Giuramento suppletorio

29 Luglio 2019

Ai sensi dell'art. 2736 n. 2 c.c. il giudice può deferire il giuramento suppletorio quando la domanda e le eccezioni non sono pienamente provate ma neppure totalmente sfornite di prova.
Inquadramento

La distinzione tra giuramento decisorio e giuramento suppletorio risale al periodo giustianianeo dell'esperienza giuridica romana: in particolare, se il giuramento decisorio è un mezzo di prova finalizzato alla decisione della causa rimesso ad un'iniziativa di parte, poiché, in totale armonia con il principio dispositivo, è una parte che lo deferisce all'altra per farne dipendere la decisione della controversia, completamente diverso è l'istituto del giuramento suppletorio, altrimenti definito quale giuramento d'ufficio. Pertanto, nel giuramento suppletorio la decisione di deferire la prestazione del giuramento su uno o più fatti della causa rimasti controversi è rimessa, in deroga al principio dispositivo, al giudice, alle scelte discrezionali del quale sono demandate anche la determinazione della formula del giuramento nonché la scelta della parte cui deferire lo stesso. Il giuramento suppletorio, che ha il proprio unico e generico presupposto normativo nella semiplena probatio, è in vero uno strumento che consente al giudice, qualora al termine dell'istruttoria uno o più fatti siano rimasti incerti, di evitare le conseguenze che si ricollegano ad una rigida applicazione della cd. regola di giudizio dell'onere della prova, in virtù della quale, come è noto, il rischio della mancata prova ricade in capo alla parte onerata di dimostrare i fatti costitutivi alla base delle proprie richieste ovvero di quella tenuta a provare il fondamento delle eccezioni, i.e. dei fatti impeditivi, estintivi, modificativi dell'altrui pretesa. L'alternativa tra il deferimento del giuramento suppletorio e l'applicazione della regola di giudizio dell'onere della prova, espressione del principio di legalità e portato di fondamentali canoni di civiltà giuridica, ha da lungo tempo indotto la dottrina ad assumere un atteggiamento estremamente critico nei confronti del giuramento suppletorio che, nonostante questo, continua tuttavia ad essere considerato dalla giurisprudenza, anche costituzionale, e dallo stesso legislatore, uno strumento legittimo e pienamente compatibile con i principi che governano il giusto processo.

Il presupposto del deferimento: la cd. semiplena probatio

Ai sensi dell'art. 2736 n. 2 c.c. il giudice può deferire il giuramento suppletorio quando la domanda e le eccezioni non sono pienamente provate ma neppure totalmente sfornite di prova. Pertanto, il giuramento non può essere deferito qualora la parte sia completamente venuta meno al proprio onere probatorio, situazione che si verifica, ad esempio, anche nell'ipotesi in cui la prova sia completamente mancata per una sola parte del credito in contestazione, non potendo il giuramento essere deferito per la parte del credito rimasta assolutamente sfornita di prova (Cass. civ., 26 gennaio 1982, n. 503).

Tale presupposto sostanziale per il deferimento del giuramento suppletorio, comunemente definitosemiplena probatio, costituisce, tuttavia,uno dei nodi maggiormente problematici dell'istituto in esame, essendo molto variegate le posizioni espresse sulla portata dello stesso in dottrina come in giurisprudenza. In termini generali vi è concordia sul rilievo per il quale la semiplena probatio deve comunque distinguersi sia dalla situazione di piena prova sia da quella di totale mancanza di prova sul fatto oggetto del deferito giuramento, sicché, in armonia con la natura di mezzo di prova sussidiario del giuramento suppletorio, la stessa deve porsi in rapporto di complementarietà con le altre prove le quali, sebbene esistenti ed efficaci, non devono avere consentito di raggiungere la piena prova del fatto controverso da accertare.

LA SEMIPLENA PROBATIO: OPINIONI A CONFRONTO

SEMIPLENA PROBATIO COME VEROSIMIGLIANZA DEL FATTO DA PROVARE

La semiplena probatio si identifica con la verosimiglianza del fatto da provare.

SEMIPLENA PROBATIO COME ARGOMENTO DI PROVA

La prova semipiena può desumersi anche da presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all'art. 2729 c.c., ovvero dal comportamento processuale delle parti e dalle risposte fornite dalle stesse in sede di interrogatorio libero (Cass. civ., 1° marzo 2001 n. 2939; Cass. civ., 20 giugno 1994 n. 5925).

SEMIPLENA PROBATIO SU PROVE VERE E PROPRIE

Il giuramento suppletorio non può costituire un elemento sostitutivo in toto ed ex officio della prova, il cui onere resta in capo alle parti, essendo invece un mezzo integrativo di prova per l'ipotesi di non certo convincimento da parte del giudice. Il concetto di semiplena probatio, pertanto, postula l'esistenza di autentiche prove rappresentative di fatti rilevanti, la valutazione delle quali lasci dubbi al giudice in ordine alla ricostruzione della vicenda controversa ed esclude, di contro, la valenza, a tal fine, di presunzioni prive dei requisiti di ammissibilità di cui all'art. 2729 c.c., del comportamento processuale delle parti e di altri non meglio definiti argomenti di prova (Cass. civ., 12 agosto 1982 n. 4593).

Ai fini del deferimento del giuramento suppletorio e della valutazione da parte del giudice della sussistenza di una situazione di semiplena probatio, è comunque necessario che siano maturate per le parti le preclusioni relative alla produzione di nuovi documenti ed all'indicazione di prove cd. costituende e che siano state espletate le prove eventualmente ammesse: la Suprema Corte ha affermato che, da un lato, il giuramento suppletorio come mezzo complementare e sussidiario nei confronti delle prove fornite dalle parti o comunque acquisite, è inammissibile nel caso in cui altri mezzi di prova siano stati richiesti a fondamento della domanda o dell'eccezione ed il giudice abbia omesso di provvedere su di essi (Cass. civ., 4 novembre 1993, n. 10941) e, da un altro, lo stesso non è ammissibile quando altri mezzi di prova a fondamento della domanda o dell'eccezione siano stati chiesti ed ammessi, ma non ancora assunti (Cass. civ., 6 marzo 1992, n. 2696).

Scelta della parte alla quale deferire il giuramento

L'art. 2736 n. 2 c.c. non indica i criteri che devono guidare il giudice nella scelta della parte alla quale deferire, in una situazione di semiplena probatio, la prestazione del giuramento suppletorio.

Secondo alcuni la scelta dovrebbe ricadere sulla parte più meritevole di fiducia, i.e. sulla parte che all'esito dell'istruttoria è apparsa al giudice maggiormente affidabile. Analogamente, in giurisprudenza si è osservato che la scelta della parte alla quale deferire la prestazione del giuramento suppletorio, pur attenendo al potere discrezionale del giudice di merito, deve avvenire nei confronti della parte maggiormente meritevole di fiducia, anche in considerazione del comportamento processuale della stessa (Cass. civ., 24 febbraio 1995, n. 2102).

Altri Autori collegano, invece, la scelta della parte alla quale va deferita la prestazione del giuramento alla regola dell'onere della prova, ritenendo che il giuramento andrebbe prestato dalla parte che non era onerata della prova e che, quindi, nell'ipotesi in cui non fosse stato deferito il giuramento, sarebbe risultata vittoriosa a causa delle carenze probatorie della controparte che era onerata di fornire, all'opposto, la dimostrazione dei fatti affermati in giudizio.

In dottrina appare comunque sia dominante l'opinione che individua la parte alla quale dovrebbe essere deferita la prestazione del giuramento suppletorio in quella che ha fornito la maggiore quantità di prova, ossia in quella delle parti, in ordine alla proclamazione processuale della quale sia andata formandosi, in forza delle prove raccolte, una convinzione favorevole, sebbene non compiutamente formulata.

Secondo la giurisprudenza tradizionale, tuttavia, la scelta della parte alla quale deferire il giuramento suppletorio non è vincolata da alcun criterio normativo e costituisce un apprezzamento in fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (v., tra le altre, Cass. civ., 24 febbraio 1995, n. 2102; Cass. civ., 2 febbraio 1995, n. 1257; Cass. civ., 7 febbraio 1986 n. 773).

Effetti della prestazione

L'art. 2738 del codice civile vigente stabilisce che, se è stato prestato il giuramento deferito o riferito, l'altra parte non è ammessa a provare il contrario, né può chiedere la revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso.

La formulazione generale della previsione normativa, che non specifica a quale tipo di giuramento si riferisce, giustifica l'opinione invalsa nella dottrina prevalente e pressoché pacifica in giurisprudenza per la quale, nell'assetto attuale, diversamente da quanto doveva ritenersi nella vigenza del c.c. del 1865, il giuramento suppletorio, una volta prestato, è pienamente conforme, sotto il profilo degli effetti, al giuramento decisorio, nel senso che riveste l'efficacia di una prova legale incontrovertibile (sul punto cfr., in sede di merito, Trib. Trani, 14 febbraio 2008).

In altre parole, la completa parificazione dell'efficacia probatoria, assoluta e preclusiva, del giuramento decisorio e del giuramento suppletorio, comporta che, una volta prestato il giuramento suppletorio, il giudice sia vincolato alle sue risultanze e debba prescindere da ogni altra valutazione (v. già Cass. civ., 8 agosto 1979, n. 4632).

Tuttavia, la valenza di prova incontrovertibile del giuramento suppletorio non impedisce al giudice di discostarsi dagli esiti della stessa, potendo ai sensi dell'art. 177 c.p.c. revocare e modificare, fino alla pronuncia della sentenza, le ordinanze pronunciate nel corso del processo.

Tale disposizione trova difatti applicazione, secondo la Suprema Corte, anche con riguardo all'ordinanza ammissiva del giuramento suppletorio, che può essere infattirevocata, ai sensi dell'art. 177 c.p.c., dallo stesso giudice che l'ha pronunciata qualora lo stesso, riesaminate le risultanze di causa, si convinca che non sussistevano le condizioni per la sua delazione (Cass. civ., 8 agosto 1990, n. 7990).

Sindacato da parte del giudice d'appello

Distinta questione è quella avente ad oggetto se ed entro quali limiti il giudice del gravame possa esercitare i poteri di revisione a sé attribuiti nei confronti delle risultanze del giuramento suppletorio sulla scorta delle quali sia stata emanata la decisione in primo grado.

In giurisprudenza è costante l'orientamento secondo cuiqualora il giudizio di primo grado sia stato definito in base alla prestazione del giuramento suppletorio, il giudice di appello, se investito della questione della sussistenza delle condizioni per il deferimento del giuramento ad una delle parti, è tenuto ad accertare la sussistenza dei relativi requisiti, procedendo alla valutazione del materiale probatorio raccolto prima della delazione del giuramento e, laddove pervenga al convincimento che gli elementi acquisiti risultino di per sé idonei alla decisione della vertenza, può pronunciare prescindendo dall'esito del giuramento (cfr., tra le tante, Cass. civ., 11 febbraio 2004, n. 2659; Cass. civ., 22 marzo 1994, n. 2715; Cass. civ., 19 marzo 1993, n. 3272; Cass. civ., 19 aprile 1988, n. 3074).

Secondo la giurisprudenza dominante, pertanto, il giudice d'appello può controllare se sussistevano in primo grado i requisiti di ammissibilità previsti dalla legge per il giuramento suppletorio purché sia investito della relativa questione, ivi compresa la sussistenza della condizione della semiplena probatio.

Riconosciuta la possibilità di un controllo in sede di gravame circa l'esistenza dei presupposti normativi per il deferimento del giuramento suppletorio, occorre esaminare, a questo punto, quale valore probatorio possa essere comunque attribuito a tale mezzo istruttorio, ove illegittimamente ammesso o esperito.

Secondo una parte della dottrina, infatti, il giudice di appello potrebbe revocare l'ordinanza mediante la quale era stata disposta in primo grado l'ammissione della prova avvenuta in contrasto con un divieto di legge, con la conseguenza che, caduto il provvedimento ammissivo, verrà meno anche il successivo atto di istruzione probatoria, che resterà privo di qualsivoglia efficacia.

La questione attiene, in sostanza, all'operatività del principio di acquisizione anche nel contesto ora in esame, principio secondo cui, in deroga al principio dispositivo, le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro e, quindi, senza che possa escludersi l'utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte (cfr. Cass. civ., 11 maggio 2007, n. 10847).

La soluzione, almeno secondo alcuni, dovrebbe allora essere individuata nell'attribuzione al giuramento suppletorio deferito in assenza dei presupposti previsti dalla legge dell'efficacia di prova liberamente valutabile dal giudice in luogo dell'efficacia di prova incontrovertibile derivante dall'art. 2738 c.c., anche sulla scorta del terzo co. di tale previsione in virtù del quale il giuramento è prova libera se prestato da alcuni soltanto dei litisconsorti.

Si è peraltro osservato in senso contrario che tale tesi non può trovare applicazione anche con riguardo al giuramento, il cui procedimento ammissivo è rigidamente vincolato dalla legge, talché se lo stesso non viene osservato nessuna efficacia probatoria può attribuirsi al medesimo: ne deriva, secondo tale impostazione interpretativa, che al giudice di appello sarà consentito decidere prescindendo dall'esito del giuramento stesso (Cass. civ., 22 marzo 1994, n. 2715).

Sindacato della Corte di cassazione

Di fondamentale importanza ai fini di una valutazione complessiva del giuramento suppletorio rispetto alla compatibilità dello stesso con i principi del giusto processo, è la questione relativa ai limiti del sindacato di legittimità in ordine alla scelta, in presenza dei presupposti normativi previsti dagli artt. 2736 ss. c.c., del giudice del merito di deferire il giuramento suppletorio: l'argomento appare invero particolarmente delicato in quanto è proprio la consistenza del controllo compiuto dalla Corte di cassazione a dover orientare l'interprete nel giudizio circa la compatibilità dell'istituto con i principi costituzionali, tradizionalmente posta in dubbio, anche prima della modifica dell'art. 111 Cost. ad opera della l. cost. 23 novembre 1999 n. 2, dalla dottrina più autorevole.

Occorre distinguere l'ipotesi di mancato deferimento del giuramento suppletorio, nonostante la relativa richiesta di parte, da quella in cui il giudice ha scelto di deferire ad una delle parti la prestazione del giuramento.

Infatti, con riguardo alla mancata delazione del giuramento suppletorio, la Suprema Corte è incline a ritenere che la stessa sia insindacabile in sede di legittimità, in quanto l'ammissione di tale mezzo di prova è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, come può ammetterlo anche in difetto di sollecitazione della parte, così è libero di non disporlo, anche in presenza delle condizioni previste dall'art. 2736 n. 2 c.c. e senza alcun obbligo di motivare il proprio rifiuto (v., tra le altre, Cass. civ., 16 maggio 2001, n. 6742; Cass. civ., 13 febbraio 2000, n. 1300; Cass. civ., 20 marzo 1980, n. 1853, in Giust. Civ., 1981, I, 1118, con nota di Bellu).

Diverse sono invece le posizioni espresse dalla Suprema Corte quanto alla latitudine del proprio sindacato in ordine all'avvenuto deferimento del giuramento suppletorio da parte del giudice di merito.

In particolare, secondo l'orientamento prevalente, l'apprezzamento del giudice di merito circa la sussistenza del requisito della semiplena probatio è un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità solo se sorretto da una motivazione razionale ed adeguata (cfr., tra le molte, Cass. civ., 10 marzo 2006, n. 5240; Cass. civ., 8 gennaio 2003, n. 101; Cass. civ., 2 febbraio 1995, n. 1257; Cass. civ., 1° giugno 1993, n. 6127).

La giurisprudenza dominante appare pertanto orientata a distinguere, circa la possibilità di un controllo in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c. sul deferimento del giuramento suppletorio, tra l'ipotesi di omessa delazione, anche a fronte della relativa sollecitazione di parte, e quella dell'avvenuto deferimento. A riguardo, si è in particolare osservato, infatti, che il giudice di merito che ritenga la causa giunta ad un stato di semiplena probatio ha la facoltà, ma non anche l'obbligo, di deferire il giuramento suppletorio ai sensi del disposto dell'art. 2736 n. 2 c.c., mentre alla parte che abbia assolto in modo insufficiente al proprio onere probatorio va riconosciuto, simmetricamente, non altro che un mero interesse di fatto a quel deferimento, talché dovrà ritenersi sindacabile soltanto la decisione positiva del giudice di ricorrere a tale mezzo istruttorio e solo limitatamente al profilo della adeguatezza e della correttezza logica della relativa motivazione in ordine alle circostanze della effettiva esistenza di una semiplena probatio e del maggior contenuto probatorio che si presume offerto dalla parte prescelta a prestare il giuramento (Cass. civ., 8 settembre 2006 n. 19270).

Per altra tesi – che tuttavia non ha avuto ulteriore seguito giurisprudenziale – la valutazione con cui sia stato disposto o negato il giuramento suppletorio, ovvero si sia proceduto alla revoca del giuramento suppletorio già disposto, è censurabile in cassazione come vizio di violazione di norme sul procedimento ai sensi del n. 4 dell'art. 360 c.p.c. sia quando una motivazione manchi, sia quando il giudice abbia giustificato l'esercizio del suo potere assumendo che il relativo presupposto non sia quello della semiplena probatio bensì diverso, sia quando la motivazione sia esplicitata ed il giudice abbia assunto a presupposto della conseguente decisione rispettivamente l'esistenza o meno di una situazione di semiplena probatio, attribuendo o negando tale natura alla situazione probatoria esistente nel giudizio in relazione alla fattispecie giudicata con una valutazione che risulti erronea secondo le categorie della logica generale o di quella giuridica pertinenti nella specie (Cass. civ., n. 16800/2008).

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