I contributi pagati dall'appaltatore fittizio salvano il committente datore di lavoro
10 Luglio 2019
Massima. In tema di interposizione fittizia di manodopera nell'appalto di opere o servizi, si applica il disposto del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 2, dettato in tema di somministrazione irregolare e richiamato dall'art. 29, comma 3-bis, che disciplina l'appalto illecito, secondo cui tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Il suddetto art. 27, cit., va collegato alla disciplina dettata dall'art. 1180, comma 1, c.c., e impone la verifica in concreto dell'avvenuta soddisfazione delle pretese contributive formulate dagli enti previdenziali.
La vicenda: opposizione a cartella esattoriale INPS di pagamento di contributi e sanzioni dovuti in conseguenza di accertata interposizione di manodopera illecita. In conseguenza ad ispezione INPS era emerso che un contratto di appalto stipulato tra la ricorrente ed altra società celava in realtà interposizione fittizia di manodopera, vietata ai sensi dell'art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003.
Il giudice di primo grado respingeva l'opposizione. Analogamente la Corte d'appello rigettava il gravame proposto dall'azienda opponente, che ricorreva così in Cassazione per la riforma della sentenza d'appello.
L'interposizione vietata di manodopera.L'opposizione proposta dall'azienda committente venne respinta dai giudici di merito in quanto dalle risultanze istruttorie era emerso che la società appaltatrice era del tutto priva di organizzazione autonoma; i lavoratori da questa forniti alla committente di fatto prestavano la loro attività lavorativa utilizzando attrezzatura della committente, osservavano il medesimo orario di lavoro dei dipendenti di questa ed erano sottoposti alle direttive dei vertici della medesima committente. Secondo l'azienda ricorrente, stante l'abrogazione della l. 23 ottobre 1960, n. 1369, non può più parlarsi di intermediazione di manodopera ma soltanto di somministrazione irregolare, prevista dall'art. 27, d.lgs. n. 276 del 2003; con la conseguenza che soltanto i singoli lavoratori e non l'Inps potevano farla valere in giudizio. Da qui l'illegittimità della pretesa contributiva.
La Suprema Corte tuttavia osserva che il caso in decisione, non può ricondursi a somministrazione irregolare, prevista dall'art. 20 del citato d.lgs. n. 276 del 2003, poiché tale fattispecie è applicabile soltanto nei confronti di soggetti autorizzati, ai sensi del medesimo decreto. Nel caso in esame si è in presenza di “pseudo contratti di appalto”, illeciti, con la conseguenza che i lavoratori del fittizio appaltatore dovevano considerarsi a tutti gli effetti dipendenti della committente. Non coglie nel segno dunque il motivo di censura proposto, avendo la corte di merito correttamente motivato la propria decisione conformemente ai principi enunciati dalla Cassazione.
No alla duplicazione dell'obbligo contributivo.Altro motivo di censura della decisione impugnata riguarda l'omessa considerazione dei contributi già corrisposti dal datore di lavoro fittizio, cioè la società appaltatrice. La Corte d'appello, come il giudice di primo grado, non aveva tenuto conto dei contributi da questa versati, il cui importo doveva essere detratto da quanto dovuto dall'azienda committente in ragione della accertata interposizione di manodopera. La Suprema Corte ritiene fondata la critica portata alla sentenza impugnata.
Già in precedenti decisioni i Giudici di legittimità avevano avuto modo di affermare che in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali. Deve rimanere pertanto salva l'incidenza satisfattiva ai sensi dell'art. 1180, comma 1, c.c., dei pagamenti eventualmente eseguiti, dal datore di lavoro fittizio. In tali situazioni, i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia effettivamente utilizzato le prestazioni; ciò comporta che solo sull'appaltante (o interponente), e non anche sull'appaltatore (o interposto), gravino gli obblighi in materia di assicurazioni sociali nati dal rapporto di lavoro. Rimanendo altresì salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi del comma 1 dell'art. 1180, c.c., nonché dallo stesso datore di lavoro fittizio.
Il pagamento del datore di lavoro fittizio estingue l'obbligazione a carico del committente.Viene così a determinarsi, come si è verificato nel caso in esame, una ipotesi di pagamento indebito dal punto di vista soggettivo; il coordinamento tra gli art. 1180 e 2036, c.c., porta a ritenere che sia qualificabile come pagamento di debito altrui, ai fini della relativa efficacia estintiva dell'obbligazione (con le condizioni di cui al comma 3 dell'art. 2036, c.c.), anche il pagamento effettuato per errore. La Corte di merito ha dunque errato nel non considerare i pagamenti dei contributi già effettuati dall'appaltatrice, con conseguente sgravio dell'obbligo a carico del committente, effettivo datore di lavoro. In accoglimento del motivo di censura proposto, la Corte di cassazione ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la decisione in conformità ai principi di diritto enunciati, ad altra Corte d'appello, per l'accertamento in concreto dell'avvenuta integrale o meno soddisfazione delle pretese contributive.
(Fonte: Diritto e Giustizia) |