L'appello nel rito sommario di cognizione

Linda Zullo
21 Maggio 2019

Il mezzo di impugnazione previsto dall'art. 702-quater c.p.c., in tema di procedimento sommario di cognizione, ha natura di appello per cui la sua mancata proposizione comporta il passaggio in giudicato dell'ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c., essendo un procedimento con pienezza sia di cognizione (come in primo grado) che di istruttoria (a differenza del primo grado, ove è semplificata), analogo a quello disciplinato dall'art. 345, comma 2, c.p.c.
Il quadro normativo

L'art. 702-quater c.p.c. prevede che l'ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell'art. 702-terc.p.c. produce gli effetti di cui all'art. 2909 c.c. se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione.

Il mezzo di impugnazione previsto dall'art. 702-quaterc.p.c., in tema di procedimento sommario di cognizione, ha natura di appello (e non di reclamo cautelare) per cui la sua mancata proposizione comporta il passaggio in giudicato dell'ordinanza emessa ex art. 702-bisc.p.c., essendo un procedimento con pienezza sia di cognizione (come in primo grado) che di istruttoria (a differenza del primo grado, ove è semplificata), analogo a quello disciplinato dall'art. 345, comma 2, c.p.c.

In primo luogo, la disposizione in esame sancisce la totale parificazione (quanto a portata ed effetti) dell'ordinanza pronunciata all'esito del giudizio sommario di cognizione alla sentenza emessa a conclusione del rito ordinario.

La circostanza, infatti, che in assenza di appello, l'ordinanza ex art. 702-ter comma 6c.p.c. sia idonea a produrre i medesimi effetti di cui all'art. 2909 c.c. (ovvero della cosa giudicata) conferma l'intenzione del Legislatore di aver voluto creare, con la riforma di cui alla l. 18 giugno 2009, n. 69, un percorso processuale più snello, alternativo e peculiare rispetto al giudizio ordinario di cognizione (naturalmente utilizzabile nei limiti all'uopo previsti) ma che sia egualmente in grado di concludersi con un provvedimento del tutto equipollente ad una sentenza.

Da ciò ne deriva, ad esempio, che in tutti quei casi in cui il codice utilizza espressamente il termine sentenza (si pensi all'ipotesi di cui all'art. 2932 c.c. in tema di esecuzione specifica dell'obbligo a contrarre), l'interprete dovrà tenere a mente che le medesime fattispecie troveranno applicazione anche nel caso in cui, a fronte di una sentenza, sia stata pronunciata un'ordinanza.

Le ordinanze, di qualsiasi contenuto, pronunciate all'esito del procedimento sommario, saranno impugnabili con la revocazione straordinaria (art. 395, nn. 1,2,3, e 6, c.p.c.), ovvero con quella ordinaria (art. 395, nn. 4 e 5, c.p.c.) nelle materie per le quali la legge preveda (nel rito a cognizione piena) l'inappellabilità della sentenza (qualora, però, si acceda alla tesi che, anche in queste ipotesi, sia utilizzabile il procedimento sommario), e sarà altresì ammissibile l'opposizione di terzo, ordinaria o revocatoria (art. 404, comma 1 e 2 c.p.c.).

L'impugnazione in oggetto è proponibile innanzi alla Corte d'appello e non al tribunale in sede collegiale, non solo contro l'ordinanza di accoglimento, ma anche avverso quella di rigetto, che dovendo contenere la statuizione sulle spese è come tale, anch'essa, provvisoriamente esecutiva (Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2015, n.10211).

Tre sono, fondamentalmente, gli aspetti che connotano l'impugnazione in commento: la previsione del solo termine breve per la sua proposizione; l'inapplicabilità dell'art. 348-bisc.p.c. (ovvero il cd. filtro in appello) nonchè la possibilità che siano ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti qualora il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione.

I provvedimenti impugnabili

L'art. 702-quaterc.p.c., a differenza di quanto prevede l'art. 339 c.p.c. per il processo ordinario, non individua quali siano i provvedimenti sottoponibili ad appello, in quanto menziona come appellabile solo l'ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell'art. 702-terc.p.c., ovvero la pronuncia di accoglimento nel merito.

Tuttavia devono ritenersi impugnabili con tale mezzo di gravame non solo la pronuncia di accoglimento nel merito ma anche quella di merito di rigetto, nonchè ogni decisione di primo grado di rito relativa all'esistenza di un difetto relativo ad un impedimento processuale insanabile o non sanato, salvo che non debba utilizzarsi un mezzo di impugnazione specifico, come nel caso del regolamento ‘‘necessario'' di competenza ex art. 42 c.p.c. per la pronuncia di incompetenza.

Per la Cassazione la struttura del procedimento sommario di cognizione esclude che il giudice, ove non declini la propria competenza ai sensi dell'art. 702-ter, comma 1, c.p.c., abbia l'alternativa di emettere una decisione non definitiva affermativa della competenza, non applicandosi in tale procedimento l'art. 187, comma 3, c.p.c.

Invero, deve anche osservarsi, su di un piano generale, che, poichè l'appello è il mezzo diretto ad assicurare in modo pieno la garanzia soggettiva dell'impugnazione e a realizzare, sia pure in modo molto tendenziale, il cosiddetto principio del doppio grado di giurisdizione, sebbene esso sia privo di copertura costituzionale, è attraverso l'esperimento di tale impugnazione che la parte, che si ritenga destinataria di una sentenza ingiusta ovvero invalida, può provocarne il controllo da parte di un altro giudice, atteso che l'art. 24, comma 2,Cost. proclama l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio; di questo diritto di difesa una componente essenziale è indubbiamente costituita dalla possibilità di ottenere il riesame della causa da parte di un giudice diverso da quello che ha emanato la sentenza.

Problemi più delicati, invece, riguardano la proponibilità dell'appello avverso le pronunce non definitive, di cui è dibattuta la stessa possibile emanazione nel procedimento in esame. A tale riguardo, è stato considerato che, se è stata emessa un'ordinanza non definitiva su una questione di rito, oppure limitata all'accoglimento o al rigetto di taluna soltanto delle più domande cumulate, o magari ad una condanna generica o provvisionale, può considerarsi, a fronte dell'esplicito riferimento dell'art. 702-quaterc.p.c. all'ordinanza emessa ai sensi del 6º comma dell'art. 702-terc.p.c., che, posto che tale disposizione prende in considerazione solo la pronuncia di merito, non solo è consentito l'appello, necessario per evitare la formazione del giudicato, nei confronti dell'ordinanza (non definitiva) che abbia accolto o rigettato una o più domande, ma anche una impugnazione differita, previa riserva, ex art. 340 c.p.c.

Invece, se è stata emessa un'ordinanza non definitiva su questione meramente processuale, essa non avrebbe alcun autonomo effetto preclusivo, di tal che non sarebbe impedito di riproporre la questione al giudice di appello mediante l'impugnazione della successiva ordinanza definitiva del procedimento.

Per altra parte della dottrina, le pronunce non definitive sono ammissibili nel procedimento sommario di cognizione alla stessa stregua dell'art. 279 c.p.c., e quindi le pronunce non definitive su questione, avendo natura decisoria, sono sottoponibili agli ordinari mezzi d'impugnazione e ai connessi istituti che ne condizionano l'esperimento, tra cui la riserva d'appello ai sensi dell'art. 340 c.p.c., e – per i casi speciali di procedimento sommario in unico grado – il ricorso in cassazione necessariamente differito ex art. 360, ult. comma, c.p.c..

L'appellabilità dell'ordinanza di rigetto della domanda ex art. 702-quater c.p.c., è confermata anche dalla giurisprudenza più recente, stabilendo che il richiamo al comma 6 dell'art. 702-ter va letto in continuità con il comma 5, quest'ultimo riferito sia all'accoglimento che al rigetto, essendo peraltro contraria ai principi di eguaglianza, ragionevolezza e difesa un'appellabilità secundum eventum litis ( cfr. App. Roma, sez. III, 31 luglio 2017, n.5208).

Il termine per proporre l'impugnazione

La prima parte dell'art. 702-quater c.p.c. prevede il termine di trenta giorni, decorrenti dalla sua comunicazione o notificazione, per appellare l'ordinanza emessa ai sensi del 6º comma dell'art. 702-ter c.p.c., ma tale termine è altresì valevole per tutti gli altri provvedimenti di merito e di rito, sopra individuati, suscettibili di gravame. Invero, la Cassazione ai fini della proposizione dell'appello, ha sancito la parificazione dell'ordinanza di rigetto della domanda a quella di accoglimento, stante la loro equiparazione ai fini della produzione degli effetti della cosa giudicata ex art. 702-quaterc.p.c. (Cass. civ., 8 marzo 2017, n. 5840).

Ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni previsto dall'art. 702-quaterc.p.c. per la proposizione dell'appello avverso l'ordinanza emessa ex art. 702-ter, comma 6, c.p.c., la comunicazione di cancelleria deve avere ad oggetto il testo integrale della decisione, comprensivo di dispositivo e motivazione (Cass. civ., 23 marzo 2017, n. 7401) ;

É controversa, nella giurisprudenza di legittimità, l'applicabilità all'appello del procedimento a rito sommario del termine cd. lungo di cui all'art. 327, comma 1, c.p.c. in quanto, mentre una prima pronuncia ne esclude l'applicazione, poichè la decorrenza del termine per proporre il gravame dal deposito dell'ordinanza è logicamente e sistematicamente esclusa dalla previsione, contenuta nell'art. 702-quaterc.p.c., della decorrenza dello stesso termine, per finalità acceleratorie, dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza medesima, invece, un'altra pronuncia, quasi coeva, ma emessa da una diversa sezione (la terza, anzichè la seconda) ne sancisce l'applicabilità, con decorrenza dal momento del deposito dell'ordinanza, e ciò sia perchè vi sono istituti nel sistema, quale appunto il termine impugnatorio cd. lungo ex art. 327 c.p.c., che hanno un utilizzo generale, essendo operante del resto nel rito sommario l'inserimento di un evidente tasso di ordinarietà, che più che mai inibisce la sua decontestualizzazione dal sistema, sia perchè l'introduzione di una specifica disciplina attinente al termine breve e agli effetti del suo decorso non può assorbire in modo meramente implicito la via dell'art. 327 c.p.c., nel senso che, nel contesto sistemico, allo scopo il legislatore avrebbe dovuto espressamente negarne l'applicazione (Cass. civ., 27 giugno 2018, n. 16893).

A favore dell'operatività del precetto di cui all'art. 327, comma 1, c.p.c. all'appello nel procedimento sommario di cognizione, può dirsi, oltre al rilievo che tale norma è di carattere generale in tema di impugnazioni, di tal che per la sua inapplicabilità è necessaria una indicazione normativa specifica, non essendo sufficiente a questi fini che l'art. 702-quaterc.p.c. preveda un termine cd. breve, come in generale prevede l'art. 325 c.p.c., anche che, soprattutto, può in concreto verificarsi che non vi sia stata una notificazione o comunicazione dell'ordinanza o che, mancando la notificazione, vi sia stata sì la comunicazione ma che essa non sia tale da essere idonea a fare decorrere il termine di trenta giorni previsto dall'art. 702-quaterc.p.c.; ciò porta quindi ad applicare il cd. termine lungo semestrale ai fini della decadenza dal potere di proporre, nel caso di specie, il rimedio dell'appello.

Sull'identificazione del termine per l'appello avverso l'ordinanza ex art. 702-terc.p.c. e alla sua decorrenza, ove l'ordinanza sia resa in udienza, e quindi non comunicata né notificata, occorre dar conto della recente evoluzione giurisprudenziale.

La Corte d'appello di Napoli dichiarava inammissibile l'appello proposto avverso l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 702-terc.p.c., ritenendo che, essendo stata pronunciata in udienza l'ordinanza decisoria di primo grado, il termine di trenta giorni per l'appello decorresse dalla stessa data dell'udienza ex art. 134 c.p.c., equivalendo la pronuncia in udienza alla comunicazione ed escludendosi l'applicazione del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c.

Benché l'ordinanza non fosse stata notificata (né altrimenti comunicata), la Corte locale ha dichiarato tardivo il gravame.

Stante la proposizione del ricorso in Cassazione da parte del soccombente, il Collegio premette che il procedimento sommario di cognizione è stato introdotto al fine, tra l'altro, di dotare l'ordinamento processuale italiano di un rito accelerato. Ciò, a parere dei Giudici, impone di escludere la possibilità di applicare al rito di cui all'art. 702-ter e quater la disposizione contenuta nell'art. 327, comma 1, c.p.c., limitatamente all'appello, per essere l'ipotesi della decorrenza del termine per l'appello dal deposito dell'ordinanza logicamente e sistematicamente esclusa dalla previsione della decorrenza del termine stesso, con finalità acceleratoria, dalla comunicazione o dalla notificazione.

A fronte di questa premessa, la decisione della Corte territoriale risulta essere coerente con quanto espresso dai Supremi Giudici, in consonanza con la ratio legis connessa alla natura accelerata del procedimento sommario di cognizione e con la disposizione dell'art. 702-quaterc.p.c. che, a tal fine, fa decorrere il termine per l'appello dalla "comunicazione".

Pertanto, il termine per proporre appello avverso l'ordinanza resa in udienza e inserita a verbale decorre, pur se questa non è stata comunicata o notificata, dalla data dell'udienza stessa, equivalendo la pronuncia in tale sede a ‘‘comunicazione'' ex artt. 134 e 176 c.p.c.

L'assenza del cd. “filtro in appello”

Altra peculiarità dell'appello introdotto ai sensi dell'art. 702-quaterc.p.c. è poi, come accennato, la non applicazione del disposto di cui all'art. 348-bis comma 1c.p.c., in forza del quale: «Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta».

La limitazione del filtro si inserisce in un sistema nel quale la scelta (in primo grado) tra rito ordinario e rito sommario, che solo in alcuni casi è preordinata dalla volontà del legislatore quanto alla materia oggetto del contendere, ha l'effetto di garantire alle parti un appello rispettivamente provvisto o meno del filtro, con l'ovvia conseguenza che un gravame privo di una ragionevole probabilità di accoglimento è trattato diversamente a seconda che il primo grado di giudizio si sia svolto con rito ordinario o sommario.

Rispetto al limite imposto con la lettera b) dell'art. 348-bis, comma 2, c.p.c. occorre dar conto che per rilevante dottrina l'appello di cui all'art. 702-quaterc.p.c. è un gravame che quanto alla trattazione si discosta dal primo grado celebrato sempre con rito sommario. L'appello contro un'ordinanza sommaria, pertanto, dovrebbe essere ‘‘costruito come un giudizio di primo grado a cognizione piena''.

Non è mancato chi, viceversa, ha inteso l'art. 702-quaterc.p.c. come norma speciale rispetto all'art. 345 c.p.c. con l'appello del sommario di cognizione quale revisione del primo grado, «con le stesse caratteristiche di questo», senza, dunque, che sia restituito alle parti il rito ordinario in sede di gravame.

La limitazione prevista dalla lettera b) dell'art. 348-bis, comma 2, c.p.c., pertanto, pare di più armonica costruzione sistematica se l'appello del rito sommario è pensato con la struttura per la quale opta la seconda teoria qui richiamata.

Difatti, atteso che potrebbe risultare eccessivo nei confronti delle parti in causa ammettere che il giudice d'appello pronunci un'ordinanza di inammissibilità dell'impugnazione per non ragionevole probabilità di accoglimento nel merito dopo un primo grado svolto con rito sommario, l'esclusione

del filtro per il procedimento sommario di cognizione sembra ispirata più che a logiche di tecnica giuridica e ad una politica di premialità processuale per la quale il legislatore ammette che, qualora le parti abbiano optato per la deformalizzazione del rito, possano goderne anche in appello, senza che siano esposte alla tagliola del filtro.

La citazione in appello

Benchè il procedimento sommario di cognizione preveda lo strumento del ricorso quale atto introduttivo del giudizio, l'appello dovrà – analogamente a quanto previsto nel rito ordinario – essere proposto mediante atto di citazione, con la conseguenza che entro il termine per impugnare l'ordinanza dovrà essere effettuata la notificazione alla parte appellata (sul punto, ex multis, Cass.civ.,sez. VI, 18 agosto 2016, n. 17192)

Ugualmente, in ragione dell'assenza di una specifica previsione normativa, al giudizio di gravame nel procedimento sommario di cognizione si applica la disciplina valevole per l'appello del rito ordinario, di cui alle disposizioni ex artt. 339 e ss. c.p.c., in quanto applicabili, a cominciare dai commi 1 e 2 dell'art. 345 c.p.c., dall'onere di riproposizione ex art. 346 c.p.c., e così via. Non vi sono ragioni, tantomeno testuali, per escludere l'applicabilità della sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione ex art. 283 c.p.c. all'ordinanza decisoria di primo grado, attesa la generale natura di ‘‘contrappeso'' da riconoscersi all'inibitoria de qua rispetto al conferimento della provvisoria esecutività ai provvedimenti di primo grado, ivi compreso, quindi, il provvedimento di merito conclusivo del primo grado del processo a rito sommario, provvisoriamente esecutivo ai sensi dell'ult. comma dell'art. 702-terc.p.c. La decisione finale del giudizio di appello avrà la forma di sentenza, ricorribile in cassazione.

Ammissibilità di nuovi mezzi di prova e documenti

Il legislatore, ha dettato una scarna disciplina del giudizio d'appello, limitandosi a precisare che sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Si tratta, di una differenza estremamente rilevante rispetto a quanto accade nel giudizio di appello nel rito ordinario, laddove, ai sensi e per gli effetti dell'art. 345 u.c. c.p.c. (così come modificato con l. n. 143/2012) ciò risulta possibile esclusivamente nell'ipotesi in cui la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (fattispecie, tra l'altro, che rimane impregiudicata anche nel testo dell'art. 702-quaterc.p.c. in esame).

Ovviamente ferme rimangono le contestazioni e le deduzioni che, nei singoli casi, le parti potranno sollevare circa il carattere indispensabile o meno, ai fini della decisione del gravame, del mezzo o del documento nuovo.

La fase istruttoria, nei termini delineati, per le modalità di assunzione dei mezzi di prova nel giudizio di appello a rito sommario, come per la rinnovazione totale o parziale di una prova già avvenuta in primo grado, implica l'operare del disposto di cui all'art. 356 c.p.c. e, quindi, il rinvio, ivi contenuto, all'operatività degli artt. 191 e ss. c.p.c., stante il dover ritenersi applicabile, in generale, al giudizio di appello nel procedimento sommario di cognizione, la disciplina dettata per l'appello del rito ordinario di cui alle disposizioni ex artt. 339 e ss. c.p.c.

Prima della predetta modifica legislativa, a fronte di un maggioritario orientamento che riteneva che il procedimento sommario ex artt. 702-bis e ss. fosse da ritenersi un processo a cognizione piena, un altro orientamento, partendo dall'assunto che il procedimento sommario di cognizione nel suo primo grado fosse caratterizzato dalla sommarietà della cognizione, considerava che la previsione normativa relativa all'ammissibilità in appello delle nuove prove e dei documenti ‘‘rilevanti'' dovesse interpretarsi nel senso di consentire alle parti di formulare, in modo pieno, e senza limiti, istanze istruttorie e produrre documenti per la prima volta in appello in quanto concernenti un fatto rilevante per la decisione finale, così da assicurare, garantendo la possibilità di avere almeno un grado, nella specie quello di appello, a cognizione piena, la costituzionalità del processo a rito sommario.

In coerenza, quindi, con tale ultima ricostruzione, una parte della dottrina, a seguito della sostituzione in via legislativa della parola ‘‘rilevanti'' con quella di ‘‘indispensabili'', ritenuta più angusta in termini di mezzi di prova e documenti ammissibili in appello, è giunta quindi, a causa di tale modifica, a paventare, la sussistenza di dubbi di costituzionalità dell'intero procedimento sommario di cognizione, rilevando altresì il sorgere di un onere di completamento di ogni richiesta istruttoria innanzi al tribunale, potendo dinanzi alla corte di appello trovare ingresso solo i nuovi mezzi prova ‘‘indispensabili''.

La stessa determinazione degli esatti confini del concetto di ‘‘indispensabilità'', oltre che di quello di ‘‘rilevanza'', in specie se confrontato con il primo, con riferimento ai nuovi mezzi di prova, costituisce, su di un piano generale, questione tuttora assai dibattuta, su cui, nonostante pregevoli sforzi ricostruttivi compiuti ad opera della dottrina, non si è ancora giunti, stante anche certi oscillanti orientamenti emersi nella giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 4 maggio 2017, n. 10790), a conclusioni davvero certe.

Tuttavia, per altri indirizzi interpretativi, la modificata qualificazione in termini di ‘‘indispensabili'', riguardo ai nuovi mezzi di prova e documenti ammissibili in appello nel rito sommario, non è stata considerata come destabilizzante del sistema, in quanto essa, per alcuni, se ha comportato il venire meno del ruolo dell'appello quale sede per recuperare, in seconde cure, la cognizione piena mancata in primo grado, ciò è da ritenersi solo la conferma del fatto che l'accertamento completo sui fatti di causa è assicurato sin da principio e non necessita di integrazioni in secondo grado, mentre, per altri, non è andata a modificare l'assunto secondo cui, nel procedimento de quo, l'appello presenta un carattere ‘‘aperto'' sul piano istruttorio, dovendosi attribuire al requisito della ‘‘indispensabilità'' una valutazione diversa, e meno rigida, rispetto a quanto avveniva circa la previgente formulazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c..

In materia, peraltro, è intervenuta una recente pronuncia delle Sezioni Unite di cui occorre riportare le risultanze, in quanto foriere di interesse anche riguardo al tema ora in esame, atteso che è stato ivi espressamente affermato che l'individuazione del concetto di ‘‘indispensabilità'' dei nuovi mezzi di prova e documenti ammissibili in appello, di cui al 3º comma dell'art. 345 c.p.c. previgente, rappresenta una questione la cui importanza si proietta anche in futuro, malgrado l'intervenuta modifica della predetta norma ad opera della legge n. 134/2012, atteso che lo stesso concetto di indispensabilità della prova nuova in appello à rimasto immutato sia nell'art. 437, comma 2, c.p.c., concernente il rito lavoro, sia nell'art. 702 quater c.p.c. concernente il procedimento sommario di cognizione (oltre che nella l. n. 92/2012, art. 1, 59º comma, per le controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dalla l. n. 300/1970, art. 18). Ed invero, per la Corte di cassazione, costituisce una prova nuova indispensabile ex art. 345, comma 3, c.p.c., previgente, quella di per se´ idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (cfr. Cass. civ., 4 maggio 2017, n. 10790); pertanto, attraverso tale dictum, viene offerta una interpretazione più elastica del concetto di indispensabilità della prova di cui al previgente art. 345, comma 3, c.p.c. rispetto a quella della cd. indispensabilità ristretta che invece vorrebbe, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, che non fossero ammesse quelle prove che, benchè indispensabili (nell'accezione già indicata) si sarebbero già potute produrre in primo grado ovvero di cui la decisione impugnata avrebbe potuto tenere conto se la parte fosse stata diligente nel chiederne l'assunzione tempestivamente.

Applicando quindi un siffatto concetto, più elastico, di indispensabilità della nuova prova ammissibile in appello anche al riformato art. 702-quaterc.p.c. si può pervenire ad una ricostruzione più ‘‘aperta'', in punto di prova, del giudizio di appello nel rito sommario, anche se, tuttavia, resta comunque da verificare se davvero esso, cosı` inteso, possa giungere a garantire quella pienezza di cognizione che un orientamento interpretativo, già ricordato, ritiene imprescindibile, e che si verifica quando le parti possono, in modo libero e senza alcun limite, formulare istanze istruttorie e produrre documenti per la prima volta in appello, così da eliminare in radice i sollevati dubbi di incostituzionalità dello stesso procedimento a rito sommario.

Con l'intento di agevolare la gestione della eventuale fase istruttoria in appello, in ragione della maggiore ampiezza di essa, nei termini sopra detti, l'ultima parte dell'art. 702-quaterc.p.c. prevede il potere del presidente del collegio di delegare ad uno dei componenti di esso l'assunzione dei mezzi di prova, così come è stato poi previsto nel primo comma dell'art. 350 c.p.c. anche per il processo ordinario, a seguito della sua modifica operata dall'art. 28, l. n. 183/2011.

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