Impugnazione del verbale di conciliazione: quando l'assistenza sindacale può ritenersi effettiva?
22 Luglio 2019
Massima
Perché trovi applicazione il regime dell'inoppugnabilità della conciliazione, di cui all'art. 2113, c.c., sono necessari due elementi: il primo, di carattere formale, attiene alla sede protetta presso la quale l'accordo deve essere concluso; il secondo, di ordine sostanziale, richiede che l'effettività dell' assistenza prestata dal rappresentante sindacale al lavoratore, di modo che il rinunciante sia stato posto nella condizione di avere piena e puntuale conoscenza della portata e degli effetti scaturenti dagli atti abdicativi. Il caso
Il giudizio prende avvio dall'impugnazione del recesso datoriale, comunicato in data 15 maggio 2016, da parte della lavoratrice. Questa, attestando di avere svolto le mansioni di responsabile commerciale presso la società-datrice in forza di co.co.co annualmente rinnovati, lamentava la validità di una conciliazione firmata il 21 aprile 2015 successivamente alla quale veniva assunta con contratto a tempo indeterminato. La ricorrente censura la summenzionata conciliazione in quanto firmata nella sala riunioni dell'azienda alla presenza di un rappresentante sindacale silente, nonostante l'intimidazione datoriale circa le evoluzioni conseguenti all'eventuale mancata firma dell'accordo, senza che la stessa fosse stato informata in merito alla portata e al significato della sottoscrizione. Analogamente la datrice aveva proceduto con altri lavoratori. Domandava quindi che la conciliazione venisse dichiarata invalida e che le collaborazioni con la società, dal 2004 al 2015, venissero considerate come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con relative conseguenze economiche (pagamento del T.f.r.).
Si costituiva in giudizio la datrice negando la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti prima del 2015 ed eccependo la decadenza dell'azione diretta alla riqualificazione. La resistente sosteneva l'inammissibilità del ricorso per intervenuta rinuncia a seguito di verbale di conciliazione, con applicazione dell'ultimo comma dell'art. 2113, c.c.
Afferma di avere informato i lavoratori-collaboratori circa la possibilità di una loro assunzione con contratto a tempo indeterminando verso la rinuncia a rivendicazioni economiche concernenti il periodo pregresso, manifestando essi il proprio interesse in merito. Questi avevano ricevuto, il 17 maggio 2015, una bozza del verbale di conciliazione. Successivamente, il 21 maggio 2015, si era proceduto, in sede protetta, a formalizzare l'adesione dei collaboratori mediante sottoscrizione del verbale alla presenza del rappresentante sindacale. La questione
Quando, in sede sindacale, può ritenersi effettiva l'assistenza del lavoratore da parte del sindacalista durante la procedura conciliativa, con conseguente applicazione dell'ultimo comma dell'art. 2113, c.c.? La soluzione
Il Tribunale ha ritenuto il ricorso fondato sulla base di un due motivi, uno di ordine formale e uno di ordine sostanziale.
Relativamente al primo, considerato il contenuto delle disposizioni normative applicabili alla fattispecie in esame, ha evidenziato come il rinvio all'art. 412-ter, c.p.c. da parte dell'ultimo comma dell'art. 2113, c.c., in quanto avente carattere eccezionale, non può trovare applicazione in via analogia. Conseguentemente, il regime dell'inoppugnabilità potrà operare solo per quelle conciliazioni sindacali avvenute “presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative”. L'assenza nel CCNL di una disposizione diretta a regolamentare la procedura di conciliazione sindacale, ha comportato l'esclusione dell'applicabilità dell'ultimo comma dell'art. 2113, c.c.
Sul piano sostanziale, al fine di escludere la inoppugnabilità della conciliazione, il Tribunale ha posto l'accento sull'effettività dell'assistenza garantita al lavoratore da parte del sindacalista, costituendo essa requisito essenziale delle conciliazioni effettuate in sede sindacale.
Le rinunce e le transizioni, con oggetto diritti del lavoratore previsti da disposizioni legislative inderogabili o da contratti collettivi, inserite in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, presuppongono che sia stata apprestata una reale ed effettiva assistenza da parte dei rappresentanti sindacali, in ciò trovando fondamento il regime dell'inoppugnabilità. Sebbene l'assistenza abbia un contenuto libero, essa deve comunque garantire al lavoratore un'efficace rappresentazione del contenuto e delle conseguenze derivanti dagli atti compiuti, così da assicurare la consapevolezza e la libertà del rinunciante.
Nel caso di specie, la bozza della conciliazione inviata alla lavoratrice non conteneva alcun riferimento agli aspetti economici della rinuncia, né in seguito la stessa ne veniva puntualmente informata. Il mandato di rappresentanza sindacale era stato firmato il giorno stesso in cui la conciliazione veniva perfezionata, limitandosi il sindacalista (non prima conosciuto dalla dipendente) a svolgere il ruolo di mero testimone. Lo stesso, infatti, successivamente alla lettura del verbale da parte della lavoratrice, risultava essersi limitato a rappresentare a quest'ultima l'impossibilità di successive contestazioni, e ad appurare la volontà conciliativa delle parti.
La situazione della ricorrente era pertanto sconosciuta al rappresentante sindacale il quale non aveva provveduto ad illustrarle la portata dell'adesione alla conciliazione in termini di costi/benefici, facendo presente esclusivamente la irrevocabilità della scelta. Nessuna informazione veniva fornita circa il fatto che la rinuncia alle rivendicazioni economiche legate all'attività lavorativa pregressa (2003-2015) aveva luogo a fronte del pagamento di una somma pari a 500,00 euro, nonché della prosecuzione del rapporto in forza di un contratto a tempo indeterminato, privo di stabilità. Infatti, occupando la società un numero di dipendenti inferiore a 15, avrebbe trovato applicazione l'art. 9,d.lgs. n. 23 del 2015 (licenziabilità anche in assenza di un g.m.o. con indennità pari a 2 mensilità per anno di servizio, fino ad un massimo di 6).
Il Tribunale ha ritenuto che la conoscenza di tali elementi sarebbe stata idonea a condizionare il consenso della lavoratrice. L'impugnazione veniva infine dichiarata tempestiva essendo intervenuta nei sei mesi successivi la cessazione del rapporto, ai sensi dell'art. 2113, c.c.
Accerta infine l'applicabilità del comma 1 dell'art. 69, d.lgs. n. 276 del 2003, veniva riconosciuto il diritto della lavoratrice al pagamento del T.f.r. dal 1° gennaio 2004 al 16 maggio 2016. Osservazioni
La non impugnabilità delle rinunce e transazioni, anche qualora esse abbiano ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi, si presenta strettamente connessa con il luogo in cui queste vengono a perfezionarsi.
L'ultimo comma dell'art. 2113, c.c., rinvia alle conciliazioni intervenute ai sensi dell'art. 185, c.p.c. (in sede giudiziale, nel corso della prima udienza, il giudice del lavoro esplica il tentativo di conciliazione della lite), art.410, c.p.c. (in sede amministrativa, nell'ambito della procedura incardinata presso le DTL) art. 411, c.p.c. (in sede sindacale) artt. 412ter e 412quater, c.p.c. (sedi e modalità possono essere individuati dai CCNL stipulati dalle oo. ss. maggiormente rappresentative; la costituzione di un collegio di conciliazione e arbitrato irrituale)
È evidente come fil rouge nelle disposizioni richiamate sia individuabile nei soggetti (terzi rispetto alle parti) innanzi ai quali l'accordo conciliativo viene stipulato. Il legislatore, consapevole della posizione di inferiorità del lavoratore nei confronti del datore, esclude la validità di rinunce e transazioni aventi un determinato oggetto, potendo queste essere il risultato di una coazione morale o economica, nonché di un gap conoscitivo del dipendente circa gli effetti scaturenti dai propri atti abdicativi e/o dispositivi.
La peculiarità delle sedi, presso le quali il contenuto del verbale di conciliazione viene definito, consente di ovviare al rischio di un condizionamento del libero convincimento e della libertà negoziale del lavoratore dovuto al metus nutrito da quest'ultimo nei confronti della parte datoriale.
Tuttavia, il mero dato formale del locus non è ritenuto sufficiente dalla giurisprudenza la quale sposta la propria attenzione su elementi di carattere sostanziale, recte sulle modalità attraverso le quali l'assistenza è stata concretamente fornita al dipendente. Essa, sebbene sia libera nel contenuto, deve comunque risultare idonea a porre la “parte debole” nella condizione di avere piena consapevolezza circa la portata e gli effetti dei propri atti, il che certamente, assicurando l'assenza di influenze esterne ovvero di vuoti conoscitivi, garantisce la libertà delle determinazioni negoziali.
Punctum pruriens è, tuttavia, stabilire in concreto quanto possa dirsi sufficiente ed effettivo il sostegno apprestato dal sindacalista (nei casi, come quello oggetto di esame, di conciliazione in sede sindacale). La questione non appare suscettibile di essere risolta mediante l'individuazione di regole generalmente valide, propendendosi piuttosto per un atteggiamento casistico, sebbene a discapito della certezza.
Si ritiene che la mera presenza del sindacalista alla conciliazione sarebbe ex se insufficiente a sottrarre il lavoratore dallo stato di soggezione. Perché l'assistenza sia effettiva è necessario un intervento attivo dell'esponente sindacale, senza che questo possa limitarsi a verificare la genuinità della volontà del lavoratore, garantendone piuttosto la corretta e completa comprensione degli aspetti giuridici della vicenda e, pertanto, dell'entità della rinuncia a fronte di un bilanciamento dei costi/benefici da essa scaturenti.
Tuttavia, se la funzione del sindacalista è quella di sottrare il lavoratore dal metus nei confronti del datore, non può trascurarsi che, in talune ipotesi, non potrebbe ravvisarsi realmente una tale posizione di debolezza, ove ad esempio il primo, dotato di specifiche competenze professionali, sia perfettamente in grado di comprendere la misura e le conseguenze dei propri atti abdicativi/dispositivi, ovvero possa in concreto proporre i termini della definizione economico-giuridica della propria proposizione. In tali fattispecie l'assistenza potrebbe sostanziarsi anche in una partecipazione meno attiva. Analogamente qualora il dipendente abbia affidato la gestione della propria situazione ad un legale: il rappresentante sindacale potrebbe limitarsi ad accertare la libertà della volontà e la conoscenza del contenuto dell'accordo conciliativo, risultando pleonastica ogni ulteriori attività.
La valutazione da parte del giudice, circa l'effettività dell'assistenza sindacale, non potrebbe pertanto non tenere in conto delle peculiarità del caso concreto, o meglio del "grado di debolezza" del lavoratore, sia sul piano oggettivo che soggettivo.
Per approfondire: R. Garofalo, La transazione in sede sindacale: i limiti sostanziali e processuali alla impugnabilità, in Lav. giur., 2014, 5, pp. 475 ss.; M. Novella, L'inderogabilità nel diritto del lavoro: norme imperative e autonomia individuale, Giuffrè Editore, 2009; G. Pera, Le rinunce e le transazioni del lavoratore, in Comm. Schlesinger, 1990; A. Di Stasi, Impugnabilità della conciliazione sindacale nelle controversie individuali e attività dei conciliatori, in Dir. lav., 1989, I, 253 ss.
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