Danni da cose in custodia ed interruzione del nesso causale per condotta imprudente del danneggiato

Francesco Agnino
25 Luglio 2019

In tema di danni da cose in custodia quando il caso fortuito interrompe il nesso di causalità?
Massima

Nella fattispecie dell'art. 2051 c.c. la condotta del danneggiato può costituire caso fortuito o concausa dell'evento dannoso se è colposamente incauta, non occorrendo che a livello fattuale sia imprevedibile.

Il caso

Il proprietario di un'autovettura la parcheggiava in sosta vietata sopra un dissuasore automatico del traffico che, senza preavviso, si era azionato, sfondando il detto veicolo. L'attore proponeva domanda risarcitoria lamentando la responsabilità dell'ente comunale per danni da cose in custodia, domanda che era rigettata in primo grado. I giudici dell'appello accoglievano il gravame proposto condannando ex art. 2051 c.c. il Comune. La PA proponeva ricorso in cassazione, lamentando il mancato riconoscimento da parte del giudice dell'appello del caso fortuito identificabile nella condotta illegittima dello stesso danneggiato, tenuto conto della circostanza che - nonostante la presenza del dissuasore fosse resa nota con segnali di pericolo e di divieto, tali che, arrivato in zona ed avvisato del pericolo, l'autista attento avrebbe potuto e dovuto, comunque, scorgere il dissuasore sia nella posizione innalzata sia la sua corona, laddove nel frangente si trovasse calato nel terreno – l'automobilista aveva ciononostante parcheggiato violando il Codice della Strada, per aver arrestato la marcia in zona in cui erano vietati sia il transito che la sosta di autovetture. La Corte di Cassazione annulla con rinvio la sentenza gravata, evidenziando che non esiste un monolito di caso fortuito in relazione ai limiti di responsabilità del custode. Da un lato, infatti, sussiste il caso fortuito consistente in un fatto naturale o del terzo, ove si rinviene realmente la ‘imprevedibilità/inevitabilità'. E, dall'altro, sussiste il ben diverso caso fortuito rappresentato dalla condotta del potenziale danneggiato e questa seconda specie deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso all'art. 2 della Costituzione. Con la conseguenza che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso causale tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole ed accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di danni da cose in custodia quando il caso fortuito interrompe il nesso di causalità?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza della Cassazione ribadisce come all'obbligo di custodia della cosa fa sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con essa, poiché quando la situazione di possibile pericolo che si ingenera appare superabile con l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto, da parte dello stesso danneggiato, può escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, che viene così ridotta al rango di mera occasione dell'evento (Cass. civ., n. 4661/2015).

In particolare, con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità evidenziano che:

a) l'imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa in capo al custode della cosa, sicché il danneggiato deve dare soltanto prova del rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso;

b) la rilevanza, ai soli fini previsti dall'art. 2043 c.c., di omissioni, violazioni di obblighi di legge e di regole tecniche da parte del custode, salvo che ciò sia diretto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno;

c) l'irrilevanza della diligenza del custode in relazione al caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale , o della causalità adeguata;

d) il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; la condotta del danneggiato incontra l'applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 c.c., comma 1, e va valutata tenendo conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.

Peraltro, l'orientamento giurisprudenziale più risalente ravvisava nella fattispecie in esame una responsabilità per colpa presunta, il cui fondamento sarebbe pur sempre il fatto dell'uomo (nella specie, il custode), venuto meno al suo dovere di controllo e di vigilanza affinché la cosa non produca danni a terzi.

Secondo questo orientamento, l'art. 2051 c.c. poneva una presunzione iuris tantum di colpa a carico di colui che ha il dovere di custodia sulla cosa, e, quindi l'obbligo di vigilare che la stessa, sottoposta al suo effettivo controllo, non arrechi danno. Siffatta presunzione di colpa comporta che il custode, per andare esente da responsabilità, deve fornire la prova del "caso fortuito" al quale va equiparata la "causa estranea", comprensiva altresì del fatto dello stesso danneggiato, sempre che questo abbia, nel determinismo dell'evento dannoso, un'autonoma efficienza causale e presenti carattere di inevitabilità rispetto alla sfera di azione del custode (Cass. civ., n. 1332/1994).

La norma dell'art. 2051 c.c., concernente la responsabilità per danno cagionato da cose in custodia, era quindi fondata non sul principio della responsabilità oggettiva ma sul dovere di custodia che incombe al soggetto che, a qualsiasi titolo, ha un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa, in relazione all'obbligo di vigilare in modo da impedire che arrechi danni ai terzi; ne consegue che per l'applicabilità della disciplina stabilita dalla predetta norma occorre che la cosa dalla quale è derivato il danno sia, nel momento in cui l'evento si è verificato, nella custodia del soggetto chiamato a risponderne (Cass. civ., n. 3129/1987).

Tale impostazione è stata progressivamente superata dall'altro orientamento, inizialmente minoritario, in base al quale la responsabilità per i danni cagionati dalla cosa ha carattere oggettivo e, perché possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza da parte dello stesso.

Una tappa fondamentale nell'evoluzione della giurisprudenza sul danno da cose in custodia è rappresentata dall'arresto delle Sezioni Unite del 1991, nella quale si ammetteva la possibilità di una ricostruzione in chiave oggettiva della fattispecie, valorizzando il dato normativo dell'art. 2051 c.c. che non dà rilievo al comportamento del responsabile, giacché il solo limite previsto nell'articolo in esame è l'esistenza del caso fortuito ed in genere si esclude che il limite del fortuito si identifichi con l'assenza di colpa (Cass. civ., Sez. Un. n. 12019/1991).

L'orientamento favorevole alla ricostruzione in termini oggettivi della fattispecie si è andato definitivamente affermando, giungendo la Corte di Cassazione a ribadire che in base l'art. 2051 c.c. prevede un'ipotesi responsabilità oggettiva, il cui unico presupposto è l'esistenza di un rapporto di custodia; del tutto irrilevante è, per contro, accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio della vigilanza sulla cosa (Cass. civ., n. 5031/1998).

Attualmente costituisce ius receptum l'affermazione a mente della quale «è prevalente in dottrina e dominante nella giurisprudenza di legittimità la tesi della qualificazione della responsabilità in esame come responsabilità oggettiva, nella quale non gioca alcun ruolo la negligenza o, in generale, la colpa del custode purché si tratti di un danno cagionato da una cosa e che questa sia una cosa che si ha in custodia null'altro è richiesto: basti allora in questa sede, per l'impossibilità di altri approfondimenti dogmatici, da un lato accettare quale ragione giustificatrice di tale peculiare responsabilità la sua natura e funzione di contrappeso al riconoscimento di una signoria, quale la "custodia", sulla cosa che entra o può entrare a contatto con la generalità dei consociati, signoria che l'ordinamento riconosce ad un soggetto evidentemente affinché egli ne tragga o possa trarre beneficio o in dipendenza di peculiari situazioni doverose; e, dall'altro lato, rilevare come il danno, di cui si è chiamati a rispondere, deve essere causato dalla cosa, per il code civil, ancora più icasticamente e stando alla lettera della disposizione, dal "fatto della cosa": dommage ... qui est causé par le fait des choses que l'on a sous sa garde» (Cass. civ., n. 2482/2018).

Sotto il profilo del nesso causale, la diversità delle conseguenze derivante dall'aderire all'uno o all'altro formante è ovvia ed importante, giacché, se si tratta di colpa presunta, il custode si libera dimostrando di non essere incorso in colpa e, cioè, di essere stato diligente; se si tratta di responsabilità oggettiva, il custode si libera dando la prova del caso fortuito, ossia, in prima approssimazione, di un evento che interviene ab externo, sia pure anche sotto specie di fatto del terzo o del danneggiato, recidendo il nesso di causalità.

Dall'affermazione della natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia discende che la relativa imputazione prescinde dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento (Cass. civ., n. 10860/2012).

Una volta individuato nell'art. 2051 c.c. un modello oggettivo di responsabilità, l'onere probatorio posto a carico del danneggiato resta confinato, per quanto attiene al nesso causale, alla dimostrazione dello specifico segmento eziologico che lega l'evento dannoso alla res in custodia. Rispetto ad un meccanismo soggettivo di presunzione di colpa, la prova posta a carico dell'attore non si estende più alla diversa (e più profonda) dimostrazione del nesso causale intercorrente fra l'evento e la men che diligente attività di custodia del convenuto. Né può, in conseguenza, quest'ultimo fornire la prova liberatoria del caso fortuito in altro modo, se non dimostrando l'esistenza di un fattore, comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, idoneo ad interrompere il nesso causale fra la res e l'evento stesso

Peraltro, il caso fortuito, atto a escludere la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., è inteso dalla Corte di Cassazione come evento interruttivo del nesso causale fra la cosa in custodia ed il danno ed è comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato (Cass. civ., n. 9726/2013).

Il caso fortuito, quindi, può definirsi come quel fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva e caratterizzato dall'imprevedibilità e dall'eccezionalità (fattore causale comprensivo anche del fatto del terzo o della colpa del danneggiato).

Il giudizio sull'autonoma efficienza causale della condotta del danneggiato, ovvero del terzo, deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa, tanto che più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente (della vittima o del terzo) e tale comportamento diviene pertanto idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno, così da escludere la responsabilità del custode.

Anche la condotta del danneggiato può integrare il caso fortuito ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., ma solo purché abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode (Cass. civ., n. 25837/2017).

Requisiti che devono simultaneamente sussistere e che hanno indotto i giudici di legittimità a concludere che potremo dunque avere condotte del danneggiato prudenti e imprevedibili, prudenti e prevedibili, imprudenti ed imprevedibili, imprudenti e prevedibili. Le prime due ipotesi non escludono mai la colpa del custode; la terza ipotesi la esclude sempre; la quarta ipotesi può escluderla in parte (Cass. civ., n. 2482/2018).

Da quanto precede, nella cautela che deve caratterizzare il comportamento del soggetto che entra in contatto con la cosa è individuato un preciso adempimento del dovere di solidarietà previsto dall'art. 2 della Carta Costituzionale.

Inoltre, la disattenzione da parte del danneggiato è sempre prevedibile come evenienza, ma la stessa cessa di esserlo — ed elide il nesso causale con la cosa custodita — quando risponde alla inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass. civ., n. 25837/2017).

Tuttavia, accanto a tali dati oggettivi, acquista rilevanza anche il comportamento dell'utente medio, il quale deve rapportarsi a precisi doveri di prudenza.

La prevedibilità dell'evento consiste nella concreta possibilità, per l'utente danneggiato, di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo.

Ove poi tale pericolo sia visibile, si richiede al soggetto che entra in contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, in quanto la situazione di pericolo appare del tutto percettibile con l'ordinaria diligenza (Cass. civ. n. 999/2014; Cass. civ. n. 23919/2013).

Poiché, infatti, la funzione dell'art. 2051 c.c. è quella di “imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi ad essa inerenti (Cass. civ., n. 4279/2008; Cass. civ., n. 20317/2005) - e questa è la ragione per cui, ai fini della responsabilità del custode per l'evento dannoso, è sufficiente che il danneggiato provi il nesso causale con la cosa custodita, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della stessa - il dovere del custode di prevenire l'evento o di segnalare il pericolo connesso all'uso improprio - da parte del terzo o del danneggiato - della cosa si arresta soltanto al caso in cui la pericolosità dell'anomala utilizzazione di essa, intesa come fattore causale esterno (Cass. civ., n. 15429/2004), sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, da renderla del tutto imprevedibile e perciò inevitabile (Cass. civ., n. 20334/2004).

In effetti, proprio l'intento redistributivo sotteso alla responsabilità disciplinata dall'art. 2051 c.c., finalizzata ad un'allocazione del rischio in capo al soggetto che trae profitto dalla fruizione della res, produce effetti determinanti nell'ipotesi in cui la causa del danno, che derivi pur sempre dalla cosa, sia rimasta ignota.

In tale prospettiva, ove l'individuazione del concreto fattore causativo del danno resti incerto, la responsabilità rimane a carico del custode in quanto il fatto ignoto non è idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell'accadimento (Cass. civ., n. 23945/2009; Cass. civ., n. 2284/2006).

Se al contrario è certo che l'evento lesivo si è verificato per fatto di soggetto terzo, ma quest'ultimo resti ignoto, il custode non risponde del danno poiché si considera comunque interrotto il nesso causale tra la cosa e l'evento (Cass. civ., n. 365/1982).

L'individuazione precisa del terzo, infatti, non costituisce un elemento essenziale per la prova dell'interruzione del nesso eziologico, sempre che, naturalmente, l'impossibilità di indicare la persona del terzo non si concretizzi nell'incertezza sull'effettivo ruolo che detto terzo abbia avuto nella determinazione del danno. In questo secondo caso, diversamente, viene a mancare la stessa dimostrazione del caso fortuito.

In conclusione, in tema di nesso causale la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un'energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.). Qualora, invece, si tratti di cosa di per sé statica e inerte e richieda che l'agire umano, e in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guardrail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.).

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte focalizza l'attenzione sulla condotta dello stesso danneggiato, arrivando a individuare un vero e proprio dovere di cautela in capo all'utilizzatore, in quanto questi deve avere coscienza di essere inserito in un preciso tessuto sociale che, oltre a garantirgli determinati diritti, gli impone anche precisi “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, secondo il dettato codificato all'art. 2 Cost.

Tra questi doveri di solidarietà rientra, pertanto, anche quello di effettuare una preventiva valutazione della situazione potenzialmente pericolosa che la cosa potrebbe ingenerare, indipendentemente dai doveri, di altro tipo, che competono al custode della cosa e, in ogni caso, di porre in essere un'attenzione rapportata alla situazione concreta.

Più la situazione di potenziale pericolo è palese, più l'utilizzatore deve prestare attenzione e, se del caso, anche astenersi dall'utilizzare la cosa. Qualora, invece, non emerga nessuna situazione pericolosa, ovvero questa non sia percettibile mediante l'uso dell'ordinaria diligenza, torna ad applicarsi prepotentemente il carattere di responsabilità oggettiva connesso all'art. 2051 c.c.

Peraltro, la violazione del dovere di cautela da parte di chi entra in contatto con la cosa, finisce per relegare quest'ultima a mera occasione dell'evento, così privandola anche della necessaria efficienza causale.

Vi sono casi in cui la cosa cagiona il danno indipendentemente dalla condotta del danneggiato e casi in cui lo cagiona per l'interazione con la condotta del danneggiato. Nel caso di compresenza di una condotta del danneggiato, questa può rilevare, sul piano eziologico, sotto due aspetti: sia al fine di escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode, ove tale condotta integri gli estremi del fortuito di cui all'art. 2051 c.c.; sia al fine del concorso del fatto colposo del danneggiato, di cui all'art. 1227, comma 1, c.c., concorso che va verificato dal giudice anche di ufficio.

In particolare, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.