Il procedimento monitorio nell'era della fattura elettronica: primi dubbi e alcuni spunti di riflessione
15 Maggio 2019
Il quadro normativo
L'obbligo di fatturazione elettronica è stato introdotto per la prima volta alcuni anni fa con la legge finanziaria 2008, limitatamente ai rapporti con le amministrazioni pubbliche (art. 1 commi 209-214 l. n. 244/2007). Dal 1.1.2019, la legge di stabilità 2018 (art. 1 comma 916 l. n. 205/2017) ha reso obbligatoria la fatturazione elettronica anche negli scambi tra operatori economici privati, salve solo alcune eccezioni; del resto, si è trattato di un'estensione che a livello europeo veniva auspicata già da alcuni anni (cfr. punto 22 dei considerata della direttiva UE n. 55/2014, in materia di fatturazione elettronica negli appalti pubblici). Per dare corso a questa scelta legislativa, il capo II del decreto fiscale 2019 (d.l. n. 119/2018, convertito con l. n. 136/2018) ha apportato le necessarie modifiche al d.P.R. n. 633/1972 (“Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto”) e al d. lgs. 5 agosto 2015 n.127 (“Trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici”), nel quale troviamo oggi il nucleo essenziale della disciplina sulla fatturazione elettronica tra privati. È interessante osservare come, nel nostro ordinamento, vi siano due definizioni di “fattura elettronica” assai diverse. Secondo il tuttora vigente art. 21 comma 1 d.P.R. n. 633/1972 «per fattura elettronica si intende la fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico; il ricorso alla fattura elettronica è subordinato all'accettazione da parte del destinatario». Tale definizione, tuttavia, è virtualmente superata dall'art. 1 comma 3 d.lgs. n. 127/2015, secondo cui le fatture elettroniche devono essere emesse esclusivamente secondo il formato previsto al comma 2, cioè quello previsto nell'allegato A del d.m. MEF n. 55/2013, il quale, a sua volta, dispone che «i dati delle fatture elettroniche da trasmettere al SdI devono essere rappresentati in un file in formato XML (eXtensible Markup Language) non contenente macroistruzioni o codici eseguibili tali da attivare funzionalità che possano modificare gli atti, i fatti o i dati nello stesso rappresentati». Pertanto, nella maggior parte dei casi, oggi la fattura elettronica non è più un documento emesso in qualunque formato elettronico (es.: file pdf), ma è un file XML non contenente macroistruzioni né codici eseguibili e in cui l'attestazione della data, l'autenticità dell'origine e l'integrità del contenuto sono garantite mediante l'apposizione della marca temporale e della firma elettronica qualificata dell'emittente. Nella maggior parte, s'è detto, ma non in tutti i casi. La vecchia definizione del d.P.R. n. 633/1972, infatti, sembra valere ancora per le fatture emesse dai soggetti esentati dall'obbligo di fatturazione elettronica “vera e propria” indicati nell'ultima parte dell'art. 1 comma 3 d.lgs. n. 127/2015 (sostanzialmente, i soggetti passivi che rientrano nel cosiddetto "regime di vantaggio" di cui all'art 27 d.l. n. 98/2011; quelli che applicano il regime forfettario di cui all'art. 1, commi da 54 a 89, l. n. 190/2014 e quelli che hanno esercitato l'opzione di cui agli articoli 1 e 2 della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e che nel periodo d'imposta precedente hanno conseguito dall'esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a euro 65.000). Un altro aspetto peculiare della “nuova” fattura elettronica è che l'invio al cessionario non può più avvenire con le modalità tradizionali (consegna brevi manu, invio a mezzo posta, e-mail, etc.), ma deve avvenire obbligatoriamente tramite il Sistema di Interscambio (SdI: v. art. 1, comma 1, d.lgs. n. 127/2015). Quest'ultimo può essere definito come un sistema informatico in grado di ricevere le fatture sotto forma di file XML, di effettuare controlli sui file ricevuti, di conservarli e di inoltrarli ai destinatari; viene gestito, in forza di decreto ministeriale, dall'Agenzia delle Entrate in collaborazione con SOGEI SpA (una società di Information Technology interamente controllata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, dedicata ai servizi strumentali ed alla conduzione tecnica della piattaforma SdI). Pertanto, le fatture elettroniche, una volta generate con le apposite applicazioni messe a disposizione dal MEF o commercializzate da software houses private, vengono inoltrate al Sistema di Interscambio mediante posta elettronica certificata o tramite altri servizi web messi a disposizione dall'Agenzia delle Entrate; sarà poi lo stesso SdI, operando come una sorta di postino, a recapitare le fatture al cessionario che, se soggetto Iva, avrà preventivamente comunicato all'Agenzia delle Entrate il proprio indirizzo PEC o un apposito codice destinatario. Nel caso, invece, di consumatore finale (non soggetto Iva e quindi generalmente privo di indirizzo PEC e/o di codice destinatario, con conseguente impossibilità di consegna della fattura tramite SdI), l'art. 1 comma 3 del d.lgs. n. 127/2015 prevede che le fatture elettroniche (comunque da inoltrare al SdI) siano rese disponibili, su richiesta dell'interessato, dai servizi telematici dell'Agenzia delle entrate e che, in ogni caso, una copia della fattura, anche in formato analogico, sia messa a disposizione direttamente dal cedente con le modalità tradizionali. Ai clienti privati, quindi, la fattura andrà inviata come accadeva prima, salvo che loro stessi decidano di rinunciarvi. Conseguenza del fatto che la fattura elettronica transiti obbligatoriamente per una piattaforma informatica gestita dall'Agenzia delle Entrate (anche allo scopo di consentire controlli automatizzati) è il venir meno dell'obbligo di annotazione nei cd. registri Iva; l'art. 1 comma 3-ter del citato d.lgs. n. 127/2015 dispone, infatti, che «i soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute ai sensi del comma 3 del presente articolo sono esonerati dall'obbligo di annotazione in apposito registro, di cui agli artt. 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633». Cessato l'obbligo di annotazione, ci sembra che dovrebbe cessare anche l'obbligo di tenere i registri in questione, salvo ammettere che il legislatore tributario imponga all'impresa di tenere registri contabili che non ha l'obbligo di utilizzare; tuttavia, è un fatto che resti ancora in vigore l'art. 9 del d.lgs. n. 471/1997, secondo cui «chi non tiene o non conserva secondo le prescrizioni le scritture contabili, i documenti e i registri previsti dalle leggi in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto ovvero i libri, i documenti e i registri, la tenuta e la conservazione dei quali è imposta da altre disposizioni della legge tributaria, è punito con la sanzione amministrativa euro 1.000 a euro 8.000». Il decreto ingiuntivo per crediti derivanti da somministrazioni di merci e denaro e prestazione di servizi: la fattura è una prova sufficiente?
Proviamo ora a raccordare la nuova disciplina sulla fattura elettronica con quella che regola il procedimento monitorio. L'art. 634 comma 2 c.p.c., come noto, indica quali prove scritte siano idonee all'emissione del decreto ingiuntivo per i crediti relativi alla somministrazione di merci e denaro nonché alla prestazione di servizi da parte di imprenditori che esercitino un'attività commerciale e, dal 2017, da parte di tutti i lavoratori autonomi (inclusi i professionisti intellettuali, come si evince dall'art. 1 l. n. 81/2017, che precisa come le disposizioni in essa contenute vadano applicate anche ai rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell'art. 2222 c.c.). Più precisamente, la norma indica gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti c.c. (purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute), nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per tali scritture. Nella nozione di “scritture contabili” rientra, senza dubbio, anche la fattura commerciale; tuttavia la giurisprudenza non è unanime sulla sua idoneità a provare il credito, se non suffragata dagli estratti autentici delle scritture contabili previste dal codice civile (es. libro giornale) o dalle leggi tributarie (es. registri iva). L'orientamento prevalente propende per la possibilità di emissione del decreto ingiuntivo sulla base delle sole fatture – anche se non accettate! – purché regolari sotto il profilo amministrativo e fiscale (cfr. ex multis Trib. Parma n. 1436/2017; Trib. Roma, n. 11239/2017; Cass. civ., n. 4334/2013; Cass. civ., n. 8549/2008). Non sono mancate, tuttavia, posizioni di segno contrario, specialmente tra i giudici di merito (cfr. Trib. Torino sez. III, 13 giugno 2002 «le fatture non possono per sé sole considerarsi idonee prove scritte, posto che provengono dal ricorrente asserito creditore (e quindi non rientrano nelle tipologie elencate nel primo comma dell'art. 634 c.p.c.) ed inoltre non equivalgono ai richiesti "estratti autentici delle scritture contabili di cui agli artt. 2214 ss. c.c. (o delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie), purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute" di cui al secondo comma dell'art. 634 c.p.c.»; v. anche App. Firenze, sez. II, 12 ottobre 2004 «ai fini dell'emissione di decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., non costituisce prova scritta, idonea a fondarne la richiesta, la fattura con bolla di accompagnamento non firmata dal destinatario senza la produzione dell'estratto del libro iva»). Chi scrive propende per la soluzione maggioritaria, favorevole all'emissione del decreto ingiuntivo supportato, a livello istruttorio, dalle sole fatture; la scelta dell'avverbio “altresì” (alterum et sic) utilizzato dal legislatore non pare casuale e non sembra legittimare la soluzione interpretativa secondo cui i documenti contabili tipizzati dall'art. 634 c.p.c. sarebbero le uniche prove scritte idonee all'emissione del decreto ingiuntivo per i crediti di imprenditori e lavoratori autonomi. Ne consegue che, conformemente al dettato dell'art. 633 n. 1 c.p.c., tali crediti possono essere provati (ai soli fini monitori, si badi bene) anche mediante «qualsiasi documento, ancorché privo di efficacia probatoria assoluta (qual è, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale, la fattura commerciale non accettata), da cui risulti il diritto fatto valere a fondamento della richiesta ingiunzione» (così Cass. civ. n. 6879/1994). Tale opinione risulta oggi rafforzata dal venir meno dell'obbligo di annotare le fatture elettroniche nei registri iva, sembrando del tutto illogico assumere che l'imprenditore debba tenere tali registri e procedere alle annotazioni solamente allo scopo di procurarsi, al bisogno, gli estratti autentici da utilizzare in sede monitoria. Ancora, potrebbe osservarsi che, se da un lato chi ha l'obbligo di fatturazione elettronica non ha più l'obbligo di annotazione nei registri iva, dall'altro lato chi non ha l'obbligo di fatturazione elettronica (cioè i soggetti passivi che rientrano nel cosiddetto "regime di vantaggio" o che applicano il regime forfettario, inclusi lavoratori autonomi e liberi professionisti) non ha nemmeno l'obbligo di tenuta dei registri in questione (cfr. art. 27, comma 3, d.l. n. 98/2011 e art. 1, comma 59, l. n. 190/2014). In definitiva, ci sembra ormai assurdo legittimare l'emissione del decreto ingiuntivo subordinatamente alla produzione, insieme alle fatture, di un estratto autentico da un registro la cui tenuta non è più necessaria e la cui ragion d'essere sembra venuta sostanzialmente a mancare. Eppure, nel foro certe abitudini son dure a morire… Proseguiamo nella nostra breve analisi. Se, alla luce di quanto finora argomentato, fosse possibile ricorrere in via monitoria allegando solo le fatture (ferma la possibilità, o meglio l'opportunità di allegare altri documenti non contabili quali contratti, documenti di trasporto, corrispondenza commerciale etc.), occorre domandarsi cosa andrà concretamente inserito nella busta telematica insieme al ricorso. La risposta al quesito sembra venire dal combinato disposto degli artt. 12 e 34 d.m. Giustizia n. 44/2011 (“Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24”) e dell'art. 13 del Provvedimento del Ministero della Giustizia 16 aprile 2014 (“Specifiche tecniche previste dall'art. 34, c1 del d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, recante regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione”), secondo i quali i documenti informatici nel processo civile telematico possono essere prodotti anche in formato XML. La soluzione corretta, quindi, ci sembra quella di produrre telematicamente le fatture elettroniche nel loro formato nativo, ovvero come file XML; la produzione in giudizio di visualizzazioni in formati diversi (es. pdf) ottenute attraverso software concepiti allo scopo di rendere “human friendly” i file XML non dovrebbe avere alcun valore legale. Sarebbe un po' come aver prodotto, nel vigore della precedente disciplina, un breve riassunto del contenuto della fattura, al posto della fattura stessa. Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, se la produzione di fatture in formato XML non possa creare qualche problema al giudice che le visualizzerà nella sua “consolle del magistrato” per verificare il credito del ricorrente.
Pare a chi scrive che, se il file XML si attaglia indubbiamente agli scopi per cui è stato scelto dai tecnici del MEF – cioè fornire informazioni a un sistema informatico – per altro verso non si presti affatto alla disamina da parte di un essere umano, specialmente se ci si immedesima nel giudicante che debba controllare un numero anche elevato di fatture, prima di emettere il decreto ingiuntivo. È pur vero che sono stati messi a disposizione dei programmi idonei a visualizzare il contenuto dei file XML in modo non molto diverso dalle fatture tradizionali, ma questa sorta di interfaccia grafica non è la fattura. Viene spontaneo, allora, porsi almeno due domande:
In conclusione
La risposta a tali quesiti richiederebbe, a sommesso parere di chi scrive, un intervento chiarificatore di natura legislativa o, quantomeno, di prassi ministeriale. Parimenti opportuno sarebbe un chiarimento sull'obbligatorietà della tenuta dei registri Iva, una volta venuta meno l'obbligatorietà di annotazione delle fatture. De iure condendo, infine, ci sembra che anche l'art. 634, comma 2, c.p.c. andrebbe ridisegnato, visto che la sua ossatura, risalente al 1942 (R.d. 20 aprile 1942, n. 504), non può più sostenere efficientemente la dinamica del recupero dei crediti commerciali nell'era dei registri contabili informatizzati e delle fatture elettroniche. Nel frattempo, sarebbe comunque utile per tutti gli operatori giuridici l'adozione, da parte dei vari Tribunali, di protocolli omogenei che dessero delle chiare linee guida ai magistrati, ai cancellieri e agli avvocati. Una prima, modesta proposta in tal senso potrebbe essere la seguente:
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