La quantificazione del danno per l’attività professionale dell’avvocato
02 Luglio 2019
IL CASO. A seguito di un incidente stradale avvenuto nel 2005, la compagnia assicuratrice, riconosciuta la totale responsabilità della danneggiante, risarciva il danneggiato, avvocato, per l'importo di euro 337.500. Quest'ultimo, insoddisfatto del risarcimento, dopo aver promosso una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, conveniva in giudizio l'assicurazione e la proprietaria del veicolo di controparte per ottenere il risarcimento del danno stimato in euro 2.692.835. Il Tribunale, con sentenza emessa nel 2013, condannava in solido i convenuti a risarcire i danni patrimoniale e non, per l'ulteriore importo di 411.060. In sede di appello, la Corte, nel 2017, in accoglimento parziale del gravame, condannava le appellate a integrare il risarcimento del danno non patrimoniale di euro 41.028. Avverso tale sentenza l'avvocato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo di aver chiesto quell'importo risarcitorio per il danno patrimoniale, fin dal primo grado, in relazione a quanto egli avrebbe guadagnato nell'esercizio della professione, con una crescita costante del reddito in ragione del 5% annuo, come dimostrato dai modelli unici degli ultimi cinque anni. Secondo il giudice di prime cure, invece, il suo reddito sarebbe rimasto costante, di talché aveva determinato il danno futuro patrimoniale per la vita lavorativa in modo stabile, nello stesso reddito che il danneggiato percepiva prima del sinistro; nello stesso senso, il giudice d'appello aveva confermato la sentenza del Tribunale. Sempre la Corte territoriale avrebbe ignorato la doglianza relativa alla censura concernente l'erronea attualizzazione del danno patrimoniale futuro effettuata avvalendosi del coefficiente di capitalizzazione delle tavole allegate al R.D. 9 ottobre 1922 n. 1403, recante Approvazione delle nuove tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali.
DANNO PERMANENTE DA INCAPACITA'. Il Supremo consesso ha ritenuto il ricorso fondato. La Corte - dopo aver osservato la non condivisibilità della scelta, quale parametro costante per tutta la vita del professionista, di un reddito percepito a breve distanza dall'inizio dell'attività - censura la sentenza di appello laddove nell'aderire alla soluzione adottata dal Tribunale 4 anni prima, non ha tenuto conto dell'evoluzione giurisprudenziale intervenuta medio tempore. Secondo la Sezione, che richiama altri propri precedenti, il danno permanente da incapacità non può più liquidarsi utilizzando gli arretrati coefficienti del 1922 che, per l'aumento della durata media della vita e per la diminuzione dei saggi d'interesse, non risultano idonei a garantire un corretto risarcimento del danno nel rispetto dell'art. 1223 c.c. In altre parole, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro da perdita di capacità lavorativa specifica, devono essere utilizzati come parametri «da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione … aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano». La sentenza impugnata è stata, quindi, cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello.
(Fonte: dirittoegiustizia.it) |