Il procedimento sommario di cognizione si applica nelle controversie locatizie?
27 Agosto 2019
Il quadro normativo
L'art. 447-bis c.p.c. prevede che le controversie locatizie devono essere trattate con il modello derivato dal rito del lavoro, laddove afferma chiaramente che le controversie in materia di locazione e di comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende sono disciplinate dagli artt. 414, 415, 416, 417, 418, 419, 420, 421, comma 1, 422, 423, comma 1 e 3, 424, 425, 426, 427, 428, 429, comma 1 e 2, 430, 433, 434, 435, 436, 436 bis, 437, 438, 439, 440, 441, in quanto applicabili. Conseguentemente, sia in dottrina che in giurisprudenza, è emersa la questione riguardante l'applicabilità del rito sommario di cognizione previsto dall'art. 702-bis c.p.c. ai procedimenti assoggettati al rito del lavoro, o, comunque modellati su quest'ultimo, come appunto dispone l'art. 447-bis c.p.c., che come precisato, riferendosi alle controversie locatizie indica espressamente quali norme del rito laburistico trovano applicazione (la giurisprudenza ha precisato che nell'ampia nozione di cause relative a rapporti di locazione di immobili urbani, soggette al rito speciale di cui all'art. 447-bis c.p.c., sono da ricomprendere tutte le controversie comunque riferibili ad un contratto di locazione, che attengano, cioè, non solo alla sua esistenza, validità ed efficacia, ma altresì a tutte le altre possibili sue vicende, e segnatamente, a quelle che involgano l'adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto in base alla disciplina codicistica o a quella di settore della legislazione speciale, v. Cass. civ., sez. III, 3 aprile 2013, n.8114). Alla tesi volta ad affermare la sua applicabilità in considerazione della portata generale del rito sommario di cognizione per tutti i procedimenti di competenza del Tribunale in composizione monocratica, si è preferita la tesi negativa fondata sull'incompatibilità, per ragioni di carattere letterale e sistematico, non prevedendo l'art. 702-ter c.p.c., nella parte in cui dispone la conversione del rito da sommario in ordinario ove il giudice ritenga necessaria una istruttoria non sommaria, a tale fine prevedendo la fissazione dell'udienza ex art. 183 c.p.c. propria del rito a cognizione ordinaria, e in quanto tale, estranea al rito lavoristico ed utilitaristiche, atteso che il rito speciale del lavoro su cui è modellato quello locatizio, offre già ampie garanzie di celerità che di fatto, possono renderlo preferibile al rito sommario. Sull'ammissibilità della trattazione con il procedimento sommario di cognizione delle controversie locatizie la giurisprudenza di merito si è divisa tra favorevoli (Trib. Fasano, 4 luglio 2010;Trib. Lamezia Terme 12 marzo 2010; Trib. Napoli 25 maggio 2010; Trib. Sulmona 6 ottobre 2010) e contrari (Trib. Reggio Calabria 17 novembre 2015; Trib. Torino 29 agosto 2014, in cui si precisa che costituendo il procedimento sommario di cognizione il modello di un rito speciale alternativo a quello ordinario, sarebbe esclusa la sua applicabilità ad altri procedimenti, già regolati da un rito a sua volta speciale rispetto a quest'ultimo, come appunto, il rito locatizio; Trib. Torre Annunziata 24 marzo 2014, 2014, 460; Trib. Modena 17 gennaio 2013, che ribadisce la non praticabilità del mutamento del rito, stante l'inapplicabilità analogica di una disposizione speciale in materia, quale deve ritenersi quella dettata dal procedimento sommario di cognizione in tema di mutamento del rito ex art. 702-ter, comma 3, c.p.c., ragione per cui la naturale conseguenza scaturente dall'errata scelta del rito consiste nella chiusura anticipata del processo con una declaratoria in rito, essendo ammesso il mutamento di esso unicamente nell'ipotesi in cui il fenomeno sia espressamente previsto dalla legge. V., altresì, Trib. Latina 3 marzo 2011; Trib. Torre del Greco, 10 febbraio 2010; Trib. Modena 18 gennaio 2010; App. Lecce 16 dicembre 2010). Gli orientamenti formatisi in dottrina e giurisprudenza: le ragioni del dissenso riferite all'applicazione del rito sommario in luogo di quello laburistico
Il rito sommario di cognizione, proprio perché alternativo ma concorrente con il rito ordinario, pone il problema della sua applicabilità anche alle controversie soggette al rito del lavoro, sulla cui scorta si è sostenuto che tale procedimento non potrebbe applicarsi alle controversie assoggettate ad un rito speciale che non concorre ma sostituisce il rito ordinario, a differenza di coloro che invece lo ritengono applicabile anche alle controversie soggette al rito del lavoro (Consolo). Il rito del lavoro sul quale è modellato il rito locatizio, non è un procedimento la cui applicazione può ritenersi facoltativa, atteso che chiunque intenda intraprendere una causa per la quale è prevista ex lege l'applicazione di tale rito, è tenuto ad instaurarla nel rispetto delle forme previste dallo stesso rito individuato a priori dal legislatore (Volpino). In dottrina (Cataldi) si è quindi osservato che nel capo I del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, dedicato alle disposizioni generali, gli artt. 2 e 3, introducono le disposizioni comuni, rispettivamente, alle controversie che, ai sensi del successivo capo II, sono regolate dal rito del lavoro, e, ai sensi del successivo capo III, sono sottoposte al rito sommario di cognizione, ma contengono delle significative differenze rispetto al procedimento di cui agli artt. 409 ss. c.p.c. ed a quello di cui agli artt. da 702-bis a 702-quaterc.p.c., pertanto, i modelli di rito del lavoro e di rito sommario di cognizione che costituiscono la cornice procedimentale comune alle varie categorie di controversie elencate nel decreto legislativo delegato sono già, almeno in parte, difformi, rispetto ai loro archetipi disciplinati nel codice di rito. Secondo un orientamento emerso nella giurisprudenza di merito, il rito sommario di cognizione potrebbe trovare applicazione anche per le controversie nelle quali diversamente dovrebbe trovare applicazione il rito del lavoro ex art. 447-bis c.p.c. (Trib. Lamezia Terme 12 marzo 2010, cit.), in quanto da un lato, il comma 2 dell'art.702-ter c.p.c. subordina la dichiarazione di ammissibilità della domanda alla ricorrenza della condizione di cui all'art. 702-bis, comma 1, c.p.c., il quale si limita a stabilire che il rito sommario di cognizione è precluso per le cause che rientrano nella competenza decisoria del collegio, indipendentemente dal rito prescritto, e, dall'altro, il rito sommario di cognizione è stato introdotto dal legislatore come un rito alternativo al rito ordinario di cognizione ed al rito speciale delle cause di lavoro ed assimilabili, come quelle in materia locatizia. Al riguardo si è obiettato che il procedimento sommario di cognizione non si applica al rito speciale del lavoro previsto dall'art.447-bis c.p.c. per la materia locatizia, in quanto dal dettato degli artt.702bis, ter e quater c.p.c. il procedimento sommario di cognizione funge da alternativa al solo processo di cognizione al quale si torna tutte le volte in cui “le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria”ex art.702-ter, comma 3, c.p.c. in virtù dell'esplicito riferimento all'udienza prevista dall'art.183 c.p.c., in quanto, tale riferimento non consentirebbe alcuna interpretazione e/o richiamo, anche implicito, alla differente procedura prevista per il rito del lavoro dall'art.420 c.p.c. (Trib. Reggio Calabria 17 novembre 2015, cit.). Tuttavia, si è anche osservato come sebbene la ratio di introdurre un rito sommario, è chiaramente finalizzata alla velocizzazione dei procedimenti civili, anche il rito del lavoro utilizzato nelle controversie locatizie, è strutturato come rito veloce, sebbene con una importante differenza di fondo nelle modalità di assunzione dell'istruttoria: cognizione sommaria nel rito di cui all'art. 702-bis c.p.c. ed a cognizione piena nel rito di cui all'art. 447-bis c.p.c. In ordine a tale aspetto specificamente considerato, si è quindi evidenziato come benché il rito speciale del lavoro sia connotato dai caratteri della speditezza e celerità, il rito sommario di cognizione si fonda sull'autonomo presupposto della sufficienza di un'istruttoria sommaria, che già alla prima udienza garantisce una trattazione della causa ancora più snella e deformalizzata, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, essendo rimessa all'opportunità del giudice l'assunzione degli atti di istruzione rilevanti, e, soprattutto, una definizione del giudizio con modalità più elastiche e semplificate conseguenti alla possibilità di decidere la controversia con ordinanza. In ciò è stato ravvisato un'ulteriore punto a sfavore nell'applicabilità del rito sommario di cognizione alle controversie locatizie, posto che nei processi soggetti al rito del lavoro sono individuabili specifiche preclusioni istruttorie che maturano sin dalla costituzione in giudizio delle parti, non riscontrabili nel procedimento sommario di cognizione, nel quale le deduzioni istruttorie e la produzione documentale può avvenire, teoricamente, anche in occasione della prima udienza. Infatti, sotto tale aspetto, il procedimento sommario non sembra sempre capace di garantire una celerità maggiore di quella assicurata dal rito del lavoro sia perché nel procedimento sommario l'indicazione negli atti introduttivi dei mezzi di prova di cui le parti intendono avvalersi e dei documenti offerti in comunicazione non è prevista a pena di decadenza, sia perché il richiedere per l'ammissione di nuove prove e documenti nel giudizio di gravame il requisito della mera “rilevanza” ex art. 702-quater c.p.c. - in luogo di quello della “indispensabilità” richiesta ex art. 437, comma 2, c.p.c. - può tradursi in un prolungamento dei tempi del processo, in quanto la maggiore ampiezza della formula usata trova la sua logica giustificazione nella istruttoria deformalizzata di cui all'art. 702-bis c.p.c. che può lasciare fuori dal giudizio di primo grado prove che sarebbe utile ammettere (App. Reggio Calabria 1 marzo 2012). Non sarebbe, quindi, consentita un'interferenza del procedimento sommario di cognizione con i riti speciali di cognizione contrassegnati, come il rito del lavoro, da una concentrazione processuale od una ufficiosità dell'istruzione, in quanto, entrambi sono espressamente considerati come modelli alternativi l'uno all'altro dal d.lgs. 1 settembre 2011, n.150, sulla semplificazione dei riti, in piena coerenza con i criteri e principi direttivi posti dalla legge delega. Il procedimento sommario di cognizione infatti è posto come modello per le controversie di maggiore speditezza e ad esso, pertanto, sono ricondotti i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, mentre il rito del lavoro è indicato come modello dei procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell'istruzione, fermo restando la natura di procedimento tecnicamente a cognizione piena e non sommaria dello stesso. Conseguentemente, sul piano della compatibilità logico-giuridica si è obiettato che la sommarietà del rito potrebbe non trovare un'adeguata giustificazione in un procedimento che concentra tutte le difese, preclusioni e deduzioni istruttorie nell'atto introduttivo ed in quello di costituzione (Trib. Rovigo, sez. dist. Adria, 21 maggio 2013). La stessa giurisprudenza favorevole all'applicazione del rito sommario alle controversie locatizie ha precisato che la possibilità di un'istruzione “sommaria” deve essere intesa non già come istruttoria “superficiale”, come tale non compatibile con un sistema giudiziario di accertamento delle pretese azionate, tanto più in ragione dell'efficacia e del regime impugnatorio dell'ordinanza conclusiva che definisce il giudizio di primo grado, anche in ordine alle spese del procedimento, bensì - più propriamente - come istruttoria “marginale”, “snella” e “veloce”, in cui, la marginalità dell'istruttoria deve essere ravvisata quando appaiono prevalenti le questioni in diritto sollevate dalle parti ovvero quando assume una valenza assorbente la prova precostituita documentale ex art. 187, comma 1, c.p.c. In definitiva, secondo tale impostazione, la marginalità dell'istruttoria dovrà essere valutata rispetto ai mezzi di prova costituendi richiesti dalle parti, in confronto alle questioni in diritto sollevate ed ai documenti prodotti dalle medesime, ragione per cui, quando le questioni giuridiche e non in fatto e/o quando i documenti prodotti costituiscano gli aspetti assorbenti e/o prevalenti per la decisione, nel senso che da essi possano trarsi spunti determinanti per la ricostruzione della fattispecie ovvero per la dimostrazione dei fatti costitutivi, impeditivi, estintivi e modificativi ex art. 2697 c.c. del diritto fatto valere in giudizio, ricorrono le condizioni perché l'attivazione del rito sommario instaurato possa essere avvalorata. Pertanto, non è la complessità delle questioni poste, sul piano teleologico, ad inibire la decisione con il rito sommario bensì, sul piano meramente strumentale, il momento concernente la formazione della prova, ancora in divenire, rispetto alle tesi difensive propugnate, le quali devono risultare scoperte di supporto dimostrativo ed esigenti detto supporto, atteso che qualora invece la complessità delle questioni, intesa come obiettiva difficoltà della loro risoluzione, in guisa della singolarità della ricostruzione della fattispecie ovvero dell'esistenza di significativi contrasti giurisprudenziali, eventualmente poste dalle parti siano definibili allo stato degli atti, ovvero attraverso un'attività istruttoria di mero contorno, possono ritenersi sussistenti i presupposti per l'adozione del rito sommario (Trib. Lamezia Terme 12 marzo 2010, cit.). Di contro, secondo la tesi maggioritaria, deve escludersi la percorribilità del procedimento sommario nell'ipotesi di giudizi assoggettati dalla legge a riti speciali da ricorso, poiché tali riti speciali sono connotati da peculiarità tali, quanto ai poteri officiosi attribuiti al giudice ed alle caratteristiche della fase decisoria, che sarebbe in concreto inutile applicare, in omaggio al generale principio della ragionevole durata del processo, ai medesimi la destrutturazione propria del rito sommario (Trib. Modena 18 gennaio 2010) ed inoltre perchè osta ad una differente soluzione la stessa formulazione letterale dell'art. 702-ter c.p.c. nella parte in cui prevede, a seguito del mutamento del rito da parte del giudice, laddove non sia possibile provvedere mediante un'istruttoria sommaria, quale unica alternativa quella del procedimento ordinario di cognizione, dovendosi rinviare all'udienza di trattazione di cui all'art. 183 c.p.c. Quid juris in ordine alle conseguenze derivanti dall'introduzione di una controversia locatizia con il rito sbagliato?
La giurisprudenza di merito, insieme alla prevalente dottrina, è divisa in due filoni in ordine alla pronuncia da assumere nell'ipotesi in cui una causa da trattarsi nelle forme del rito speciale del lavoro sia introdotta con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., atteso che, secondo un primo orientamento, la domanda andrebbe dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 702-ter, comma 2, c.p.c. (così Trib. Torino 29 agosto 2014, cit.; Trib. Modena 18 gennaio 2010), mentre secondo altro orientamento andrebbe pronunciata ordinanza di mutamento del rito, ai sensi dell'art. 426 c.p.c. (così Trib. Catanzaro 16 novembre 2009; Trib. Torre Annunziata 10 febbraio 2010; Trib. Latina 3 marzo 2011; Trib. Mantova 7 giugno 2012). In conclusione
Secondo il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, il procedimento sommario di cognizione di cui all'art. 702 bis c.p.c. non è applicabile anche alle controversie assoggettate al rito del lavoro od a quello speciale previsto dall'art. 447-bis c.p.c. in materia di locazione o di comodato di immobili urbani. In ogni caso, è stato autorevolmente affermato il principio di diritto secondo cui la trattazione da parte del giudice adìto della controversia con un rito diverso da quello previsto non determina alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall'adozione di un rito diverso le sia derivata una lesione del diritto di difesa (Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2012, n.1201).
*Fonte: www.condominioelocazione.it |