La Cassazione sull’illegittima imposizione di servitù dice no alla compensatio se l’incremento patrimoniale deriva da fatti estranei alla condotta illecita

Redazione Scientifica
26 Agosto 2019

Il principio della compensatio lucri cum damno opera solo quando il vantaggio economico è arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno e non quando lo stesso deriva da circostanze del tutto estranee alla condotta del danneggiante.

IL CASO Un uomo si rivolge al Tribunale di Fermo denunciando che sul proprio fondo insisteva una condotta fognaria abusiva a servizio dell'immobile di proprietà dei convenuti e chiede di accertare la inesistenza della relativa servitù, di rimuovere il manufatto e di essere risarcito dei danni. In via riconvenzionale, i convenuti domandano la costituzione coattiva della servitù. Il Giudice di prime cure condanna i convenuti alla rimozione della condotta fognaria ed al risarcimento dei danni liquidati in € 20.000,00. La Corte d'Appello di Ancona conferma il rigetto della domanda degli appellanti di e accoglie l'appello sul punto della condanna risarcitoria disposto dal primo giudice dichiarando che la permanente perdita di valore del fondo, considerata dal CTU per la inutilizzabilità dello stesso a fine edificatori, e posta a base del risarcimento accordato dal Tribunale, era comunque venuta meno in conseguenza dell'ordinata rimozione della conduttura fognaria. Inoltre, lo stesso danneggiato aveva ammesso nella memoria di replica del giudizio di appello che la destinazione urbanistica del proprio fondo era di recente mutata da zona residenziale estensiva a case semplici e doppie, con conseguente incremento del valore di mercato dell'immobile, all'attualità utilizzabile per fini edificatori con maggior profitto rispetto al periodo di occupazione con la conduttura fognaria.


Il danneggiato ricorre dunque in Cassazione deducendo che, una volta accolta l'azione negatoria proposta e accertata l'inesistenza della servitù illegittimamente esercitata dalle controparti, non poteva non discendere la condanna in re ipsa del risarcimento dei danni, atteso il concreto pregiudizio patrimoniale subìto medio tempore dal proprietario del fondo gravato. La Corte di Appello avrebbe potuto piuttosto procedere ad una liquidazione equitativa dei danni, essendo certo l'an debeatur.

Il danneggiato censura infine l'omessa od insufficiente motivazione del provvedimento impugnato circa punti decisivi della controversia, evidenziando come la propria domanda proposta in primo grado avesse ben dedotto la mancata piena utilizzazione del fondo dal 1995 al 2014 -dovuta la presenza della condotta fognaria abusiva- e precisando che anche dalla documentazione del fascicolo di parte del primo grado era evidente la avvenuta perdita di occasioni di vendita del terreno, con particolare riferimento ad una trattativa instaurata con un'impresa che però naufragava proprio a causa della presenza della condotta fognaria.

I PRECEDENTI DI LEGITTIMITÀ: DANNO IN RE IPSA La Suprema Corte ricorda di aver più volte sostenuto che il proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento del vicino diretta a limitare tale uso e godimento costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene e legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica, mediante cessazione di tale turbativa ed il ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, ma anche il risarcimento dei danni, sovente considerati in re ipsa, perchè automatica conseguenza della limitazione del godimento e della diminuzione temporanea del valore della proprietà, senza la necessità di una specifica attività probatoria, salva concreta determinazione del danno stesso in sede di liquidazione, cui eventualmente procedere anche in via equitativa. Così, l'azione risarcitoria si dice volta a porre rimedio alla imposizione di una servitù di fatto, causa di una perdita di valore del fondo inevitabile, che si produce fino all'eliminazione dell'abuso.

NEGATA ASTRATTA RISARCIBILITÀ IN RE IPSA DEI DANNI PATRIMONIALI La Suprema Corte ricorda anche che, parallelamente all'analogo percorso seguito per i danni non patrimoniali, alcuni precedenti negano la astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene, affermando la necessaria correlazione della medesima risarcibilità a rapporto causale intercorrente tra la condotta materiale, l'evento lesivo e la conseguenza dannosa.

Identiche risulterebbero le esigenze di prova sia per l'an che per il quantum del danno non patrimoniale e patrimoniale.


ALLEGAZIONE DEI FATTI A prescindere dalla configurabilità di un danno in re ipsa subìto dal proprietario per la indisponibilità della cosa, si riconosce comunque all'interessato la facoltà di darne prova mediante ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio, onerando lo stesso di indicare tutti gli elementi e le modalità e le circostanze della situazione da cui possa desumersi l'esistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subìto.

Il danno patrimoniale correlato alla limitazione del godimento e dalla diminuzione temporanea del valore della proprietà imporrebbe, così quantomeno la allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di impiegare l'immobile per finalità produttive nel periodo della sua illegittima occupazione, atteso che il consentito utilizzo in materia delle presunzioni attiene all'attività probatoria e non anche a quella assertiva.


COMPENSAZIONE ARBITRARIA DELLA CORTE D'APPELLO Nella fattispecie concreta il danneggiato aveva allegato di aver tentato una utilizzazione a fini edificatori del proprio fondo nel corso del periodo della abusiva imposizione della servitù di scarico fognario ma che la Corte di Appello era pervenuta alla conclusione di escludere il risarcimento dei danni considerando che, nel corso degli anni, il Comune aveva mutato la destinazione urbanistica del terreno con conseguente incremento del valore di mercato dell'immobile. La Corte ritiene che la corte territoriale abbia operato una arbitraria compensazione tra il danno, eventualmente prodotto dalla abusiva in posizione della servitù per l'intero periodo di tempo anteriore alla eliminazione dell'abuso, ed il vantaggio, che il proprietario del fondo gravato aveva ricavato dal mutamento della destinazione urbanistica del terreno.

PRINCIPIO DELLA COMPENSATIO La Corte ricorda dunque che «in tema di risarcimento del danno per fatto illecito, il principio della compensazione tra lucro e danno opera solo quando il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno, cioè quando l'incremento patrimoniale che il danneggiato ottiene sia una conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito che cagiona il danno, ma non anche quando il vantaggio derivi da circostanze del tutto estranee alla condotta del danneggiante» (Cass. civ., sez. I, 9 marzo 2018 n. 5841).

PRINCIPIO DI DIRITTO In conclusione, la Suprema Corte enuncia il principio di diritto secondo cui: «in ipotesi di illegittima imposizione di una servitù, al proprietario del fondo gravato può riconoscersi il risarcimento del danno-conseguenza che egli subisce per l'intero periodo di tempo anteriore all'eliminazione dell'abuso e che consiste nella limitazione del godimento e nella diminuzione temporanea del valore della proprietà del bene, senza che rilevi, al fine di compensare il danno, il vantaggio economico correlato al mutamento della destinazione urbanistica del terreno intervenuto medio tempore, trattandosi di incremento patrimoniale che non deriva dal comportamento illecito causa del danno ma da circostanze ad esso del tutto estraneo».

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