guida – disponeva che il prefetto “provvede”, invece che “può provvedere”, alla revoca della patente. La stessa sentenza ha ritenuto non fondata l'ulteriore questione relativa all'applicabilità della revoca della patente a persone condannate per reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 94/2009.
REVOCA DELLA PATENTE: QUESTIONE INAMMISSIBILE Le censure rivolte dal rimettente al comma 2 del novellato art. 120 c.d.s. – prima ancora dal risultare pressoché integralmente superate dalla citata sentenza n. 22/2018 – sono prive di rilevanza nel giudizio a quo, nel quale il provvedimento impugnato non concerne la revoca, bensì il diniego del rilascio di una patente di guida: la correlativa questione di legittimità, pertanto, risulta inammissibile.
IL DINIEGO DELLA PATENTE NON HA NATURA SANZIONATORIA La legittimità costituzionale del comma 1 dell'art. 120 c.d.s. è messa in dubbio dal giudice a quo sotto due distinti aspetti. Innanzitutto, il rimettente denuncia l'illegittimità costituzionale di tale disposizione nella parte in cui determina il diniego della patente di guida anche in via retroattiva per reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 94/2009, con conseguente lesione del principio di irretroattività delle sanzioni sostanzialmente penali sancito dall'art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Sennonché, la natura sostanzialmente sanzionatoria della non conseguibilità della patente, in ragione di subite condanne per reati in materia di stupefacenti, è presupposta erroneamente dal rimettente. Nella citata sentenza costituzionale n. 22/2018, infatti, la Consulta ha già chiarito che il diniego di rilascio del titolo di guida non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell'insussistenza originaria (o sopravvenuta) dei “requisiti morali” prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione. Esclusa in radice la natura sanzionatoria della condizione ostativa prevista dall'art. 120, comma 1, c.d.s, risulta non pertinente l'evocata giurisprudenza della Corte di Strasburgo sui criteri per l'attribuibilità di natura sostanzialmente penale a “sanzioni” non formalmente tali: la questione di legittimità costituzionale, sotto tale profilo, risulta quindi infondata.
IL MANCATO RILASCIO DELLA PATENTE NON LEDE ALCUNA ASPETTATIVA CONSOLIDATA In secondo luogo, il rimettente ritiene che l'“automatismo” del diniego del titolo di guida, che la normativa censurata direttamente ricollega ad intervenuta condanna per i reati in questione a prescindere da ogni valutazione sulla gravità del reato e sulle pene in concreto comminate, violi gli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost. Tuttavia, le ragioni che hanno determinato il superamento dell'automatismo della revoca prefettizia ad opera della ricordata sentenza n. 22/2018 – e, cioè, per un verso, la contraddittorietà dell'automatismo di tale revoca e, per altro verso, l'indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida a fronte della varietà di fattispecie cui possono aver riguardo i reati presupposti – non sono riferibili al diniego del titolo abilitativo. E ciò in quanto tale diniego riflette una condizione ostativa che, diversamente dalla revoca del titolo, opera a monte del suo conseguimento e non incide su alcuna aspettativa consolidata dell'interessato. Inoltre, non ricorre, in questo caso, la contraddizione – che ha assunto rilievo decisivo in tema di revoca della patente – tra obbligatorietà del provvedimento amministrativo e facoltatività della parallela misura adottabile dal giudice penale in relazione alla medesima fattispecie di reato. Infine, diversamente da quanto presupposto dal giudice a quo, l'effetto ostativo al conseguimento della patente, previsto dalla disposizione censurata, non incide in modo “indifferenziato” sulla posizione dei soggetti condannati per reati in materia di stupefacenti: la diversa gravità del reato commesso, unitamente alla condotta del reo successiva alla condanna, assume, infatti, rilievo determinante ai fini del possibile conseguimento (anche dopo un solo anno nel caso di condanna con pena sospesa) di un provvedimento riabilitativo, che restituisce al condannato il diritto a richiedere la patente di guida. Anche sotto questo profilo, la questione di legittimità costituzionale risulta, pertanto, infondata.
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