Giurisdizione rispetto allo straniero (comprende regolamento ce n. 1215/2012)Fonte: L. 31 maggio 1995 n. 218
23 Luglio 2019
Inquadramento
Ai sensi dell'art. 102 Cost., la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Specularmente l'art. 1 c.p.c. dispone che la giurisdizione civile, salvo disposizioni di legge speciali, è esercitata dai giudici ordinari. In estrema approssimazione può dirsi che la giurisdizione è il potere del giudice e che la competenza è la misura di questo potere. La giurisdizione del giudice ordinario tendenzialmente appare generale poiché il potere giurisdizionale viene assegnato dall'ordinamento ai giudici ordinari rispetto ad ogni causa tranne speciali disposizioni normative. La giurisdizione è un potere professionale: il giudice è un organo indipendente e imparziale; trova la propria legittimazione nella sua base culturale, nella sua preparazione professionale e, quindi, nella sua idoneità di tipo tecnico-giuridico. Il potere giudiziario è poi indipendente: lo stesso art. 104 Cost. afferma che la giurisdizione è un potere autonomo rispetto ad ogni altro potere. L'indipendenza si manifesta come: esterna, cioè è esclusa ogni ingerenza da parte di altri organi statali o meno nell'esercizio della funzione giurisdizionale; interna, ossia ai sensi dell'art. 107, comma 3, i magistrati si distinguono tra loro solo per la diversità delle funzioni e, quindi, tra i magistrati non può mai intercorrere un rapporto gerarchico come quello esistente tra funzionari della p.a. Il giudice è infine imparziale (sul punto si rinvia alla Bussola Giurisdizione civile). I limiti della giurisdizione. Il sistema giurisdizionale si atteggia quale sistema di limiti alla spettanza generale di tutte le cause civili ai giudici ordinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 102 Cost. e 1 c.p.c. I limiti, ricavabili dall'art. 37 c.p.c. e dagli artt. 3 e ss. l. n. 218/1995 riguardano i rapporti tra i giudici italiani e stranieri (in questo caso parliamo di limite esterno) e tra giudice ordinario e altri poteri dello Stato o tra giudici ordinari e speciali (in questi due casi parliamo di limiti interni). Possiamo così schematizzare:
Limite esterno: rapporti tra giudici italiani e giudici europei. Vediamo innanzitutto il sistema giurisdizionale del Lussemburgo: i giudici dell'Unione Europea hanno giurisdizione limitata sia quanto alle materie, sia quanto alle forme civilistiche di tutela; ad essi sono attribuiti compiti e funzioni diverse: giudici internazionali (nelle controversie tra Stati membri); giudici costituzionali (nelle controversie relative al riparto di competenze fra diversi organi dell'Unione); giudici amministrativi (nei ricorsi per annullamento di atti illegittimi delle istituzioni europee); giudici civili: è una giurisdizione limitata perché hanno materie specifiche e perché non sono assistiti dalla tutela esecutiva e cautelare che restano affidate al giudice nazionale. Organi investiti della giurisdizione europea: Camere giurisdizionali: organi giurisdizionali a competenza specializzata previsti per la risoluzione in primo grado di controversie di scarso rilievo giuridico ed istituzionale; Tribunale: organo giudiziario di prima istanza, opera come giudice collegiale o monocratico con competenza per le azioni dirette proposte da persone fisiche e giuridiche private; nel settore civile gli sono attribuite le controversie in materia di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale delle istituzioni; in materie specifiche, ossia interpretazione in via pregiudiziale del diritto europeo e della validità degli atti generali; in secondo grado per le impugnazioni contro le decisioni delle camere giurisdizionali. La Corte di Giustizia: organo collegiale ha il compito di Corte Suprema con la prevalente funzione di assicurare uniforme interpretazione e unità del diritto dell'U.E. e il riparto di poteri fra istituzioni e fra queste e gli Stati. Vi è poi la Corte Europea dei diritti dell'Uomo, detta Corte di Strasburgo che si pone rispetto ai giudici nazionali in una prospettiva di controllo: la violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione Europea legittima il privato ad adire la Corte per ottenere dallo Stato un equo indennizzo. Se la stessa questione è oggetto di giudizio sia in sede nazionale che in sede europea, il riparto di giurisdizione viene effettuato sulla base della regola del previo esaurimento delle vie di ricorso interne. Limite esterno: riparto di giurisdizione fra giudici italiani e giudici di Stati esteri. Prima dell'entrata in vigore della legge n. 218/1995 in Italia aveva vigore la regola della esclusività e generale universalità della giurisdizione dei giudici italiani. Con alcune conseguenze, in particolare il fatto che il giudice italiano si atteggiava a giudice naturale del cittadino italiano e il criterio per individuare e determinare la giurisdizione italiana era quello della nazionalità del convenuto. L'altro postulato era quello posto dall'art. 2 c.p.c. ossia l'inderogabilità della giurisdizione italiana in favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero tranne in ipotesi espressamente previste dalla legge.Vi erano altri postulati direttamente derivanti dai principi su ricordati della esclusività e universalità della giurisdizione italiana: da un lato, ai sensi dell'art. 3 c.p.c. era irrilevante ai fini della giurisdizione italiana la pendenza all'estero di un processo relativo alla stessa fattispecie; dall'altro lato era del tutto irrilevante la sentenza pronunciata all'estero salvo l'esito positivo del procedimento di delibazione, procedimento che era disciplinato dagli artt. 797 e ss. c.p.c. Il sistema è stato del tutto modificato con l'introduzione della legge n. 218/1995 che ha posto l'importante principio della equivalenza tra la giurisdizione italiana e quella straniera. La legge n. 218/1995 peraltro rinvia alle norme uniformi di origine internazionale. Bisogna distinguere:
In entrambe le normative è previsto: un criterio generale di collegamento: domicilio o residenza del convenuto nel territorio dello Stato (art. 2 e 3 Reg. n. 44/2001, adesso Reg. n. 1215/2012 e art. 3 l. n. 218/1995); criteri di collegamento speciali che operano in riferimento a determinate categorie di controversie, a volte che concorrono con quello generale, a volte che lo escludono; ad esempio l'art. 3 della legge n. 218/1995 rinvia ai criteri speciali previsti dalla Convenzione di Bruxelles del 1968, Reg. n. 1215/2012 che valgono rispetto a specifiche controversie e che determinano talora delle giurisdizioni concorrenti, talora delle ipotesi di giurisdizione esclusiva. L'art. 22 del Reg. 44/2001 stabilisce delle competenze esclusive che si applicano in ogni Stato dell'Unione, anche laddove il convenuto non sia domiciliato nello spazio comunitario.
Il sistema delle fonti
La legge n. 218/1995, come anticipato, determina le norme sulla giurisdizione civile anche effettuando un rinvio alle norme di origine internazionale, tra cui, testualmente, ex art. 3, comma 2, rinvia alle disposizioni della Convenzione di Bruxelles del 1968 e alle successive modifiche della stessa. Tale Convenzione è stata nel tempo sostituita in primo luogo dal Reg. CE n. 44/2001 (cd. Bruxelles I) e, successivamente, a partire dal 10 gennaio 2015, dal Reg. UE n. 1215/2012 (cd. Bruxelles I-bis). Come già visto bisogna in realtà distinguere allorché si faccia riferimento a giudici di altri Stati membri dell'Unione Europea, nel qual caso la normativa applicabile in relazione ai criteri attributivi della giurisdizione civile sarà quella dettata dall'ultimo regolamento ossia dal Reg. UE n. 1215/2012. In materia matrimoniale bisogna far invece riferimento al Reg. CE n. 2201/2003 (cd. Bruxelles II); in materia fallimentare al Reg. CE n. 1346/2000; in materia di successioni al Reg. UE n. 650/2012. Se, invece, si ha riguardo al rapporto tra giudici italiani e giudici di Stati non appartenenti all'Unione Europea, in mancanza di convenzioni internazionali ad hoc, bisogna utilizzare i criteri previsti dalla legge n. 218/1995. Per quanto concerne il criterio di collegamento, in prima battuta può dirsi che la giurisdizione viene determinata qualora vi sia un collegamento qualificato tra la controversia e la giurisdizione di uno Stato membro, mentre la stessa viene esclusa laddove non vi sia un significativo collegamento con la controversia, ossia nell'ipotesi dei cd. fori esorbitanti, quale può essere, ad esempio, il criterio della residenza dell'attore piuttosto che del convenuto. In entrambe le normative sopra richiamate non si utilizza il criterio della cittadinanza del convenuto mentre il criterio generale di collegamento è dato dal domicilio o dalla residenza del convenuto nel territorio dello Stato. La nozione di “giurisdizione (o competenza) transnazionale (o internazionale)” fa riferimento all'esercizio del potere giurisdizionale rispetto a controversie in qualche modo estranee all'ordinamento (in arg. v. Biavati, Giurisdizione civile, territorio e ordinamento aperto, Milano, 1997, 16 ss.). Le condizioni per l'esercizio di tale potere sono predisposte dall'ordinamento stesso in piena autonomia, sulla base di un bilanciamento tra elementi di estraneità ed elementi di collegamento di una controversia transnazionale rispetto all'ordinamento stesso. In generale può dirsi che la vis attractiva della giurisdizione rispetto ad una controversia internazionale è inversamente proporzionale al peso degli elementi di estraneità in essa presenti: il criterio di collegamento individua un elemento – soggettivo od oggettivo – della controversia, idoneo a giustificare l'attrazione della causa nell'orbita dell'ordinamento. Tuttavia è inevitabile che i sistemi nazionali finiscano spesso per accogliere anche criteri di giurisdizione cd. “esorbitanti”, per i quali cioè la giurisdizione sussiste anche in assenza di un legame ragionevole o sufficientemente stretto della causa con lo Stato del giudice, ciò che rende l'esercizio del potere giurisdizionale inadeguato o inopportuno rispetto all'interesse della giustizia e all'economia processuale
I fori generali e speciali
Abbiamo già visto nel precedente paragrafo come il criterio generale di collegamento sia dato dal dato oggettivo del domicilio o della residenza del convenuto nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 4 del Reg. UE 1215/2012 e dell'art. 3 della l. n. 218/1995. Il domicilio del convenuto è stato ritenuto il principale fattore di integrazione della lite con la Comunità e il criterio di collegamento più idoneo a contemperare l'esigenza di efficienza della funzione giurisdizionale – sul presupposto che il fondamento naturale della competenza dell'organo giudicante è il suo collegamento con il territorio con l'esigenza di difesa della parte convenuta (in ossequio alla regola, appartenente alla tradizione giuridica europea, actor sequitur forum rei). Per tali motivi è assunto come foro generale. Non ha rilevanza il domicilio dell'attore, che può anche essere situato in uno Stato terzo. La competenza del foro del domicilio del convenuto è imperativa, ma ad esso si affiancano, in via alternativa e cumulativa, una pluralità di fori speciali dettati per garantire una migliore economia processuale o una più efficace tutela della parte debole. Rispetto al foro generale gli altri criteri di competenza hanno carattere eccezionale o derogatorio, il che rileva ai fini dell'interpretazione. Il domicilio del convenuto è un titolo di competenza giurisdizionale e non di competenza interna. Ciò significa che l'art. 4 del Reg. UE 1215/2012 attribuisce il potere di decidere la controversia al complesso dei giudici dello Stato in cui è domiciliato il convenuto; spetta alle regole interne l'indicazione dell'organo competente nel caso concreto (Martino, La giurisdizione italiana nelle controversie civili transnazionali, Padova, 2001, 229). I criteri di collegamento speciali, anche definibili fori speciali, operano con riguardo a specifiche categorie di controversie, ossia a volte essi concorrono con il foro generale (come nella materia contrattuale il foro del luogo di esecuzione dell'obbligazione concorre con il foro del domicilio del convenuto); in altri casi i fori speciali escludono l'applicazione del foro generale, come ad es. in tema di azioni reali immobiliari ove si applica unicamente il foro del luogo in cui l'immobile si trova; il foro dell'illecito civile, ai sensi dell'art. 7 n. 2 del Reg. 1215/2012 si incardina nel luogo in cui si è verificato il danno ovvero dove lo stesso può verificarsi. (N. Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2019, in corso di pubblicazione). Alcune norme del Reg. 1215/2012 prevedono invece che il criterio di collegamento sia dato dalla residenza abituale dell'attore; la finalità di tali disposizioni normative è quella di consentire più agevolmente l'accesso alla giustizia nello Stato membro considerato rispetto ad alcune controversie, quali, ad es. quelle relative ai contratti di assicurazione, ai contratti di consumo, ai contratti di lavoro subordinato (si veda la voce Giurisdizione in materia civile e commerciale, dir. int. priv., Enc. Treccani online. La proroga e la deroga della giurisdizione
Con il termine “proroga” della giurisdizione si intende l'attribuzione della giurisdizione ad un giudice di uno Stato che diversamente non potrebbe averla; mentre con il termine “deroga” si fa riferimento all'esclusione della giurisdizione dei giudici di uno Stato che, invece, ne sarebbero investiti. Gli accordi delle parti possono in talune circostanze avere, pertanto, l'effetto di attribuire o escludere la giurisdizione del giudice di uno Stato. Alla concezione pubblicistica della giurisdizione era ispirato il codice di procedura civile del 1940. Si riteneva che l'attività giudiziaria, espressione della sovranità, non avesse la funzione di realizzare i diritti dei singoli, ma quella di attuare e proteggere l'ordinamento nella misura più ampia possibile. La chiusura nei confronti dei sistemi stranieri e l'esaltazione dello Stato si tradussero in un sistema fondato su tre principi cardine: l'irrilevanza della litispendenza internazionale, la necessità della delibazione delle sentenze straniere e l'inderogabilità della giurisdizione. Le limitate eccezioni che l'art. 2 c.p.c. poneva al principio dell'inderogabilità della giurisdizione (cause relative ad obbligazioni tra stranieri, anche se residenti o domiciliati in Italia, o tra uno straniero e un italiano non residente né domiciliato in Italia) erano spiegate nella prospettiva del riconoscimento della sentenza straniera. Adesso, anche per effetto delle Convenzioni, è stato superato il collegamento stretto tra la sovranità e la giurisdizione e, conseguentemente, è possibile per le parti determinare in via convenzionale la giurisdizione. All'interno dello spazio giudiziario europeo bisogna in particolare, attualmente, far riferimento agli artt. 25 e 26 Reg. UE 1215/2012. In particolare l'art. 25 prevede che, laddove le parti, indipendentemente dal loro domicilio, convengano la competenza (giurisdizionale) di un'autorità di uno Stato membro a conoscere delle controversie, sia presenti che future, originate da un determinato rapporto giuridico, la competenza giurisdizionale va attribuita a tale autorità salvo che l'accordo sia nullo da un punto di vista sostanziale secondo la legge dello Stato stesso. Questo accordo ha l'effetto di attribuire competenza giurisdizionale esclusiva salvo che vi sia diverso accordo delle parti. Pertanto, pur avendo l'accordo in via tendenziale vocazione per l'esclusività, le parti possono decidere diversamente con la conseguenza che il foro di proroga diventa un foro concorrente e non un foro esclusivo. L'art. 25 subordina l'accordo di proroga ad alcuni requisiti: esso deve essere concluso per iscritto o provato per iscritto; redatto in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno deciso di osservare ovvero, nell'ambito del commercio internazionale, in una forma ammessa da un uso conosciuto o conoscibile dalle parti; per forma scritta si intende qualunque comunicazione con mezzi elettronici che consenta una registrazione durevole dell'accordo attributivo di competenza. Peraltro, laddove il convenuto, costituendosi in giudizio, non sollevi l'eccezione di difetto di giurisdizione, il suo comportamento è conclusivo nel senso dell'accettazione tacita della giurisdizione del giudice incardinato dall'attore, ai sensi dell'art. 26 del Reg. Al di fuori dello spazio giudiziario europeo la norma di riferimento è l'art. 4 della legge n. 218/1995. L'art. 4 della legge è la prova più evidente del cambiamento dei parametri di funzionamento della giurisdizione italiana, sempre più modellati secondo i criteri ispiratori del sistema normativo su cui si fonda l'esercizio dell'attività giurisdizionale nel cd. “spazio giudiziario europeo”. Quanto all'ambito di applicazione della disciplina interna vanno rilevati essenzialmente due dati: il primo è che, ai sensi dell'art. 4, comma 2, «la giurisdizione italiana può essere derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero»; il secondo è il carattere residuale della norma rispetto agli strumenti normativi convenzionali e comunitari vigenti in materia. La validità e l'efficacia dell'accordo di deroga alla giurisdizione italiana a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero sono subordinate al rispetto del requisito della forma scritta, necessaria ai fini della prova del patto, e del requisito della disponibilità dei diritti su cui verte la causa. Quanto ai requisiti soggettivi, nell'art. 4, comma 2, della legge di riforma non figurano più quei limiti che l'abrogato art. 2 c.p.c. poneva in dipendenza della cittadinanza o della residenza delle parti. Chiunque, cittadino o non cittadino, residente o non residente, può derogare alla giurisdizione italiana, sempre nei limiti dell'applicabilità della legge interna: così, ad esempio, se una delle parti risulti domiciliata in Italia o nel territorio di uno Stato comunitario si applicherà la disciplina dettata dal Regolamento UE 1215/2012. La deroga, pertanto, sembra ammissibile anche con riferimento a rapporti puramente interni al nostro ordinamento, rapporti, cioè, che si svolgono tra parti entrambe con cittadinanza italiana, nascono e si esauriscono nel territorio dello Stato e non producono effetti al di fuori di questo.
La litispendenza e la connessione
Anche con riferimento agli istituti della litispendenza e della connessione internazionale dobbiamo distinguere a seconda che si faccia riferimento allo spazio giudiziario europeo o meno. All'interno dello spazio giudiziario europeo la litispendenza eurocomunitaria è disciplinata dall'art. 29 del Reg. UE 1215/2012 il quale stabilisce che quando davanti alle autorità giurisdizionali di Stati membri diversi e tra le stesse parti siano proposte domande con lo stesso oggetto e lo stesso titolo, l'autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d'ufficio il procedimento fino a quando non sia accertata la competenza dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita. Se la competenza dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata, l'autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore della prima. Per determinare la prevenzione, ai sensi dell'art. 32 del Reg. in questione la pendenza della lite viene collegata, a seconda del tipo di procedimento, alla notifica della domanda giudiziale o al deposito presso il giudice adito. All'esterno dello spazio giudiziario europeo parliamo invece di litispendenza internazionale che è disciplinata dall'art. 7 della legge nr. 218/1995. Tale norma prevede che la litispendenza non possa essere rilevata d'ufficio ma debba essere eccepita da una delle parti; dopo che sia stata rilevata il giudice italiano deve verificare se il provvedimento che il giudice adito per primo emetterà, abbia attitudine a produrre effetti all'interno dell'ordinamento italiano. Qualora il quesito trovi risposta positiva il giudice italiano deve sospendere il giudizio aspettando che sia definita la causa oggetto del primo giudizio. Il giudizio italiano dovrà poi essere riassunto qualora il giudice straniero declini la propria giurisdizione o se il provvedimento non venga riconosciuto all'interno dell'ordinamento italiano. Quanto alla connessione, essa opera sia come criterio attributivo di competenza che come strumento di coordinamento tra sistemi processuali in cui vengano presentate cause «aventi tra di loro un legame così stretto da rendere opportune una trattazione e decisione uniche per evitare soluzioni tra di loro incompatibili ove le cause fossero trattate separatamente» (art. 30 Reg. UE 1215/2012). Quando più cause connesse siano pendenti davanti a giudici di Stati membri differenti, l'art. 30 riconosce la facoltà al giudice successivamente adito di sospendere il procedimento. Lo stesso giudice può dichiararsi incompetente se: i) le cause pendono in primo grado; ii) esiste una richiesta delle parti in tal senso; iii) il giudice precedentemente adito è competente a conoscere delle domande proposte e la sua legge consente la riunione dei procedimenti. Un cenno infine va fatto all'istituto della pregiudizialità internazionale; laddove si debba decidere una controversia pregiudiziale dalla cui definizione dipende la decisione della causa italiana, ai sensi dell'art. 7 della legge nr. 218/1995 il giudice italiano può – e non è obbligato come nella disciplina della litispendenza internazionale – sospendere la causa pendente davanti a lui nell'esercizio di un potere puramente discrezionale. Se il giudizio viene sospeso e diventa efficace nel nostro ordinamento la sentenza straniera, il processo deve essere riassunto entro tre mesi.
Il forum non conveniens
Negli ordinamenti di common law si riconosce al giudice scelto dall'attore il potere di declinare la propria giurisdizione se ritiene che la controversia possa essere più convenientemente decisa da un altro giudice ugualmente munito di giurisdizione. Si tratta in sostanza di “un esercizio discrezionale della funzione giurisdizionale” (così testualmente N. Picardi, Manuale, cit., 61) che tuttavia presenta profili dubbi di compatibilità con la normativa convenzionale e, in particolare, con l'allora vigente Reg. 44/2001. Si erano create due opposte tesi; nei rapporti tra i giudici degli Stati membri dell'Unione Europea tale forma di esercizio discrezionale non sarebbe stato compatibile con le norme sulla competenza giurisdizionale; nei rapporti tra giudici di uno Stato dell'Unione Europea e giudici di uno Stato terzo, il primo giudice invece avrebbe potuto esercitare tale potere discrezionale declinando la propria giurisdizione in favore di un altro giudice reputato più “conveniente”. Con la nota sentenza del caso Owusu (Corte di Lussemburgo, Grande Sezione, sent. 1° marzo 2005 c. 281/02) si è invece negata l'applicabilità della dottrina del forum non conveniens anche in questo caso dato che non sarebbe possibile riconoscere alcun profilo di discrezionalità al giudice ai sensi della disciplina comunitaria.
Riferimenti
Bussole di inquadramento |