La portata della clausola di salvaguardia nell'azione di responsabilità contro lo Stato-giudice
04 Giugno 2019
Massima
In tema di azione contro lo Stato per il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, sono tre le categorie di ipotesi in cui l'errore del giudice può essere assoggettato a responsabilità civile perché sottratto alla clausola di salvaguardia, in quanto non rientranti nell'attività interpretativa: a) l'errore sulla individuazione della disposizione, ovvero sulla individuazione del significante; b) l'errore sulla applicazione della disposizione; c) l'errore sul significato della disposizione, ovvero l'attribuzione alla disposizione di un significante non compatibile con il significato, un non significato. Né peraltro, in un sistema nel quale il precedente giudiziario è vincolante solo per la sua persuasività, integra grave violazione di legge un'interpretazione che si discosti dalla giurisprudenza, anche consolidata, della Corte di cassazione. Il caso
In un giudizio avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni derivanti dall'irreversibile trasformazione di un fondo a seguito dell'occupazione dello stesso da parte dell'Amministrazione senza che seguisse un regolare iter espropriativo, il tribunale riconosceva agli attori il danno quantificato in forza dei parametri propri della occupazione cd. usurpativa. La Corte d'appello riformava tale decisione sull'assunto che, a fronte di una domanda di risarcimento dei danni per occupazione cd. appropriativa, il giudice di primo grado aveva violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed andava, quindi, a rideterminare il dovuto nel minor importo, rispetto al valore venale del bene, previsto dalla legislazione all'epoca vigente per tale tipo di occupazione. La Corte di cassazione, previo accogliendo del ricorso proposto dai danneggiati nella parte in cui assumevano la qualificazione della fattispecie in termini di occupazione usurpativa, decidendo nel merito, quantificava il danno in misura del valore venale del cespite, come determinato dal CTU nel giudizio di primo grado nel 1991, riconoscendo gli interessi legali a decorrere dalla domanda. Il danneggiato proponeva ricorso per revocazione per errore di fatto contro tale pronuncia della Suprema Corte in quanto, sebbene avesse correttamente qualificato la condotta posta in essere dall'Amministrazione quale occupazione usurpativa, non aveva riconosciuto la rivalutazione monetaria e gli interessi dalla data dell'illecito. Il ricorso per revocazione era dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione, in quanto ritenuto vertente su errore di diritto e non di fatto. Il danneggiato, esauriti i rimedi giurisdizionali esperibili, proponeva azione risarcitoria ex lege n. 117/1988 deducendo la responsabilità dello Stato per colpa grave imputabile ai magistrati giudicanti, deducendo che essi fossero incorsi in grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile. Il ricorso era dichiarato inammissibile dal Tribunale in sede di vaglio camerale preliminare ed il provvedimento era confermato all'esito del reclamo dalla Corte d'appello, per la quale l'inammissibilità derivava dalla natura interpretativa dell'attività contestata all'organo giudicante, rientrante nell'ambito della cd. clausola di salvaguardia di cui all'art. 2, comma 2, della l. n. 117/1988 (nella formulazione originaria, anteriore alle modifiche di cui alla l. n. 18/2015, applicabile ratione temporis). Avverso tale decreto era proposto ricorso per cassazione assegnato alla Sezione Terza Civile, la quale, peraltro, con ordinanza interlocutoria n. 12215/2018 rimetteva il fascicolo al Primo Presidente ai fini dell'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ritenendo sussistente una questione di massima di particolare importanza, circa l'individuazione del discrimine tra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile ed attività interpretativa insindacabile, sulla base dell'art. 2, comma 3, lett. a) della l. n. 117/1988, con specifico riferimento alla ipotesi della violazione di norma di diritto in relazione al significato ad essa attribuito da orientamenti giurisprudenziali da ritenere consolidati (rispetto, in particolare, alla necessità di liquidare in sede di risarcimento del danno per fatto illecito gli interessi e la rivalutazione monetaria, dalla data del fatto). Il fascicolo era quindi assegnato alle Sezioni Unite della Corte di cassazione. La questione
Le questioni poste all'attenzione delle Sezioni Unite e risolte dalla pronuncia in esame riguardano la portata della cd. clausola di salvaguardia posta quale limite “invalicabile”, già in sede di valutazione preliminare dell'azione in camera di consiglio, all'azione di responsabilità nei confronti dello Stato-giudice dall'art. 2, comma 2, della l. n. 117/1988, nella formulazione originaria anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n. 18/2015. In particolare le stesse riguardano i seguenti profili: a) l'individuazione del discrimine, in tale assetto normativo, tra attività interpretativa insindacabile del giudice e grave violazione di legge, determinata da negligenza inescusabile; b) se possa ritenersi che integri il parametro della grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, la mancata “adesione”, da parte della decisione, ad un orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato. Le soluzioni giuridiche
Le Sezioni Unite ripercorrono, mediante ampia motivazione, le ragioni che hanno indotto il legislatore ad escludere la possibile responsabilità del giudice per attività di interpretazione delle disposizioni normative e valutazione delle prove. In particolare, le Sezioni Unite evidenziano che gli orientamenti tendenzialmente restrittivi, nella vigenza della l. n. 117/1988 della giurisprudenza di legittimità, nell'individuare i gravi errori del giudice non esentati da responsabilità dello Stato in quanto rientranti nell'ambito della clausola di salvaguardia, si giustificano, per un verso, nell'esigenza di non comprimere l'attività interpretativa del giudice, anche in vista della importante funzione dinamico-evolutiva della giurisprudenza, e, per un altro, in quella della potenziale incidenza di un più ampio sindacato su decisioni passate in giudicato. Le Sezioni Unite ritengono pertanto di dover ricondursi all'orientamento già suffragato dalla precedente giurisprudenza di legittimità nel senso che la responsabilità civile dei magistrati, è incentrata sulla colpa grave, tipizzata secondo ipotesi specifiche delineate dall'art. 2 della l. n. 117/1988 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 18/2015) tutte accomunate dalla ricorrenza di una negligenza inescusabile, cioè a dire "non spiegabile", tale da determinare una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma applicata, ovvero una lettura di essa in contrasto con ogni criterio logico, oppure l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, o, ancora, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o, infine, lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero (v., in particolare, Cass. civ., 7 aprile 2016, n. 6791, richiamata anche in motivazione, in una fattispecie nella quale la Suprema Corte ha annullato la declaratoria di inammissibilità dell'iniziativa volta a far valere la responsabilità di un magistrato, il quale – con un'interpretazione che destituiva di ogni funzionalità l'istituto di cui all'art. 2943 c.c. in relazione alla fattispecie di cui all'art. 1669, comma 2, c.c. – aveva escluso la possibilità per il committente di interrompere, con successive contestazioni, il decorso del termine annuale di prescrizione, argomentando che, in tal modo, il termine non sarebbe mai venuto a maturare). Come evidenzia la pronuncia che si annota l'adesione a tale ricostruzione “tradizionale” del sistema ante riforma del 2015 non implica che manchino, in concreto, gravi errori del giudice idonei a determinare una responsabilità dello Stato ex lege n. 117/1988. In particolare si tratta di errori che non possono considerarsi derivati da scelte interpretative e quindi “coperti” dalla clausola di salvaguardia che si sostanziano nelle seguenti ipotesi: a) errore sulla individuazione della disposizione, ovvero sulla individuazione del significante; b) errore sulla applicazione della disposizione; c) errore sul significato della disposizione, ossia attribuzione alla disposizione di un significante non compatibile neppure sul piano semantico con la stessa. Risolta nel senso indicato la prima questione prospettata dall'ordinanza interlocutoria, le Sezioni Unite vanno ad esaminare la seconda, ossia se la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile possa sostanziarsi nell'essersi la decisione discostata da un indirizzo giurisprudenziale consolidato nell'interpretazione di una disposizione normativa. A tale interrogativo prospettato dall'ordinanza di rimessione, la decisione in commento fornisce una risposta negativa in quanto nel nostro sistema processuale il giudice è assoggettato al solo rispetto della legge ai sensi dell'art. 101 Cost. e, pertanto, non esiste alcun vincolo, come invece nelle esperienze giuridiche di common law, del precedente giudiziale, anche consolidato, se non derivante dalla sua persuasività. Osservazioni
La decisione delle Sezioni Unite merita adesione sotto entrambi i profili sui quali la stessa è stata chiamata a pronunciarsi. Quanto alla prima questione, in vero, la decisione, non discostandosi dagli orientamenti tradizionali, tiene conto della condivisibile riflessione, operata dalla dottrina più autorevole, la clausola cd. di salvaguardia si giustifica in ragione della peculiarità dell'attività interpretativa demandata al magistrato, attività che, almeno all'interno di qualsivoglia significato semanticamente attribuibile ad una disposizione giuridica, è innegabilmente creativa, come dimostrato, nella storia, fallimento di ogni tentativo di ridurre l'attività interpretativa del giudice a quella di mera boiche de la loi (cfr. Picardi, 283 ss.). La pronuncia delle Sezioni Unite è apprezzabile anche nella parte in cui esclude che la “legge” rilevante ai fini della grave violazione derivante da negligenza inescusabile che determina la colpa grave del giudice possa identificarsi con il precedente giudiziario, sebbene consolidato e promanante dalla Corte di cassazione nell'esercizio della funzione nomofilattica. A nostro sommesso parere, sebbene la soluzione contraria avrebbe potuto avere, nel medio periodo, effetti deflattivi rendendo sostanzialmente vincolanti gli orientamenti più volte affermati dalla Suprema Corte, la stessa si sarebbe scontrata non solo con un assetto costituzionale che assoggetta il giudice al solo rispetto della legge ma anche – questione forse ancor più rilevante – con l'esigenza che la giurisprudenza, specie di merito, possa continuare a sostenere tesi innovative, che sovente si sono rivelate idonee a far evolvere la sessa giurisprudenza di legittimità in ragione dei mutamenti del contesto sociale.
* Fonte: ilprocessocivile.it |