L'autore, senza naturalmente impegnare in alcun modo l'Ente di appartenenza, mette in evidenza come la nuova normativa in materia di rivalse può essere considerata vantaggiosa per i lavoratori, non solo perché prevede un sensibile miglioramento delle tutele ma anche perché, nel calcolo del danno differenziale, privilegia l'applicazione del criterio per poste congiunte a fronte del criterio del differenziale puro verso il quale le Alte giurisdizioni, che si sono pronunciate sulla questione della compensatio lucri cum damno, sembravano indirizzare l'interprete
Premessa
Con l'art. 1, comma 1126, legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) il legislatore è intervenuto per tentare di fare finalmente chiarezza sui criteri di ripartizione del risarcimento del danno tra l'INAIL e l'assicurato, disconoscendo l'indirizzo giurisprudenziale che si andava consolidando, secondo il quale il calcolo del danno differenziale spettante all'assicurato doveva essere fatto con il raffronto per poste omogenee.
Autorevole dottrina ha subito criticato, più o meno aspramente, la riforma non solo perché le norme sarebbero state formulate in modo tecnicamente discutibile, ma soprattutto in ragione del fatto che la scelta del legislatore risulterebbe pregiudizievole per i lavoratori.
In realtà, da un lato, va ricordato che le nuove norme, anche secondo gli stessi critici, potrebbero essere interpretate in modo conforme alla Costituzione; dall'altro, si può evidenziare che, tenendo conto dell'orientamento seguito dalle più Alte giurisdizioni sulla questione della compensatio lucri cum damno (Ad. Plen. Cons. Stato n. 1 del 2018, Sezioni Unite Cass. civ., nn. 12564, 12565, 12567 e, soprattutto, n. 12566 del 2018), che sembra indirizzare l'interprete al criterio del differenziale puro, la riforma potrebbe essere considerata addirittura vantaggiosa per i lavoratori, perché privilegia l'applicazione del diverso criterio del calcolo per poste congiunte.
La questione del danno differenziale in una tabella esplicativa
Come noto, la questione del danno differenziale spettante al lavoratore infortunato o tecnopatico si pone nelle ipotesi in cui l'evento protetto dall'INAIL sia dipeso da una responsabilità del datore di lavoro o comunque di chi ha il c.d. debito di sicurezza (azione di regresso ex artt. 10 e 11 T.U. n. 1124 del 1965), oppure sia dovuto a responsabilità di terzi estranei al rapporto previdenziale (azione di surroga exart. 1916 c.c. e art. 142 cod. ass.). In entrambi i casi, considerato che il lavoratore ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno subito e l'Istituto ha il diritto di recuperare il costo sostenuto per le prestazioni erogate, si pone il problema della ripartizione tra i due pretendenti del quantum dovuto dal responsabile civile; a questo proposito sono stati elaborati diversi criteri dalla dottrina e dalla giurisprudenza ed è forse utile avvalersi di uno schema dove, partendo da un'ipotesi che - pur utilizzando valori assoluti - risulta del tutto assimilabile a fattispecie che concretamente e normalmente si verificano, vengono descritti i tre criteri principali e le conseguenze della loro applicazione.
Il criterio del differenziale puro e le risalenti decisioni della Corte Costituzionale in materia
Come può evincersi dalla tabella, se si detrae dall'ammontare del risarcimento l'intero indennizzo, utilizzando appunto il criterio del differenziale puro, il responsabile civile paga quanto avrebbe dovuto pagare a prescindere dall'intervento del sistema di protezione sociale, l'INAIL recupera l'intero importo e il lavoratore risulta integralmente soddisfatto in relazione al danno subito.
Ci si domanda allora perché non si debba utilizzare un criterio così semplice e giusto.
A dire il vero, la dottrina e la giurisprudenza sono arrivate ad orientamenti diversi, poco aderenti al criterio di ragionevolezza, sulla scorta delle famose pronunce della Corte costituzionale nn. 319 del 1989, 356 e 485 del 1991; con tali decisioni, come noto, si era appunto stabilito, in estrema sintesi, che l'Istituto assicuratore, nel caso di massimale insufficiente, non può pregiudicare il diritto del lavoratore all'integrale risarcimento del danno e che lo stesso Istituto non può agire in rivalsa per titoli di danno diversi da quelli che costituiscono oggetto della tutela (nel senso che esso non può avvalersi «delle somme che il terzo doveva al danneggiato a titolo di risarcimento del danno biologico che non formi oggetto della copertura assicurativa»). In seguito a queste sentenze della Consulta, al fine di definire i limiti della rivalsa dell'Istituto previdenziale e la quantificazione del danno spettante alla vittima dell'infortunio, si è cominciato a distinguere, tra danno differenziale (o differenziale quantitativo), che va risarcito appunto per differenza al danneggiato, e danno complementare (o differenziale qualitativo), che va risarcito per intero al danneggiato stesso in quanto escluso dalla rivalsa dell'assicuratore (G. Marando).
Tuttavia, dopo l'introduzione della tutela del danno biologico da parte dell'INAIL, secondo una parte della dottrina, di tali decisioni residuerebbe soltanto il principio per il quale il lavoratore avrebbe comunque diritto all'integrale riparazione del danno e tale diritto prevarrebbe sul diritto di rivalsa dell'istituto previdenziale (ciò che si verifica in concreto ed essenzialmente nel caso di incapienza del massimale assicurato) (L. Di Bona). Secondo altra dottrina, invece, le sentenze della Consulta non potrebbero più trovare applicazione, in quanto dovrebbero essere contestualizzate al periodo in cui erano state emesse, quando il danno non patrimoniale risultava frammentato tra il danno biologico, considerato di rilevanza costituzionale e ricondotto all'art. 2043 c.c., e quello morale, ricondotto all'art. 2059 c.c.; poiché la Corte costituzionale intendeva garantire il risarcimento del danno biologico e sottrarlo alla regola dell'esonero del datore di lavoro (legata alla concezione assicurativa della tutela), «una volta superata quella regola e una volta ribadita la unitarietà del danno non patrimoniale, non sussistono ulteriori ragioni per continuare ad operare un confronto tra risarcimento e indennizzo per singole poste di danno, essendo ormai tutte indistintamente assoggettate alle comuni regole della responsabilità civile» (G. Ludovico).
Il criterio del raffronto per poste omogenee
Nonostante ciò, si continua a ritenere legittima la distinzione tra danno complementare e danno differenziale e, quindi, tra pregiudizio oggetto di rivalsa e pregiudizio ad essa estraneo.
Nell'ambito del danno oggetto di rivalsa si opera poi l'ulteriore distinzione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, principalmente in ossequio all'assetto bipolare del danno alla persona desunto dagli artt. 2043 e 2059 c.c., secondo la ricostruzione dommatica operata prima dalle sentenze gemelle nn. 8827 e 8828 del 2003 e poi, a conferma, dalle Sezioni Unite nn. 26972-26975/2008.
Sono allora questi i presupposti su cui si fondano le decisioni della Cassazione che seguono il criterio della scomposizione per voci di danno con la comparazione per poste omogenee di pregiudizi.
In particolare, partendo appunto dalle distinzioni tra danno complementare (estraneo alla tutela previdenziale) e danno differenziale (danno contemplato sia in sede previdenziale sia in sede civilistica) e tra pregiudizi alla persona patrimoniali e non patrimoniali, la Suprema Corte, con le sentenze «Rossetti» (dal nome del relatore che ha inaugurato questo filone giurisprudenziale), ha sostenuto che «quando la vittima di un illecito aquiliano abbia percepito anche l'indennizzo da parte dell'INAIL, per calcolare il danno biologico permanente differenziale è necessario: (a) determinare il grado di invalidità permanente patito dalla vittima e monetizzarlo, secondo i criteri della responsabilità civile, ivi inclusa la personalizzazione o “danno morale” che dir si voglia, attesa la natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale; (b) sottrarre dall'importo sub (a) non il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di rendita che ristora il danno biologico. (…) Per quanto riguarda il risarcimento del danno patrimoniale da riduzione permanente della capacità di guadagno, che l'INAIL (…) indennizza a prescindere da qualsiasi prova della sua sussistenza, sol che l'invalidità causata dall'infortunio superi il 16%, il relativo indennizzo assicurativo potrà essere detratto dal risarcimento aquiliano solo se la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio di questo tipo. Negli altri casi, l'indennizzo resta acquisito alla vittima, ma né potrà essere defalcato dal credito risarcitorio di quest'ultima per altre voci di danno, né potrà dar luogo a surrogazione: se infatti la vittima non ha patito alcuna riduzione della capacità di guadagno, non vanta il relativo credito verso il responsabile, e se quel diritto non esiste, non può nemmeno trasferirsi all'INAIL» (Cass. civ., n. 17407/2016).
In base a tale orientamento, quindi, l'Istituto previdenziale può agire in rivalsa per il danno biologico nei limiti del danno non patrimoniale risarcibile in ambito civilistico e per il danno patrimoniale nei limiti del danno patrimoniale civilistico.
In sostanza, tornando alla tabella, a fronte di un danno di 230, il danneggiato riscuote complessivamente 300, con un'evidente ingiusta locupletazione, e l'INAIL, a fronte di un esborso di 200, ne recupera soltanto 130, con violazione del principio di salvaguardia degli interessi economici dell'ente previdenziale.
I principi in materia di rivalse confermati dalle Sezioni Unite con il conseguente superamento del criterio di raffronto per poste omogenee
A questo proposito, tuttavia, non si può certo sottovalutare il fatto che il fulcro motivazionale e decisionale dei recenti pronunciamenti delle Sezioni Unite sulla compensatio, già ricordati, è costituito dal richiamo al principio di indifferenza, che comporta il divieto di locupletazione per il danneggiato.
In particolare, sembra che la Corte abbia voluto confermare i tre principi in materia di rivalse che, seppure spesso di fatto trascurati, possono essere considerati classici, in quanto da sempre richiamati:
- il principio di responsabilità, che impone al responsabile dell'evento l'obbligo di corrispondere l'integrale risarcimento del danno civilistico, rimborsando l'INAIL e risarcendo la vittima per l'eventuale differenza;
- il principio di garanzia del diritto di rivalsa dell'assicuratore sociale, secondo il quale l'INAIL può recuperare l'intero costo sostenuto per l'infortunio nei limiti del danno civilistico, purché sia salvaguardato il diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti;
- il principio indennitario, in base al quale il lavoratore danneggiato non può ottenere una sovracompensazione rispetto all'interesse leso.
Sulla base di tali assunti, sembrerebbe lecito supporre che la Corte abbia voluto confermare che il diffalco delle prestazioni erogate dall'assicuratore sociale dall'ammontare del risarcimento debba riguardare il loro intero importo, confutando così, implicitamente, quegli orientamenti che seguono il criterio della scomposizione per voci di danno, quantomeno perché tale criterio comporta un'ingiustificata locupletazione a favore del lavoratore e determina, conseguentemente, una consistente limitazione dell'ampiezza della rivalsa dell'INAIL (G. Corsalini - A. De Matteis).
La tesi non è condivisa da una parte della dottrina che, a sostegno della propria posizione, richiama sia il principio di diritto, affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui «l'importo della rendita per l'inabilità permanente (…) va detratto dall'ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato», sia la motivazione, in cui si legge che la surrogazione, mentre consente all'Istituto di recuperare il costo sostenuto per l'evento, impedisce al responsabile civile «di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l'intero importo del risarcimento dovutogli dal terzo e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito» (A. Rossi). Il grassetto è utilizzato dall'autore per evidenziare appunto come l'autorevole arresto si collochi nel medesimo solco dello scomputo per poste omogenee seguito dalla Cassazione negli ultimi anni. In realtà, quando le Sezioni Unite parlano di risarcimento del danno «dovuto, allo stesso titolo» si riferiscono invece, probabilmente, al medesimo titolo dell'indennizzo e, quindi, sembrano far riferimento più plausibilmente allo stesso evento che dà diritto ad entrambi i vantaggi (il dato letterale indica che il titolo è la causa del risarcimento, ossia la causa adquirendi, e non il titolo di danno). Quando poi nella motivazione si parla di «stesso danno», ancora una volta non si fa riferimento alla singola posta di danno (altrimenti ciò sarebbe stato specificato indicando appunto «posta», «voce» o «titolo» di danno), ma più correttamente al danno alla persona quale pregiudizio subito in seguito all'infortunio nel contempo risarcibile e indennizzabile.
Del resto, non si può non tenere in debita considerazione il fatto che la Suprema Corte (sent. n. 12566 del 2018, in linea con la sentenza n. 584 del 2008, sempre delle Sezioni Unite) afferma con chiarezza che «Se l'atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest'ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell'entità del risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell'interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato» (per una lettura delle sentenze delle Sezioni Unite sulla compensatio sostanzialmente conforme all'orientamento di chi scrive cfr. Cass. civ., n. 14363/2019).
Il criterio del differenziale puro e la normativa ante legge di bilancio 2019
Il criterio del differenziale puro, d'altra parte, sembrerebbe conforme anche alla normativa vigente in materia già prima della riforma, infatti, ai sensi dell'art. 142 d.lgs. n. 209 del 2005, la compagnia di assicurazione deve accantonare «una somma idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare», proprio perché l'ente gestore dell'assicurazione sociale ha diritto di recuperare il costo sostenuto per l'infortunio ossia, come si legge nella stessa norma, «ha diritto di ottenere direttamente dall'impresa di assicurazione il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato ai sensi delle leggi e dei regolamenti che disciplinano detta assicurazione»; di conseguenza, come recita l'art. 10, comma 6, T.U., relativo all'azione di regresso, «non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto». Nell'art. 11 del T.U. si legge ancora: «L'istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all'Istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39». Infine, l'art. 1916 c.c. dispone che «l'assicuratore sociale che ha pagato l'indennità è surrogato, fino a concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili».
Va poi sottolineato che il danno alla persona, quale logico corollario del valore della persona stessa, è uno soltanto (P. Perlingieri) e la partizione in plurime voci di danno, come ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione nelle note sentenze di San Martino del 2008, ha valore meramente descrittivo e non sottende alcuna distinzione sul piano ontologico; tale suddivisione «deve al più servire quale mero espediente tecnico attraverso cui pervenire all'esatta quantificazione (id est alla integrale riparazione) del pregiudizio effettivamente subito, il quale resta l'ineludibile parametro-limite, verso il basso come verso l'alto, del risarcimento liquidabile al lavoratore» (L. Di Bona).
D'altra parte, la stessa distinzione tra danni differenziali e danni complementari, come è stato giustamente osservato, risulta incerta (G. Ludovico). Infatti, ad esempio, il danno biologico in franchigia (inferiore al 6%) potrebbe essere considerato danno differenziale in quanto parte di un danno comunque ammesso alla tutela, oppure complementare perché non indennizzato; il danno biologico temporaneo, poi, pur escluso dalla protezione previdenziale, potrebbe essere considerato come componente del danno non patrimoniale differenziale, dal momento che il semplice fattore tempo non sembra possa modificare la natura del pregiudizio; perfino le spese mediche per le quali non sia previsto il rimborso da parte dell'ente previdenziale, che vengono normalmente ritenute danno complementare, avendo gli stessi caratteri di quelle oggetto di rimborso da parte dell'INAIL, potrebbero meglio configurarsi come danno differenziale.
Anche la differenza tra danno patrimoniale e non patrimoniale in ambito previdenziale appare discutibile. Basti pensare al fatto che l'indennizzo delle «conseguenze patrimoniali» di cui all'art. 13, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 38 del 2000 non ha necessariamente natura patrimoniale (come solitamente si suppone), in quanto, essendo erogato a prescindere dalla sussistenza di un'effettiva perdita della capacità lavorativa specifica dell'assicurato (quando, per esempio, viene riconosciuta una rendita al pensionato o al soggetto che continua a svolgere la precedente attività senza alcuna decurtazione del reddito), essa potrebbe anche configurarsi come un ristoro del danno alla capacità lavorativa generica o cenestesi lavorativa e, quindi, assumere così, come afferma la giurisprudenza (Cass. civ., n. 18161 del 2014; Cass. civ., n. 12211 del 2015), carattere non patrimoniale.
Sempre a proposito di questa difficoltà di effettuare distinzioni nette e qualificazioni certe delle poste di danno, va ancora ricordato che, magari a causa di un evento successivo, danni in franchigia potrebbero essere in seguito indennizzati e pregiudizi liquidati con indennizzo in capitale del solo danno biologico potrebbero poi comportare la costituzione di una rendita e quindi il pagamento anche del danno patrimoniale (L. La Peccerella).
La questione fondamentale, che deve essere allora sottolineata, è quella della diversità ontologica tra indennizzo e risarcimento. Se il risarcimento del danno alla persona è volto - come si afferma comunemente - all'integrale ristoro del pregiudizio subito dalla vittima (v. Cass. civ., Sez. Un., n. 16601 del 2017), la tutela previdenziale, come si legge nell'art. 38 Cost., è invece finalizzata ad assicurare ai lavoratori infortunati o tecnopatici «i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita».
Di conseguenza, come noto, l'INAIL indennizza il danno alla persona sulla base di una normativa specifica e di apposite tabelle, mentre il responsabile civile risarcisce lo stesso pregiudizio utilizzando dei parametri previsti dalla legge o, comunque, attenendosi a tabelle e prassi di liquidazione in uso nei tribunali (le tabelle del danno biologico di lieve entità di cui all'art. 139 cod. ass. e le tabelle del Tribunale di Milano).
L'indennizzo e il risarcimento del danno da infortunio sono quindi costituiti da poste tra loro non comparabili e questo costituisce un ostacolo insormontabile all'applicabilità del raffronto per poste di danno, congiunte o omogenee che siano.
Entrambe le prestazioni, tuttavia, pur non essendo confrontabili tra loro, perché appunto derivanti da normative diverse ed aventi finalità e strutture non sovrapponibili (Cass. civ., n. 27644 del 2013; Cass. civ., n. 777 del 2015), producono vantaggi patrimoniali al beneficiario e, comunque, realizzano lo stesso effetto, ossia un arricchimento che compensa l'impoverimento derivante dall'evento pregiudizievole, e ciò consente sempre la possibilità di raffrontare gli importi complessivi erogati o da erogare in relazione ai due diversi titoli (cfr. Cass. civ., n. 6269 del 2019).
In fondo, la comparabilità per poste costituisce un ritorno alla vecchia teoria della diversità di titoli ed il suo superamento comporta un trasferimento del focus dalla diversità dei titoli alla diversità dei beni protetti, come dicono le Sezioni Unite: il danno non patrimoniale, nel momento in cui viene monetizzato, entra nel patrimonio dell'interessato e si confonde con ogni altro compenso volto a ristorare il danno alla persona che è appunto unitario (questo comporta la non compensabilità, ad esempio, del danno auto).
Sembra quindi conforme alla normativa vigente prima dell'ultima legge di bilancio (specie agli artt. 142 cod. ass., e 1916 c.c., per l'azione di surroga e all'art. 10, comma 7, T.U., per il regresso) e in linea con i recenti approdi delle più Alte giurisdizioni l'indirizzo, suggerito dalla dottrina dominante e seguito in alcuni casi anche dalla giurisprudenza (cfr. Cass. civ., n. 14363/2019; Cass. civ., n. 12908 del 2017; Cass. civ., n. 17889 del 2016), secondo il quale il calcolo del danno differenziale deve seguire un criterio meramente quantitativo, detraendo cioè il valore completo dell'indennizzo dal complessivo ammontare del risarcimento e prescindendo totalmente da una comparazione qualitativa fra le singole voci di danno richiamate nei due diversi ambiti (L. Di Bona, G. Ludovico); l'eventuale quota eccedente spetterà al lavoratore, mentre l'INAIL avrà diritto di agire in rivalsa fino a concorrenza dell'importo delle prestazioni erogate.
La legge di bilancio e il vantaggio per l'infortunato con l'opzione del criterio per poste congiunte
Con la modifica di cui all'art. 1, comma 1126, dell'ultima legge di bilancio, invece, sembra ormai abbastanza chiaro che il legislatore abbia optato per il criterio di ripartizione per poste congiunte (v. Cass. civ., n. 11114/2019); infatti, come si evince dalla lettura del comma 6 dell'art. 10 T.U., così come modificato, vengono esclusi dal diritto di rivalsa dell'INAIL i danni complementari, ossia quei pregiudizi che non sono oggetto di indennizzo; per quanto riguarda poi l'azione di surroga, al secondo comma dell'art. 142 cod. ass. è stato aggiunto «a qualsiasi titolo», espressione quasi pleonastica (che non aggiunge nulla all'obbligo già esistente di accantonare «una somma a valere sul complessivo risarcimento dovuto idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare»), certamente volta a superare il criterio del confronto per poste omogenee, ma non è stato toccato l'ultimo comma («In ogni caso l'ente gestore dell'assicurazione sociale non può esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti»), proprio per salvaguardare il diritto dell'infortunato all'integrale risarcimento dei danni complementari.
La riforma, allora, a differenza di quanto sostenuto da una parte della dottrina, non sembra aver comportato una diminuzione del risarcimento spettante al lavoratore ma, paradossalmente, un aumento dello stesso; o meglio, se si prende come riferimento l'indirizzo giurisprudenziale che si andava consolidando in materia, di certo la posizione del lavoratore ne risulta parzialmente pregiudicata, ma se si considera l'orientamento delle Sezioni Unite in tema di compensatio e se si tiene conto del fatto che tale orientamento, per quanto si è tentato di chiarire, potrebbe facilmente comportare il passaggio al criterio del differenziale puro, il metodo del raffronto per poste congiunte, autorevolmente e diffusamente sostenuto anche dalla dottrina (S. Giubboni, L. La Peccerella, R. Riverso), appare senz'altro più vantaggioso per l'infortunato.
Infatti, se si torna all'esempio di cui allo schema, seguendo le indicazioni della recente legge di bilancio, poiché 20 corrisponde al danno non patrimoniale temporaneo e 50 al danno morale, pregiudizi estranei alla tutela indennitaria e quindi complementari, l'importo di 70 spetta per intero all'assicurato, per cui l'Istituto si vede decurtare questa somma rispetto all'importo complessivo del danno civilistico e recupera conseguentemente 160 (non così pochi come i 130 che gli concederebbe l'indirizzo «Rossetti», ma certamente meno dei 200 che otterrebbe seguendo il criterio del differenziale puro); l'assicurato, da parte sua, a fronte di un danno civilistico di 230, ne ottiene 270, con una indiscutibile locupletazione.
In altre parole, tenuto conto di quanto sopra, si può affermare che la riforma non sembra pregiudicare il lavoratore infortunato o tecnopatico, il quale, oltre a ricevere le prestazioni INAIL, che non sono solo di natura economica (ma sono pure prestazioni rivolte alla cura, alla riabilitazione e al reinserimento nel mondo del lavoro dell'assicurato), continua ad avere diritto al ristoro del danno differenziale, dato dalla differenza tra danno civilistico relativo alle poste oggetto di indennizzo (tra le quali dovrebbe rientrare anche la personalizzazione del danno biologico, come afferma la Suprema Corte sent. n. 9112/2019) e indennizzo stesso, e del danno complementare, ossia di quei pregiudizi che non sono oggetto della protezione previdenziale, come il danno morale, il danno esistenziale, il danno biologico temporaneo, il biologico in franchigia (sotto al 6%), il patrimoniale in franchigia (sotto al 16%), il danno tanatologico, il danno da perdita parentale (come sembrano confermare le due sentenze più recenti della Corte di Cassazione, nn. 9112 e 8580 del 2019).
Critiche alla riforma collegate allo scopo dichiarato della stessa (riferimento inopportuno della norma alla riduzione della tariffa dei premi)
Nonostante ciò, la riforma è stata aspramente criticata da gran parte dei primi commentatori.
A parte la posizione fortemente critica del consigliere Marco Rossetti, che della riforma non salva nulla, neppure la possibilità di una lettura costituzionalmente orientata, l'ostilità all'intervento normativo, anche da parte di chi aveva sostenuto la correttezza del criterio per poste congiunte e che comunque suggerisce un'interpretazione dello stesso compatibile con la Costituzione (R. Riverso, S. Giubboni, M. Bona), deriva forse soprattutto dall'improvvida dichiarazione del legislatore, che ha voluto espressamente associare la riforma alla revisione delle tariffe; il provvedimento, tenuto anche conto della riduzione delle risorse destinate a progetti di formazione dei lavoratori in materia di sicurezza e salute, è stato infatti interpretato come tendente a favorire i datori di lavoro in danno dei lavoratori, tanto di considerarlo come ipotesi di «solidarietà invertita» (G. Ludovico, R. Riverso).
In realtà, se, da un lato, va forse ricordato che con la diminuzione delle risorse destinate a progetti di formazione dei lavoratori si è soltanto riportato il finanziamento in linea con quanto erogato per la stessa finalità nell'ultimo quinquennio, senza alcuna decurtazione effettiva dello stesso, dall'altro lato e soprattutto, va evidenziato che la riduzione delle tariffe non è un provvedimento in alcun modo ricollegabile alla modifica delle norme sulle azioni di rivalsa; si è trattato infatti e sostanzialmente dell'approvazione del nuovo impianto tariffario predisposto dall'INAIL, voluto e deciso già dalla legge di bilancio del 2014, a cui si è giunti dopo gli indispensabili e complessi studi di carattere statistico-attuariale e le analisi degli attuali processi lavorativi (tenuto conto dei cambiamenti economici, delle nuove modalità organizzative del lavoro e dello sviluppo tecnologico).
Di fatto, la riduzione delle tariffe, per un importo pari a un miliardo e duecentomila euro annui (con l'applicazione di un taglio lineare dei contributi), vi era già stata dal 2014 e il beneficio è oggi assorbito dall'abbattimento degli oneri di cui alla nuova tariffa.
Tale abbattimento è stato possibile non in considerazione delle maggiori entrate, relativamente modeste, che potranno derivare dalle rivalse ma soltanto in ragione della diminuzione della curva infortunistica, che nel triennio 1995-1997, periodo preso come base per la precedente tariffa, risultava di circa il 40% superiore rispetto a quella del triennio 2013-2015, preso ora come riferimento per la nuova.
Va forse anche evidenziato che, con riflessi significativi sull'efficacia monitoria dell'azione di regresso e quindi con ricadute positive di carattere prevenzionale, nell'attuale tariffa è stato previsto che gli eventi lesivi per i quali sia stata accertata la responsabilità del datore di lavoro, a differenza di quanto accadeva con la precedente tariffa, concorrono nella determinazione dell'oscillazione a prescindere dagli oneri effettivamente recuperati dall'INAIL.
Miglioramento delle tutele a favore dei lavoratori
Sarebbe stato perciò senz'altro preferibile che la riforma delle rivalse venisse invece motivata in relazione, appunto, alla posizione assunta dalle Sezioni Unite in tema di compensatio lucri cum damno.
Per quanto si è sopra tentato di dire, infatti, i nuovi criteri suggeriti dal legislatore appaiono meglio giustificati dalla volontà di evitare un'ingiusta locupletazione a vantaggio del singolo lavoratore per consentire un innalzamento delle prestazioni per tutti.
Del resto, infatti, correlato alla revisione delle tariffe vi è stato anche un miglioramento del livello delle tutele erogate in favore di infortunati e affetti da malattia professionale, quantificabili economicamente in circa centodieci milioni di euro annui nel decennio.
In particolare, le nuove disposizioni normative (lett. i), comma 1126 legge bilancio) innalzano l'importo dell'assegno funerario a diecimila euro (somma soggetta a rivalutazione), a partire dal 1 gennaio 2019.
È stata inoltre disposta una serie di modifiche alla legge n. 493 del 1999, riguardante la tutela assicurativa degli infortuni domestici, riconoscendo ai lavoratori una tutela più pregnante. Più precisamente, è stata elevata da 65 a 67 anni l'età delle persone protette; è stato ridotto dal 27% al 16% il grado di inabilità permanente al lavoro derivante da infortuni in ambito domestico, necessario ai fini della tutela assicurativa; è stata introdotta una prestazione una tantum pari a trecento euro in caso di inabilità permanente compresa tra il 6% e il 15%; infine, è stata estesa anche agli infortunio occorsi in ambito domestico l'erogazione dell'assegno per assistenza personale continuativa, prestazione di cui all'art. 76 del T.U. sicuramente molto rilevante (v. comma 534 legge di bilancio).
Sono poi state approvate (delibera Presidente INAIL n. 2 del 2019) le Nuove tabelle di indennizzo in capitale del danno biologico. Dal gennaio 2019, le prestazioni sono erogate sulla base di un'unica tabella, nella quale non c'è più distinzione in base al sesso, che oltre a recepire le due rivalutazioni straordinarie intervenute rispettivamente nel 2008 e nel 2014, prevede importi dei nuovi indennizzi adeguati alla speranza di vita, insita nei nuovi coefficienti di capitalizzazione, mediamente più alti di circa il 40% rispetto alle precedenti.
Ancora, la legge bilancio 2019 ha rivisto l'istituto della «vivenza a carico» (lett. i), comma 1126), introducendo una soglia di reddito quale limite per poter beneficiare della prestazione della rendita nel caso di soli genitori e/o fratelli superstiti, a seguito di eventi mortali. Si supera, in tal modo, il requisito prima previsto della mancanza di mezzi di sussistenza autonomi e sufficienti, sostituendolo con un parametro reddituale costruito sul reddito netto medio delle famiglie italiane, periodicamente aggiornato dall'ISTAT.
Infine, anche la norma di cui al terzo comma dell'art. 11 del T.U., introdotta dalla riforma, che lascia al giudice un potere probabilmente eccessivo, può essere considerata (o interpretata) non tanto (o, almeno, non solo) un beneficio per il datore di lavoro, come pure sostenuto da alcuni (S. Giubboni – A. Ciriello), quanto una previsione volta al miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro, essenzialmente diretta a premiare comportamenti virtuosi.
In conclusione
In definitiva, la scelta del criterio per poste congiunte da parte del legislatore non comporta, come si è tentato di chiarire, una riduzione del risarcimento spettante al lavoratore ma, al contrario, garantisce allo stesso un maggiore ristoro rispetto al criterio del danno differenziale suggerito – ad avviso di chi scrive - dalle Sezioni Unite.
In ogni caso, evitando locupletazioni ingiustificate ed eccessive a vantaggio del singolo lavoratore, favorite dal metodo di raffronto per poste omogenee, la riforma consente all'INAIL una relativamente più ampia capacità di recupero e, quindi, a vantaggio di tutti, permette di destinare più risorse all'innalzamento del livello e della qualità delle prestazioni.
Guida all'approfondimento
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Sommario
La legge di bilancio e il vantaggio per l'infortunato con l'opzione del criterio per poste congiunte
Critiche alla riforma collegate allo scopo dichiarato della stessa (riferimento inopportuno della norma alla riduzione della tariffa dei premi)