Pregiudiziale comunitaria

Andrea Giordano
05 Agosto 2019

Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 Tfue è il mezzo al fine dell'effettività del diritto unionale.
Inquadramento

Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 Tfue è il mezzo al fine dell'effettività del diritto unionale.

Il monopolio della Corte di Giustizia U.E. nell'interpretazione dei trattati (fermo restando il cd. obbligo di interpretazione conforme, gravante sui giudici nazionali) e nella declaratoria di validità degli atti di istituzioni, organi ed organismi (art. 267.1 Tfue) garantisce l'uniforme applicazione del diritto europeo; come la garantisce il meccanismo di raccordo con le giurisdizioni nazionali di cui ai successivi due paragrafi del richiamato disposto.

Alla base del trait d'union, istituito dall'art. 267 Tfue, tra giudici nazionali e Corte di Giustizia vi sono i principi che hanno forgiato l'ordinamento giuridico europeo (Weiler, 2403 ss.): quello dell'effetto diretto, che stabilisce la diretta efficacia del diritto unionale nell'ordinamento giuridico di ogni Stato membro (v. la sentenza C. Giust., 5 febbraio 1963, C-26/62, Van Gend & Loos), e quello della cd. supremazia, che ha consacrato la primauté del diritto europeo su quello nazionale (C. Giust., 15 luglio 1964, C-6/64, Costa c. Enel).

Se l'effetto diretto rende estremamente frequente l'insorgere di controversie sull'applicazione del diritto dell'Unione (Daniele, 393), la supremazia impone l'uniforme osservanza del diritto europeo in tutto il territorio dell'U.E., anche nell'ottica dell'uguaglianza degli Stati membri e dei cittadini (Fabbrini, 156), e l'attribuzione alla sola Corte di Giustizia del potere di annullare una norma di diritto europeo derivato (C. Giust., 22 ottobre 1987, C-314/85, Foto-Frost; ancora Fabbrini, 156: «[…] se una corte nazionale avesse l'autorità di annullare un atto dell'UE, l'effetto di quest'ultimo potrebbe variare da uno stato membro a un altro – mettendo a repentaglio l'uniforme rispetto del diritto europeo in tutti gli stati membri, e quindi la supremazia del diritto europeo sul diritto nazionale»).

Ai detti principi si aggiunge il canone di tutela giurisdizionale effettiva, di cui agli artt. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e 6.1 della C.e.d.u.: l'omesso rinvio pregiudiziale vulnera il diritto degli interessati ad un rimedio giurisdizionale effettivo o li distoglie dal loro giudice naturale (Daniele, 396).

Morfologia del rinvio e valore delle sentenze pregiudiziali

La rilevanza dei principi sottesi al meccanismo di cui all'art. 267 Tfue si coglie alla luce dell'atteggiarsi del rinvio e del valore delle sentenze della Corte di Giustizia.

Posto che l'oggetto del rinvio può appuntarsi nell'interpretazione di trattati ed atti delle istituzioni o nella validità degli atti (di istituzioni, organi ed organismi dell'Unione), e che la competenza pregiudiziale spetta ai soli organi giurisdizionali (v., sul punto, la recente C. Giust., 6 marzo 2018, C-284/16, Achmea), l'art. 267 dà cittadinanza ad un vero e proprio obbligo di rinvio, destinato a gravare sui giudici di ultima istanza.

Come dispone, infatti, il terzo comma del disposto, «quando una questione […] è sollevata in un giudizio pendente davanti ad un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte»; come prescrive la Corte di Giustizia, le deroghe all'obbligo – destinato a gravare anche sulle sezioni semplici che non condividano gli orientamenti definiti da decisioni dell'adunanza plenaria del medesimo organo giurisdizionale (v. C. Giust., 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica Facility Esco s.p.a.) – sono rigorosamente tassative.

Posto, anzitutto, che è sempre obbligatorio il rinvio ove ricorra una pregiudiziale di validità, non potendo il giudice nazionale autonomamente dichiarare l'invalidità di un atto dell'Unione, sono soltanto tre le ipotesi in cui è dato derogare alla obbligatorietà della pregiudiziale di interpretazione.

Al caso in cui la questione di diritto oggetto di rinvio non abbia influenza sulla causa di merito all'esame del giudice nazionale si aggiunge quello della “questione chiara” (ove la corretta applicazione del diritto unionale si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata) e della “questione già chiarita” (ove la questione sia materialmente identica ad altra, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia stata decisa in via pregiudiziale – C. Giust., 27 marzo 1963, cause riunite 28-30/62, Da Costa –, o la risposta da dare alle questioni risulti da una giurisprudenza costante della Corte che, indipendentemente dalla natura del procedimento in cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità tra le materie del contendere – C. Giust., 6 ottobre 1982, C-283/81, CILFIT).

E la stessa rigorosa lettura del concetto di “atto chiaro” manifesta, in controluce, la cogenza dei principi unionali sanciti sin dalla sentenza Van Gend & Loos.

La Corte di Giustizia ha, infatti, evidenziato che, prima di concludere nel senso che la questione è “chiara”, il giudice a quo è tenuto a compiere una serie di cumulativi accertamenti (più segnatamente, a verificare che la stessa soluzione si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte di Giustizia; a raffrontare le diverse versioni linguistiche delle norme dell'Unione; a tenere conto della non necessaria coincidenza tra il significato di una medesima nozione giuridica nel diritto dell'Unione e nel diritto interno; a ricollocare la norma dell'Unione nel suo contesto e alla luce delle sue finalità).

Lo stesso rinvio facoltativo, destinato ad operare in relazione agli organi non di ultima istanza, si colora di doverosità, non solo in tutti i casi di pregiudiziale di validità (C. Giust., 22 ottobre 1987, C-314/85, Foto-Frost, nonché, più di recente, C. Giust., 6 ottobre 2015, C-362/14, Schrems), ma anche ove comunque consti il requisito dell'assenza di chiarezza sull'interpretazione ed applicazione di una norma dell'Unione (cd. necessità del rinvio) e quello della pertinenza della quaestio con l'oggetto della controversia pendente (cd. rilevanza della questione).

Ciò si desume dal rilievo – fatto proprio dalla più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia – per cui opererebbe una presunzione di rilevanza delle questioni oggetto del rinvio (C. Giust., 8 settembre 2015, C-105/2014, Taricco) e dal più generale orientamento per cui il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sarebbe possibile «solo qualora risulti manifestamente che l'interpretazione richiesta del diritto dell'Unione non ha alcuna relazione con la realtà o con l'oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le sono sottoposte» (Corte Giust., 23 gennaio 2014, C-164/12, DMC Beteiligungsgesellschaft mbH).

La pregnanza dei principi si coglie, poi, in relazione al peculiare valore delle sentenze pregiudiziali.

Queste ultime hanno, infatti, un effetto vincolante nei confronti del giudice interno, tenuto a decidere la controversia, nel cui ambito ha disposto il rinvio, sulla base delle statuizioni della Corte.

E vi è di più. La giurisprudenza comunitaria sottolinea l'attitudine dei dicta emessi ex art. 267 Tfue ad assumere un valore generale, destinato a trascendere i confini della controversia che ha dato origine al rinvio. Cosa che, nelle pregiudiziali di validità, comporta che non solo il giudice a quo, ma anche ogni altro decidente sia tenuto a considerare invalido l'atto dichiarato tale dalla Corte di Giustizia.

Alla generale vincolatività degli effetti delle sentenze pregiudiziali si aggiunge la loro portata retroattiva, sacrificabile soltanto sull'altare dei principi di certezza ed affidamento legittimo (C. Giust., 10 novembre 2016, cause riunite 452-477/16, Openbaar Ministerie: «solo in via eccezionale […] applicando il principio generale della certezza del diritto intrinseco all'ordinamento giuridico dell'Unione [la Corte] può essere indotta a limitare – dal punto di vista temporale – la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, cioè la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti»).

Il dialogo tra Corti

I principi condizionano le interazioni del rimedio con la questione di costituzionalità.

Alla stregua di un consolidato indirizzo, si è, infatti, sostenuto che, quando il giudice comune ritenga di doversi rivolgere sia alla Corte costituzionale sia alla Corte di Giustizia, debba prioritariamente adire quest'ultima, sottoponendo al suo esame la questione di interpretazione o validità; e che, solo all'esito della decisione della Corte di Lussemburgo, gli sia dato rimettere la questione alla Consulta, ove stimi il rinvio ancora necessario (c.d. “doppia pregiudiziale”).

Se è vero che – con un obiter dictum – la Corte costituzionale ha statuito che «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, [deve] essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del TFUE» (Cortecost., 14 dicembre 2017, n. 269), la Corte di Giustizia appare ferma nel sancire la doverosità e – almeno tendenziale – priorità del rinvio ex art. 267Tfue (C. Giust., 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet Ltd:«Occorre ricordare che un giudice nazionale investito di una controversia concernente il diritto dell'Unione, il quale ritenga che una norma nazionale sia non soltanto contraria a tale diritto, ma anche inficiata da vizi di costituzionalità, non è privato della facoltà o dispensato dall'obbligo, previsti dall'articolo 267 Tfue, di sottoporre alla Corte questioni relative all'interpretazione o alla validità del diritto dell'Unione per il fatto che la constatazione dell'incostituzionalità di una norma di diritto nazionale è subordinata ad un ricorso obbligatorio dinanzi ad una corte costituzionale. Infatti, l'efficacia del diritto dell'Unione rischierebbe di essere compromessa se l'esistenza di un ricorso obbligatorio dinanzi ad una corte costituzionale potesse impedire al giudice nazionale, investito di una controversia disciplinata dal suddetto diritto, di esercitare la facoltà, attribuitagli dall'articolo 267 Tfue, di sottoporre alla Corte le questioni vertenti sull'interpretazione o sulla validità del diritto dell'Unione, al fine di permettergli di stabilire se una norma nazionale sia compatibile o no con quest'ultimo») e la stessa Consulta ha, più di recente, ribadito che sono fatti salvi il potere (-dovere) del giudice comune di compiere il rinvio pregiudiziale su ogni questione ritenuta necessaria (Cortecost., 21 febbraio 2019, n. 20: «Resta fermo che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria. In generale, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE rispetto a quelle della Costituzione italiana genera, del resto, un concorso di rimedi giurisdizionali, arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione»), il dovere – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (Cortecost., 21 marzo 2019, n. 63), il potere (-dovere) della stessa Corte costituzionale di avviare il dialogo con la Corte di Giustizia, ove la disposizione censurata violi le garanzie riconosciute, al tempo stesso, dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali e ciò sia necessario per chiarire il significato e gli effetti delle norme di quest'ultima (Corte cost., 10 maggio 2019, n. 117).

Quanto detto vale altresì in relazione alle, potenziali, interazioni del Tfue con il protocollo n. 16 alla Cedu, secondo cui «Le più alte giurisdizioni di un'Alta Parte contraente […] possono presentare alla Corte delle richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all'interpretazione o all'applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli» (v., in tema, Conti, Pollicino, Ruggeri).

Posto che le interferenze potranno verificarsi solo in relazione alle ultime istanze (v. il riferimento alle “più alte giurisdizioni), dallo stesso tenore del Protocollo – allo stato non ratificato in Italia – deriva la mera facoltatività del rinvio alla Corte di Strasburgo, legittimata a fornire advisory opinions non vincolanti; mentre la pregiudiziale ex art. 267 Tfue è, nelle ipotesi di cui all'art. 267.3 Tfue (coincidenti, come sembra, con il campo applicativo del Protocollo n. 16), oggetto di un vero e proprio obbligo, tale da assicurare alla “pregiudiziale comunitaria” una posizione di – almeno tendenziale – preminenza.

Va, tuttavia, da sé che l'articolata rosa delle fonti del diritto ed il conseguente sistema ‘multilivello' delle tutele rendano opportuno un coordinamento tra i meccanismi di rinvio, anche in forza di comuni protocolli; non solo al fine di salvaguardare il principio unionale di primazia, ma anche di preservare quella garanzia di certezza di cui si nutre l'universale grammatica dei diritti della persona.

Riferimenti
  • Civitarese Matteucci, Obbligo di interpretazione conforme al diritto Ue e principio di autonomia procedurale in relazione al diritto amministrativo nazionale, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 6, 2014, 1175 ss.;
  • Chiti, Il rinvio pregiudiziale tra diritto processuale nazionale ed europeo: come custodire i custodi dagli abusi del diritto di difesa?, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2012, 745 e ss.;
  • Conti, La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d'orchestra per una nomofilachia europea, in Consulta Online, 2014;
  • Daniele, Diritto dell'Unione Europea, Milano, 2018;
  • Fabbrini, Introduzione al diritto dell'Unione europea, Bologna, 2018;
  • Giordano R., Giurisdizione europea e nazionale sui diritti umani. Profili processuali, Roma, 2012;
  • Maltoni, Il “vincolo” al precedente dell'Adunanza plenaria ex art. 99, comma 3 c.p.a. e il rispetto dei principi costituzionali, in Foro amm., 1, 2015, 137 ss.;
  • Palladino, Portata dell'obbligo di rinvio pregiudiziale, rapporti tra giurisdizioni ed effettività del diritto dell'Unione europea tra vecchie e nuove questioni, in Federalismi, 2017;
  • Pignatelli, L'obbligatorietà del rinvio pregiudiziale tra primato del diritto comunitario e autonomia processuale degli Stati, in Foro it., 2012, III, 367 e ss.
  • Pollicino, La Corte costituzionale è una “alta giurisdizione nazionale” ai fini della richiesta di parere alla Corte EDU ex Protocollo 16?, in www.forumcostituzionale.it, 2014;
  • Romboli, Corte di Giustizia e giudici nazionali: il rinvio pregiudiziale come strumento di dialogo, in Rivista AIC, 3, 2014, 1 e ss.;
  • Ruggeri, Ragionando sui possibili sviluppi dei rapporti tra le corti europee e i giudici nazionali (con specifico riguardo all'adesione dell'Unione alla CEDU e all'entrata in vigore del Prot. 16), in Rivista AIC, 1, 2014;
  • Weiler, The transformation of Europe, in Yale Law Journal, 1991, 2403 ss.