L'impugnazione delle sentenze parziali e definitive

Paolo Fraulini
03 Giugno 2019

Il presupposto per la proposizione di un'impugnazione avverso una sentenza è la condizione di soccombenza – totale o parziale – rispetto alla pronuncia. La dinamica processuale può tuttavia comportare che il pronunciamento del giudice venga diluito nel tempo, attraverso la pronuncia parziale seguita da quella definitiva.
Il quadro normativo

Il presupposto per la proposizione di un'impugnazione avverso una sentenza è la condizione di soccombenza – totale o parziale – rispetto alla pronuncia (Cass. civ.,sent., 27 ottobre 2004, n. 20813). La dinamica processuale può tuttavia comportare che il pronunciamento del giudice venga diluito nel tempo, attraverso la pronuncia parziale seguita da quella definitiva. In tale fattispecie si prospetta una variegata casistica sulle condizioni e modalità di proposizione dell'impugnazione avverso le due diverse tipologie di sentenza.

Natura del provvedimento

Va sul punto ricordato che è principio generale in materia quello per cui l'impugnabilità dei provvedimenti giurisdizionali sussiste solo quando essi abbiano contenuto decisorio e non meramente ordinatorio, potendo questi ultimi essere sempre modificati o revocati.

Ne consegue che non sono impugnabili i provvedimenti di riunione o separazione di cause connesse, quand'anche pronunciati con sentenza (Cass. civ.,ord., 27 marzo 2019, n. 8446); né quelli resi per l'ulteriore prosecuzione del giudizio dopo l'emissione di sentenza parziale, non avendo alcuna attitudine al giudicato (Cass. civ.,sent., 22 dicembre 2014, n. 27229; Cass. civ.,sent. 3 gennaio 1996, n. 19), ivi compresi quelli per l'istruzione della causa, quand'anche contenuti nella sentenza (Cass. civ.,sent., 15 dicembre 1987, n. 9286).

Da ricordare che le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva non possono essere modificate o revocate con la sentenza definitiva, in quanto i singoli punti della prima possono essere sottoposti a riesame solo con l'impugnazione, mentre la non definitività concerne soltanto la non integralità della decisione della controversia, e non anche la modificabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che è già stato deciso (Cass. civ.,sent., 16 giugno 2014, n. 13621; Cass. civ.,ord., 3 maggio 2012 n. 6689; Cass. civ.,sent., 31 agosto 2009, n. 18898; Cass. civ.,sent., 8 giugno 2007, n. 13513). Analoga limitazione subisce anche il giudice di appello investito dell'impugnazione immediata, la cui cognizione è limitata a quanto devoluto e non può estendersi a questioni non decise con la sentenza parziale (Cass. civ.,sent., 18 gennaio 1992 n. 595). Ciò comporta anche che, se da un lato non è possibile per il giudice della sentenza definitiva modificare quanto deciso dalla sentenza parziale, la parte espressamente o implicitamente soccombente per effetto della sentenza parziale ha l'onere di proporre impugnazione (immediata o differita) rispetto ad essa, non potendo in alcun modo confidare nella sua modifica ad opera della sentenza definitiva (Cass. civ.,sent., 11 maggio 2006, n. 10889; Cass. civ.,sent., 22 agosto 2003, n. 12346; Cass. civ.,sent., 2 agosto 2000, n. 10101).

Peraltro, va detto che l'impugnazione immediata di una sentenza non definitiva resta procedibile, anche se non sia stata impugnata la successiva sentenza definitiva, fondata su presupposti che formano oggetto delle censure mosse alla decisione non definitiva, poiché in tal caso il passaggio in giudicato della sentenza definitiva rimane condizionata all'esito sfavorevole dell'impugnazione contro la sentenza parziale (Cass. civ., sent., 21 settembre 1979, n. 4874).

Da rammentare che, in ipotesi di cumulo di domande tra gli stessi soggetti, è da considerarsi non definitiva la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) di dette domande con prosecuzione del procedimento per le altre (Cass. civ., Sez. Un.,sent., 8 ottobre 1999, n. 711), senza che rilevi l'omessa separazione dei giudizi (Cass. civ.,sent., 19 agosto 1998, n. 8207; Cass. civ., sent., 9 settembre 1991, n. 9479). Peraltro, al giudice non è consentito, al di fuori dell'ipotesi prevista dagli artt. 279, n. 4, e 278 c.p.c., frazionare il procedimento decisorio in più pronunce; ove ciò accada, ogni sentenza emessa va qualificata come definitiva, a prescindere dal nomen iuris che il giudice le abbia attribuito, con conseguente onere di impugnazione immediata di ciascuna di essa a opera del soccombente (Cass. civ., sent., 4 giugno 1981, n. 3605).

Nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello proseguito, l'unica possibilità di sospensione di quest'ultimo giudizio è quella su richiesta concorde delle parti, ai sensi dell'art. 279, comma 4, c.p.c., che trova applicazione anche nel caso di sentenza parziale sul solo "an debeatur", restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c., sia la sospensione ai sensi del secondo comma dell'art. 337 c.p.c., poiché il giudizio è unico e pertanto la sentenza resa in via definitiva è sempre soggetta alle conseguenze di una decisione incompatibile sulla statuizione oggetto della sentenza parziale (Cass. civ.,ord., 24 marzo 2015, n. 5894; Cass. civ.,ord., 22 gennaio 2019, n. 1581 – in tema di rapporto tra parziale sulla giurisdizione e merito).

Riserva di appello

In ipotesi di pluralità di parti in causa scindibile, la riserva di appello formulata da una parte non giova alle altre che non abbiano formulato analoga richiesta, sicché queste ultime possono proporre impugnazione immediata della sentenza parziale (Cass. civ.,sent., 29 dicembre 2017,n. 31153; Cass. civ.,sent., 31 luglio 2008, n. 20892).

La questione della validità della proposizione della riserva di impugnazione rileva solo ai fini della verifica della ritualità dell'impugnazione differita, mentre non può mai pregiudicare la proponibilità dell'impugnazione immediata della medesima sentenza (Cass. civ., ord., 19 settembre 2004, n. 19836).

Peraltro, l'onere di proporre impugnazione differita avverso la sentenza parziale per cui sia stata avanzata la riserva permane anche qualora la sentenza definitiva sia stata impugnata dalla controparte (Cass. civ., sent., 19 marzo 1981, n. 1619).

Si rammenti che il giudice superiore, qualora riformi la sentenza non definitiva, deva decidere nel merito la controversia, non essendo questo un caso di rimessione al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c.

Fattispecie

La sentenza che rigetti un'eccezione di prescrizione e disponga il prosieguo del giudizio non è qualificabile come “non definitiva”, giacché non definisce neppure parzialmente la controversia, sicché non può essere oggetto di impugnazione, né immediata, né differita (Cass. civ.,ord., 4 febbraio 2016, n. 2263; Cass. civ.,sent., 4 agosto 2010, n. 18104).

Non può essere emessa una sentenza parziale di riforma della condanna risarcitoria di primo grado, disponendosi la restituzione di quanto eventualmente corrisposto per la sua esecuzione e il rinvio alla pronuncia definitiva per la sua concreta determinazione (Cass. civ., 11 novembre 2015, n. 22978).

La sentenza che decide sulla querela di falso non è una sentenza parziale, ma è definitiva, sebbene emessa all'esito di un procedimento proponibile anche in via incidentale, sicché essa è soggetta al regime di impugnazione delle sentenze definitive (Cass. civ.,sent., 28 maggio 2007, n. 12399).

Nel rito tributario le sentenze non definitive sono vietate, poiché la struttura del processo tributario ed il sistema della riscossione frazionata dei tributi sono stati ritenuti incompatibili con gli effetti sostanziali e processuali dell'impugnazione differita (Cass. civ.,ord., 5 dicembre 2018, n. 31439; Cass. civ.,sent., 30 marzo 2007, n. 7909).

Nel rito del lavoro, invece, l'emissione di sentenze non definitive è del tutto legittima (Cass. civ.,sent., 10 giugno 2003, n. 9265; Cass. civ.,sent., 29 maggio 2008, n. 14357).

Nel procedimento davanti al giudice di pace, ove sia stata emessa una sentenza non definitiva secondo diritto, la sentenza definitiva non può essere emessa secondo equità (Cass. civ.,sent., 28 gennaio 2013, n. 1848).

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