Il nuovo “danno morale”, ex art. 138 cod. ass., impone una modifica delle tabelle milanesi?

24 Luglio 2019

L'Autore si interroga sul sintagma “danno morale” che ricompare nel testo normativo ex art. 138 novellato cod. ass., per coglierne le differenze di contenuto ed applicazione rispetto al passato; si chiede altresì se si imponga o meno una nuova modifica della Tabella milanese, come accadde all'indomani delle sentenze gemelle delle Sezioni Unite c.d. “sentenze di San Martino”.
Premessa

Sulle questioni tecniche della tabella mi rimetto alla competenza dei componenti l'Osservatorio di Milano. Se qualche aspetto va cambiato è opportuno farlo, ma in linea con il lavoro compiuto da anni; come dire, le questioni esclusivamente tecniche vanno risolte nelle sedi tecniche.

Il tema del danno morale mi pare diverso, per come si sta ponendo negli ultimi tempi: ha qualcosa del passato, ma c'è un elemento di forte novità. Tale novità è dovuta alla fonte e alla scelta normativa di menzionare espressamente la categoria del danno morale e non quella di genere: il danno non patrimoniale. Per il d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, «Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali» si poteva sostenere il carattere speciale della disposizione oltre che il difetto di sistematicità nella trattazione e si poteva concludere che l'effetto della norma non riguardava l'indirizzo appena assunto dalle sentenze di san Martino. Ossia che il danno non patrimoniale è categoria generale che riassume le precedenti del danno biologico del danno morale e del danno esistenziale, alle quali va attribuito un valore meramente descrittivo. Non sono convinto che lo stesso ragionamento possa essere seguito per effetto della modifica dell'art. 138 cod. ass.: questa norma ha l'effetto di liquidare oltre i 2/3 dell'intero ammontare del danno alla persona in Italia.

Non è più una questione che l'interprete deve risolvere in coerenza con i principi; l'ermeneutica va declinata sul piano delle fonti del diritto, tradizionalmente inteso. In concreto, dubito che, dopo la modifica dell'art. 138 cod. ass, si possa continuare a ragionare nei termini di danno morale come categoria descrittiva, secondo il dictum delle sentenze di san Martino, il cui scopo era di codificare una figura unitaria (ontologicamente) di danno non patrimoniale, non come sommatoria di singole voci autonome.

Non discuto del difetto di coerenza del legislatore, che mi sembra palese, non mi interrogo su cosa sia quell'“in sé” del danno morale, da distinguere dal danno biologico relazionale autonomamente da riconoscere, anche in conseguenza della personalizzazione consentita dalla norma. Mi chiedo invece se, in conseguenza delle previsione normativa, occorra intervenire strutturalmente sulle tabelle, allo stesso modo in cui fu necessario fare l'indomani delle sentenze di san Martino.

Intervento necessario?

La risposta deve essere articolata.

Mi chiedo: si può ritenere che il danno morale sia una costante di tutti i danni alla persona, compresi quelli diversi dalla lesione della salute, in sostanza, che il danno morale sia tornato ad essere un “danno evento”, com'era prima del 2008? Se la risposta è affermativa, pare opportuno rivedere le tabelle per favorire quell'automatismo che è garanzia di uniformità nella liquidazione. Senonché questa soluzione è in contrasto con tutta la giurisprudenza anteriore e successiva al 2008, che non ha mai mostrato incrinature all'assunto secondo il quale è necessaria la prova per tutti i danni, seppure con qualsiasi mezzo. Quindi anche per il danno morale occorre una prova specifica; sulla questione nulla dispone la modifica normativa dell'art. 138 cod. ass. Viceversa in due punti il decalogo della Cass. civ. [ord.], sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513 (in Nuova giur. civ., 2018, p. 838, con nota di Ponzanelli, Il decalogo sul risarcimento del danno non patrimoniale e la pace all'interno della terza sezione) afferma che:

«9) “Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione” (come è confermato, oggi, dal testo degli articoli 138 e 139 cod. ass., così come modificati della l. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 17, nella parte in cui, sotto l'unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello “morale”);

10) «Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria» (Colgo il pretesto per segnalare che in questa sentenza il decalogo non è stato scritto nella prospettiva della ratio decidendi della controversia: tutti i punti sono obiter dicta, salvo la parte che ribadisce la necessità di provare il danno subito. Basti considerare che, non solo non è stato liquidato alcunché a titolo di danno morale, neppure è stato liquidato alcunché a titolo di personalizzazione del danno biologico.)

In buona sostanza, nonostante l'art. 185 c.p. e nonostante il legislatore abbia attribuito di nuovo un'autonoma efficacia al danno morale, ciò non significa che questo debba essere inteso un danno in re ipsa. In tutti i casi, tale danno va liquidato «senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria», come è prescritto nel decalogo. Il quadro delineato sembra non aprire spazi verso l'antica idea del danno morale inteso come danno punitivo o con una marcata funzione punitiva del risarcimento: così stato inteso per quasi due terzi del secolo scorso.

Se questi sono i termini della questione, è necessario modificare le tabelle vigenti, per introdurre l'espressa integrazione sul punto del danno morale? Si potrebbe assumere che la nuova norma detta un precetto da osservare in vista della «tabella unica nazionale», che dovrà tener conto «dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo i seguenti principi e criteri». Sul piano delle fonti, la tabella milanese non è esattamente equiparabile ad una tabella di fonte normativa, quindi da quella norma non nasce alcun obbligo di modifica, neppure sul piano dell'opportunità.

Si potrebbe obbiettare, tuttavia, che, proprio per favorire l'emersione di una «consolidata giurisprudenza di legittimità», la modifica delle tabelle potrebbe essere utile, in previsione di una consolidazione in quelle nazionali. Per converso si potrebbe obbiettare altresì che, data la necessità della prova specifica del danno morale, i casi che rientrano nell'applicazione di questa norma sarebbero talmente scarsi da non giustificare la necessità della modifica. Per di più il criterio introdotto dalla riforma dell'art. 138 cod. ass. richiede l'indicazione di una percentuale da applicarsi alla parte di danno che il giudice del merito può comunque stabilire con l'impiego dell'equità.

Un'ultima riflessione va dedicata all'impatto che la mutata norma può avere per i giudizi pendenti, ferme le preclusioni maturate, o comunque, per i giudizi instaurati dopo la modifica della norma. Mi viene da pensare ai risarcimenti dovuti in conseguenza di macro lesioni, naturalmente, poiché per le micro permanenti, a tutto voler concedere, mi pare inverosimile o comunque del tutto eccezionale che il danno morale possa assumere un carattere distintivo autonomo dal restante danno non patrimoniale. Sono portato a pensare che per una macro lesione un avvocato chiederà oltre al danno biologico l'incremento per la personalizzazione ed espressamente la liquidazione del danno morale, pur in assenza delle tabelle nazionali.

In effetti la norma pone la questione in termini di liquidazione del danno morale, ma così facendo presuppone l'autonomia di questa voce di danno dalle altre, una volta che sia stata provata dalla vittima, con tutti i mezzi a sua disposizione.

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