Ricostruzione rapporti di conto corrente: la mancanza di estratti non implica necessariamente l'accertamento negativo del credito

08 Luglio 2019

La questione affrontata dall'ordinanza in commento concerne la possibilità che la prova del credito derivante da rapporti bancari sia desumibile da elementi non offerti dal creditore o, comunque, da argomenti di prova.

Massima

Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta esclusa la validità di talune pattuizioni relative agli interessi posti a carico del correntista, la rideterminazione del saldo di conto deve avvenire attraverso la produzione in giudizio dei relativi estratti, a partire dalla data della sua apertura; non trattandosi, tuttavia, di prova legale esclusiva, all'individuazione del saldo finale possono concorrere anche altre prove documentali, nonché gli argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta del medesimo correntista, con la conseguenza che, in mancanza di un solo estratto conto relativo ad un periodo in cui il correntista aveva ammesso l'assenza di movimentazioni nel rapporto, il credito della banca non può essere azzerato.

Il caso

Il debitore principale e due fideiussori si opponevano al decreto ingiuntivo emesso in favore della banca, a titolo di saldo debitore del rapporto di conto corrente con apertura di credito (acceso nell'anno 1987), stante la nullità delle clausole pattizie che contemplavano l'applicazione di un tasso di interessi “uso piazza” con capitalizzazione trimestrale. In prime cure, il provvedimento monitorio era revocato e gli opponenti erano condannati al pagamento, in solido, verso la banca opposta, della minor somma di euro 110.664,38, risultante dall'applicazione degli interessi legali, capitalizzati su base annuale. In riforma della sentenza di primo grado, nel giudizio di gravame era dichiarato che nulla era dovuto dagli opponenti, poiché la banca non aveva assolto all'onere di dimostrare il credito azionato, difettando la produzione dell'estratto relativo ad un trimestre. Segnatamente, la banca aveva prodotto gli estratti conto dal 1.01.1989 fino alla voltura a sofferenza del rapporto (10.11.1993, con valuta al 26.10.1993), mentre il correntista opponente aveva prodotto i documenti che fotografavano l'andamento del conto dall'inizio del rapporto al 30.03.1988, cosicché mancava l'estratto conto (ed i conti a scalare) relativo al quarto trimestre dell'anno 1988, il che avrebbe reso impossibile l'accertamento del credito azionato. Di conseguenza, essendo imputabile alla banca la mancata conservazione (sia pure oltre il decennio di cui all'art. 2220 c.c.) della documentazione relativa ai crediti non estinti, la Corte d'appello riteneva che dovesse essere respinta la domanda proposta nei confronti del correntista e dei fideiussori.

La questione

La questione affrontata dall'ordinanza in commento concerne la possibilità che la prova del credito derivante da rapporti bancari sia desumibile da elementi non offerti dal creditore o, comunque, da argomenti di prova. Nella specie, la banca obiettava che il giudice d'appello non avrebbe considerato, per un verso, le risultanze della consulenza tecnico-contabile espletata e, per altro verso, la documentazione prodotta dagli opponenti. Sotto il primo profilo, l'esperto contabile aveva rilevato che, pur mancando l'estratto trimestrale relativo al quarto trimestre dell'anno 1988, era possibile desumere che, nel periodo suddetto, vi fosse stata una sola operazione, probabilmente consistente nell'addebito di lire 100.000, riconducibile alla causale “revisione pratica di fido”. Quanto all'estratto conto alla data del 30.12.1987, prodotto dagli opponenti, di pochi giorni successivo all'apertura del rapporto, avvenuta il 24.12.1987, da esso sarebbe emersa un'esposizione debitoria ben definita nonché unicamente due movimentazioni, in addebito, che riportavano quali causali, rispettivamente, “giroconto” e “competenze”; il che, unitamente al rilascio, a fine dicembre dell'anno 1987, del consenso all'iscrizione ipotecaria, documento pure prodotto in giudizio, nonché alla dichiarazione, con valenza confessoria, contenuta nell'atto di citazione in opposizione, in ordine al fatto che dal 31.12.1987 non era stata effettuata alcuna operazione o movimentazione sul conto corrente, oltre alle già citate risultanze peritali, avrebbe confermato la fondatezza dell'assunto della banca circa la sussistenza di un rapporto tra le parti di finanziamento sotto forma di scoperto di conto corrente. Di conseguenza, ad avviso della ricorrente, tale documentazione, non considerata, nella sua valenza complessiva, dalla Corte distrettuale, avrebbe colmato la lacuna istruttoria derivante dal deposito di una documentazione incompleta, che difettava di un estratto conto trimestrale.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Corte di legittimità, pur essendo la completezza degli estratti-conto funzionale alla necessità di ottenere un accertamento fattuale del dovuto, la ricostruzione del rapporto di dare/avere tra correntista e banca non esige la prova legale esclusiva attraverso la produzione di tali estratti, atteso che possono concorrere all'individuazione del saldo finale anche altre evidenze probatorie, non solo documentali, mentre argomenti di prova possono anche essere suggeriti al giudice dalla stessa condotta del correntista. Nella fattispecie, alla carenza di un estratto trimestrale avrebbe rimediato la ricostruzione del rapporto in quello stesso periodo, come desunta dalla espletata consulenza tecnica d'ufficio in materia contabile e come ricavabile dalla stessa posizione processuale assunta dal correntista e dai fideiussori (i quali, nel corpo della citazione introduttiva dell'opposizione, avevano negato che in quel trimestre vi fossero state movimentazioni rilevanti).

Osservazioni

Sul tema, si premette che nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto. Infatti, la stessa banca non può sottrarsi all'assolvimento di tale onere, invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (Cass. civ., sez. I, sent. 25 novembre 2010, n. 23974; Cass. civ., sez. I, sent. 19 settembre 2013, n. 21466; nello stesso senso Cass. civ., sez. I, sent. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. civ., sez. I, sent. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. civ., sez. I, sent. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. civ., sez. VI-I, ord. 25 maggio 2017, n. 13258; Cass. civ., sez. I, sent. 27 settembre 2018, n. 23313).

Con riferimento alla possibilità di ricostruzione del rapporto aliunde (ossia indipendentemente dai dati risultanti dagli estratti conto), un arresto di legittimità ha rilevato, in un caso in cui mancavano i primi estratti conto e non era stata ammessa c.t.u. contabile, che l'assenza dei detti documenti non è astrattamente preclusiva rispetto alla possibilità di un'indagine concernente il periodo successivo, potendo questa attestarsi sulla base del riferimento più sfavorevole per il creditore istante, quale, a titolo esemplificativo, l'ipotesi di un calcolo che preveda l'inesistenza di un saldo debitore alla data dell'estratto conto iniziale: c.d. saldo di partenza uguale a zero (Cass. civ., sez. I, sent. 26 gennaio 2011, n. 1842). Ma, in senso contrario, gli arresti successivi hanno escluso categoricamente che, in mancanza di dimostrazione documentale dell'andamento del rapporto bancario per alcuni periodi, possa riconoscersi un “saldo zero” e procedersi così alla ricostruzione per il periodo successivo (Cass. civ., sez. I, sent. 20 settembre 2013, n. 21597; Cass. civ., sez. I, sent. 13 ottobre 2016, n. 20693, pronuncia quest'ultima, peraltro, relativa a fattispecie nella quale il correntista agiva in ripetizione di indebito nei confronti della banca). In base a questa impostazione, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti, a partire dalla data dell'apertura del conto corrente, così effettuandosi l'integrale ricostruzione del dare e dell'avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili, invece, rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi od approssimativi (sulla stessa linea Cass. civ., sez. I, sent. 16 aprile 2018, n. 9365, in fattispecie relativa, tuttavia, ad un'opposizione allo stato passivo fallimentare promossa da una banca, la quale agiva per ottenere il riconoscimento di un credito in sede fallimentare, nei confronti, quindi, del curatore, terzo rispetto al fallito).

L'ordinanza in commento ammette, invece, che gli estratti conto non costituiscono l'unica prova utile alla ricostruzione del rapporto bancario di durata. Non assumendo tali documenti il rango di prova legale esclusiva, in difetto di una linea continua di estratti, comunque non è escluso che il rapporto possa essere ricostruito tramite altri elementi. In specie, i movimenti effettuati nei periodi non coperti dagli estratti mancanti possono essere desunti da una consulenza contabile (e ciò specie quando, come nel caso di specie, gli estratti carenti si riferiscano a trimestri del tutto isolati), sempre che il consulente incaricato sia in grado di effettuare con rigore scientifico tale ricostruzione postuma. Ovvero elementi utili possono pervenire dalla stessa posizione assunta dai correntisti, anche sub specie di argomenti di prova. In specie, la condotta degli opponenti può essere indicativa dell'assenza di operazioni rilevanti nel periodo in cui difettano gli estratti: così è accaduto nel caso di specie, avendo gli opponenti negato che nel trimestre di riferimento vi fossero state operazioni contabili rilevanti. Questa conclusione ha il pregio di escludere che, a fronte di un credito certo della banca (nell'an), ma non analitico in tutti i suoi passaggi (sviluppandosi il rapporto su un arco temporale più o meno ampio), si pervenga ad un risultato finale del tutto aberrante, con indebito vantaggio dei correntisti: ossia la negazione del credito nella sua interezza. Le stesse contestazioni dei correntisti, con particolare riguardo ai giudizi di opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso su richiesta della banca, si fondano sull'assunto implicito che la banca vanti un credito, di cui si confuta l'ammontare (ossia il mero quantum), in ragione dell'applicazione di voci riconducibili alla previsione di clausole nulle (tassi di interessi non previamente pattuiti o comunque usurari, anatocismo trimestrale, indebite commissioni). Imporre che, per effetto della carenza di sparuti estratti trimestrali, in ordine a periodi piuttosto limitati, e ciò a fronte di rapporti che si sono prolungati anche per decenni, ne debba necessariamente discendere, anche quando la banca vanti saldi creditori di una certa consistenza, l'accertamento negativo della posizione creditoria della banca è un risultato francamente non condivisibile. E ciò qualora le carenze documentali possano comunque essere surrogate da altri elementi probatori. La giurisprudenza in commento esclude che gli estratti conto abbiano natura di prove legali di esclusiva rilevanza, ossia indispensabili per la ricostruzione del rapporto, ammettendo che elementi volti alla ricostruzione del rapporto bancario possano trarsi anche aliunde ed in primis dalle indagini tecniche demandate al consulente tecnico d'ufficio. Sicché, ove, anche all'esito di un accertamento peritale, non sia possibile ricostruire il rapporto, in ragione delle carenze documentali insuperabili cui avrebbe dovuto far fronte la banca, potrà pervenirsi alla negazione del credito, che costituisce nondimeno l'extrema ratio. Ove, al contrario, tale possibilità di ricostruzione vi sia, il credito deve, in ogni caso, essere accertato, facendo ricorso a questi elementi integrativi. Anche l'atteggiamento processuale assunto dalla parte avversa assume un ruolo non trascurabile in tale contesto. Ad ogni modo, la banca non può trincerarsi dietro la limitazione decennale dell'obbligo di conservazione delle scritture contabili ex art. 2220 c.c. e art. 119, comma 4, t.u.b., atteso che le previsioni innanzi citate non determinano un'inversione dell'onere probatorio. È chiaro, in ultimo, che la possibilità di ricorrere ad elementi integrativi diversi dagli estratti deve comunque consentire la rilevazione dell'andamento del rapporto, il che è operazione diversa dalla mera presunzione di un saldo di partenza uguale a zero.

Guida all'approfondimento
  • P. Bontempi, Forma e sostanza nei contratti bancari, in Nuova giur. civ., 2015, 4, 10288;
  • G. Giurdanella, La prova del credito della banca nel fallimento: la Cassazione boccia l'applicazione del “saldo zero”, in Il Fall., 2019, 1, 64;
  • F. Greco, Rapporti bancari ed onere della prova: il punto della Corte di Cassazione, in Resp. civ. e prev., 2016, 4, 1257.

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