La responsabilità del dermatologo per omessa diagnosi di malattia oncologica
21 Maggio 2019
Premessa
Negli ultimi anni, si è assistito e sempre più frequentemente, a casi di c.d. malasanità; termine quest'ultimo che sottende l'esistenza di una qualsiasi forma di responsabilità facente capo a colui che esercita un'attività professionale di tipo sanitario. L'enorme diffusione di processi, sia di natura civile che penale volti a coinvolgere principalmente le categorie degli operatori sanitari, ha indotto questi ultimi ad assumere atteggiamenti difensivi estrinsecantesi, il più delle volte, attraverso il ricorso alla c.d. medicina difensiva; quest'ultima si sviluppa attraverso il ricorso a terapie non indispensabili e soprattutto nocive per il paziente al solo scopo, per il medico, di non incorrere nel rischio di dovere subire eventuali azioni giudiziarie che oltre a minare i propri interessi economici, metterebbero a repentaglio anche e soprattutto la propria immagine. In aggiunta alle predette considerazioni, vi è da dire che se un tempo le figure professionali più coinvolte in giudizi aventi ad oggetto responsabilità di tipo professionale erano i chirurghi estetici, i ginecologi e così via, attualmente si assiste ad un coinvolgimento nell'orbita della responsabilità medica anche di medici di base e di dermatologi. In particolare modo, nel corso della trattazione del presente elaborato, ci occuperemo della responsabilità gravante sul dermatologo nel caso in cui costui tenga condotte “omissive” pregiudizievoli per il paziente. In tale caso, il medico diventa responsabile per non essersi attenuto al dettato normativo o comunque per non avere seguito le c.d. linee guida, qualora il caso specifico da lui stesso trattato ne richiedeva la più scrupolosa applicazione.
Diffuse sono state le varie interpretazioni fornite sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità, in relazione all'inquadramento giuridico della responsabilità del medico nell'alveo della responsabilità di natura contrattuale od extracontrattuale. Recentemente, con l'introduzione della cd. Legge Gelli–Bianco (l. n. 24/2017), il Legislatore ha inteso distinguere una responsabilità di natura contrattuale, ex artt. 1218 – 1228 c.c., facente capo alle strutture sanitarie ed una responsabilità di tipo extracontrattuale ricadente sul singolo professionista sanitario dipendente della struttura per la quale presta la propria attività professionale. Dalla natura prettamente extracontrattuale del rapporto tra paziente e medico, ne discende l' onere probatorio gravante sul primo in relazione alla dimostrazione dell'esistenza di un contratto con la struttura sanitaria, dell'aggravamento del proprio stato di salute, della ricorrenza del nesso di causalità tra condotta ed evento nonché dell'esistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa. Alla luce del predetto dettato normativo si richiede al medico l'osservanza delle c.d. linee guida e, in difetto, delle buone pratiche applicate al singolo caso di specie. È chiaro, quindi, che nell'ambito della responsabilità medica assume un'importanza preponderante l'accertamento del c.d. nesso di causalità e cioè il rapporto causa – effetto intercorrente tra la condotta della struttura sanitaria e per essa il medico dipendente ed il danno subito dal paziente. La condotta del sanitario, può ritenersi causatrice del danno al paziente sia nei termini di nuova insorgenza della malattia e sia come aggravamento della patologia già in atto; inoltre, può concretizzarsi sia in una condotta attiva e cioè in un'erronea attività diagnostica e/o terapeutica, oppure in una condotta omissiva come può essere un difetto di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente. Una condotta di tipo omissivo, può concretizzarsi anche nella mancata esecuzione di opportune indagini al fine di predisporre un'accurata e tempestiva terapia farmacologica al paziente stesso. Al riguardo, risulta di fondamentale importanza, l'applicazione del c.d. giudizio controfattuale, il quale ci consente di valutare se l'attività omessa qualora fosse stata regolarmente eseguita, avrebbe potuto evitare il danno arrecato al paziente in base al criterio applicabile in ambito civilistico della preponderante evidenza o comunque del più probabile che non ed in ambito penalistico del criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. E' bene precisare che ad avviso della giurisprudenza di legittimità, il nesso di causalità ricorre anche quando, non solo l'evento dannoso poteva essere evitato, ma anche posticipato in termini di allungamento della vita od in considerazione delle maggiori chances di prolungata sopravvivenza e di migliore qualità della vita, nel senso della riduzione, attraverso la condotta doverosa omessa, dell'incidenza lesiva della patologia (Cass. Pen., sez. IV, n. 12184/2017).
Dopo avere affrontato nel corso della trattazione del precedente paragrafo la tematica dei c.d. elementi costitutivi della responsabilità medica, è bene ora analizzare un caso particolare di responsabilità cui può incorrere il dermatologo. Soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo assistito a casi di responsabilità professionale gravanti sul dermatologo per errori diagnostici, per omissioni di attività protese, attraverso l'uso di indagini cliniche e strumentali, ad accertare l'eventuale presenza di patologie, a volte anche con esiti letali. Recentemente, sia la giurisprudenza di legittimità che di merito hanno accertato e condannato operatori sanitari specializzati in dermatologia per avere tenuto condotte omissive dirette ad accertare l'esistenza di gravi patologie, le quali, con il trascorrere del tempo, hanno portato alla morte del paziente. Inoltre, non sono mancati casi in cui il dermatologo, non apprestando una congrua e tempestiva terapia, anche in presenza di una corretta diagnosi, abbia accelerato l'esito infausto di un'eventuale malattia di cui era affetto il paziente stesso. Come abbiamo potuto notare dai vari casi sopra esaminati, sono alquanto diffusi i c.d. reati omissivi del dermatologo nelle circostanze in cui non sia stato in grado di suggerire od ordinare esami più approfonditi al fine di accertare l'esistenza della malattia onde evitare le drastiche conseguenze che poi sono scaturite da una diagnosi corretta, ma tardiva. Sul punto, di estremo interesse è la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, il 16 giugno 2011, n. 29476, la quale sostenendo la tesi del criterio normativo, distingue tra una condotta omissiva, quando ad essere violato è un comando ed attiva, quando ad essere violato è un divieto. Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione, si rimprovera al dermatologo di avere tenuto, da un lato una condotta attiva, la quale si è concretizzata nella rimozione del solo peduncolo sanguinante di un neo e dall'altro una condotta omissiva e cioè nel non avere eseguito un esame istologico, con conseguenze mortali per il paziente. Ciò ha indotto la Cassazione ad annullare con rinvio la sentenza, imponendo al Giudice del rinvio di svolgere un giudizio controfattuale anche in relazione alla condotta attiva. Naturalmente, entrambe le condotte attive ed omissive hanno di certo pregiudicato il diritto alla salute della paziente danneggiata facendo sorgere una responsabilità a carico del medico, il quale, a seguito dell'assunzione di una posizione di garanzia nei confronti della paziente, avrebbe dovuto impedire l'evento pregiudizievole e ciò in attuazione della relazione diagnostico – terapeutica a suo tempo costituitasi nel rapporto medico – paziente. Un caso emblematico di negligenza professionale tenuto da uno specialista – dermatologo è stato discusso e trattato dalla Cassazione Civile nell'anno 2017. Nel caso di specie, il dermatologo aveva omesso di disporre gli opportuni accertamenti, trascurando al tempo stesso i sintomi del paziente, determinandone, così facendo, la morte. Nella suddetta circostanza, la giurisprudenza di legittimità, ha nuovamente ribadito che: «in tema di responsabilità medica, non spetta all'attore provare la colpa, egli deve solo allegarla, ma è compito del professionista dimostrare di avere agito con diligenza e perizia; anche un eventuale concorso di altri medici successivamente intervenuti, non diminuisce la responsabilità in capo al ricorrente». Con la sentenza in commento, la Cassazione, aderendo in toto alla tesi che giustifica l'esistenza di una responsabilità contrattuale dell'esercente la professione sanitaria, condanna al risarcimento del danno in favore di un paziente deceduto a causa di una patologia tumorale, il dermatologo, il quale non solo non aveva, all'epoca dei fatti, disposto esami più approfonditi, ma non aveva nemmeno fornito la prova che il giorno in cui visitò il paziente, costui non aveva alcun sintomo riconducibile alla grave patologia di cui poi è risultato essere affetto. Infatti, come è noto, la diligenza professionale è desumibile anche da una corretta interpretazione della sintomatologia, la quale deve essere considerata come la fonte da cui deriva l'intervento dell'operatore sanitario, concretizzandosi nella scelta delle varie attività d'indagine volte ad eseguire una corretta diagnosi della patologia in atto. Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione, il dermatologo si difendeva sostenendo di avere disconosciuto la sottoscrizione di un referto istologico da cui risultava la diagnosi benigna della lesione, poi sparito dagli atti di causa. In realtà, la Corte di Cassazione ha affermato che:«se il referto esisteva ed il medico lo aveva firmato, quest'ultimo era in colpa per avere sbagliato diagnosi; al contrario, se il referto non esisteva, il dermatologo era in colpa per non vere consigliato esami più approfonditi al paziente o comunque per non avere provato che al momento della visita il paziente non presentava una tale sintomatologia da giustificare il benché minimo dubbio in relazione ad un'eventuale esistenza di una patologia tumorale in atto». Naturalmente, nel caso in cui il dermatologo avesse tenuto una condotta diligente avrebbe non solo scongiurato il rischio dell'evento morte, ma anche lo stesso aggravamento della malattia. Conclusioni
Dopo un attento studio della responsabilità medica in generale e dermatologica in particolare, possiamo concludere che gli elementi costitutivi posti a fondamento di una qualsivoglia responsabilità gravante sull'operatore sanitario sono in primis l'elemento psicologico, identificabile nel dolo o la colpa, l'evento dannoso subito dal paziente ed il nesso di causalità che giustifica l'esistenza di un rapporto di causa ed effetto tra la condotta attiva od omissiva del medico e l'evento pregiudizievole che ne consegue. Vi è da dire che anche qualora la predetta responsabilità coinvolga una figura professionale che solo negli ultimi tempi ha formato oggetto di interventi di tipo dottrinale e giurisprudenziale, ai fini della distribuzione del c.d. onere probatorio è indispensabile verificare preliminarmente se sia ravvisabile una responsabilità di tipo contrattuale od extracontrattuale, la quale giustifica l'applicazione della normativa Gelli-Bianco oppure la vecchia Legge Balduzzi, ma è oggetto di vivace dibattito il regime ratione temporis della Legge Gelli–Bianco. Dalla predetta qualificazione, deriveranno differenti effetti dal punto di vista probatorio gravanti sulle parti in conflitto. In aggiunta alle predette considerazioni, si può a chiare lettere affermare che da una compiuta analisi della sentenza n. 26517/2017, possiamo dedurre che la responsabilità del dermatologo può sorgere laddove costui non abbia saputo interpretare correttamente la sintomatologia presentata dal paziente, deceduto in seguito ed a causa di un malattia di tipo tumorale. La stessa responsabilità può gravare sullo stesso specialista nel caso in cui quest'ultimo non abbia consigliato opportune indagini ed accertamenti, i quali avrebbero potuto evitare un peggioramento delle condizioni di salute del paziente e l'inevitabile decesso che successivamente ne è scaturito. È chiaro, quindi, che a seguito dell'introduzione della Legge Gelli–Bianco, lo specialista risponderà a titolo di responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) per ogni evento da considerarsi pregiudizievole per la salute del paziente; di conseguenza, su quest'ultimo graverà l'onere della prova avente per oggetto non solo la dimostrazione del fatto accaduto, del danno subito e del nesso di causalità tra fatto e danno, ma anche la stessa ingiustizia del danno e l'addebitabilità al medico del fatto lesivo a titolo di dolo o colpa. A tale proposito, si può affermare che il mancato rispetto da parte del sanitario delle c.d. linee guida, costituisce un chiaro esempio di una scelta sanitaria ingiustificata e colposa e comunque tale da legittimare una richiesta di risarcimento da parte del paziente danneggiato. |