Nel pubblico impiego anche il patteggiamento può giustificare il licenziamento
01 Agosto 2019
Abstract. A norma degli artt. 445 e 653 c.p.p., come modificati dalla l. 27 marzo 2001, n. 97, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ha efficacia di giudicato – nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle pubbliche autorità, e quindi anche in quelli che riguardano i dipendenti della Pubblica Amministrazione – quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.
Inoltre, quando la contrattazione collettiva fa riferimento, per la graduazione delle sanzioni disciplinari a carico del pubblico dipendente, alla sussistenza, per i medesimi fatti, di sentenza di condanna penale, quest'ultima, in ragione del disposto dell'art. 653, c.p.p., come modificato dalla l. 27 marzo 2001, n. 97, deve presumersi riguardare anche il caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444, c.p.p.
Il caso. La Corte d'appello di L'Aquila ha rigettato il gravame proposto da un dipendente comunale avverso la sentenza del Tribunale di Pescara che aveva respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato nei confronti dello stesso a seguita della sentenza penale di patteggiamento per i reati di turbativa d'asta e corruzione pronunciata sempre dal Tribunale di Pescara, in sede penale. Il lavoratore aveva contestato l'efficacia di giudicato della sentenza di patteggiamento, nonché la proporzionalità della sanzione espulsiva sul presupposto che la contrattazione collettiva prevede il recesso nei casi di “sentenza passata in giudicato per gravi delitti commessi in servizio”. Il Collegio ha invece ritenuto di aderire all'orientamento secondo cui la sentenza di patteggiamento avrebbe avuto valore di giudicato sull'accertamento del fatto, la sua illiceità penale e sull'avvenuta commissione da parte dell'imputato, nonché all'ulteriore orientamento secondo cui, nell'usare l'espressione “sentenza di condanna”, la contrattazione collettiva poteva essere intesa come tale da riguardare anche la sentenza di patteggiamento.
La sentenza di patteggiamento ha valore di giudicato. La Suprema Corte ha ritenuto infondata la censura del lavoratore riproposta anche in quella sede. Infatti, secondo gli Ermellini l'assetto normativo è del tutto chiaro nello stabilire che, rispetto ai giudizi disciplinari presso le pubbliche autorità, la sentenza penale di condanna abbia efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (art. 653, comma 1-bis, c.p.p.). Il riferimento generico della norma ad una sentenza di condanna ed il fatto che l'art. 445, comma 1-bis, c.p.p. stabilisca che «salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna» rende testualmente ineludibile il riconoscimento del predetto effetto di giudicato. Per tale ragione, conclude la Cassazione, a fronte di tale chiaro orientamento normativo non vi è ragione di trasporre, sul piano disciplinare, distinguo e varianti fondate sulle caratteristiche intrinseche della sentenza di patteggiamento, che sono proprie dell'ambito penale inteso in senso stretto e nulla esclude che, a fini diversi da quelli penali in senso stretto, sia dato rilievo di giudicati all'applicazione della pena su richiesta.
Il licenziamento è dunque giustificato. Quanto alla proporzionalità della sanzione espulsiva, la Suprema Corte ha aderito all'interpretazione adottata dai giudici di secondo grado, che hanno fondato il proprio convincimento sul fatto che il CCNL, appunto, prevede il licenziamento per i casi di sentenza passata in giudicato per gravi delitti commessi in servizio. In proposito la Corte territoriale aveva fatto riferimento alla giurisprudenza secondo la quale, nell'interpretare il riferimento della contrattazione alla sentenza di condanna penale, si poteva ritenere che le parti sociali si fossero ispirate al comune sentire, che a questa associa la sentenza di patteggiamento. Peraltro, stante l'attuale disposto del citato art. 445, comma 1-bis ultima parte, qualora la contrattazione collettiva rinvii alla sentenza di condanna penale, deve presumersi che essa comprenda anche il patteggiamento, non potendosi ipotizzare che la contrattazione utilizzi la terminologia giuridica secondo significati diversi da quelli che secondo legge le sono propri. (Fonte Diritto e Giustizia) |