La responsabilità solidale degli eredi per le obbligazioni tributarie del defunto e i risvolti nel contenzioso

Andrea Passini
11 Settembre 2019

La morte di una persona ha indubbi risvolti personali, ma determina anche effetti fiscali che possono determinare diverse problematiche nel caso in cui il defunto fosse debitore di imposte o tasse e/o fosse stato in vita destinatario di atti di contestazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria. Gli eredi possono diventare responsabili per il pagamento dei debiti tributari facenti capo allo stesso, per cui è bene esaminare, nei vari atti di contestazione, come essi ne sono coinvolti e se vi è la possibilità di evitare il coinvolgimento dei loro beni personali.
Quali sono gli eredi chiamati a rispondere delle obbligazioni tributarie del defunto?

In seguito all'evento morte, alcune persone individuate dalla legge o indicate per testamento, sono "chiamate" a subentrare nelle posizioni attive (crediti, beni, partecipazioni, ecc.) e passive (debiti) in precedenza riferibili al de cuius (c.d. fase di “vocazione”).

A tali soggetti viene “offerta” l'eredità (c.d. fase di delazione ex art. 457 c.c.).

La vocazione rappresenta il titolo (testamentario o legale) in forza del quale avviene la delazione.

Il chiamato all'eredità non acquisisce la qualità di erede con la semplice “chiamata”, ma deve procedere anche con "l'accettazione".

Nel momento in cui accetta, diventa erede e non dalla data dell'atto giuridico che attesta la sua accettazione, ma retroattivamente dal momento di apertura della successione, in modo tale che non si verifichi alcuna soluzione di continuità con il de cuius. Se l'efficacia fosse rinviata al momento dell'accettazione, del resto, si avrebbe un periodo di “sospensione” che potrebbe pregiudicare i diritti dei creditori del defunto o quelli degli eredi medesimi.

È chiaro, quindi, che il “chiamato all'eredità” non acquisisce la qualità dell'erede fino al momento della sua accettazione; il chiamato potrebbe “abusare” del proprio diritto di decidere e procrastinare a lungo la propria scelta. Questa situazione potrebbe determinare situazioni di incertezza nella normativa fiscale, caratterizzata da termini e scadenze perentori. Per tale ragione il “chiamato all'eredità” potrebbe essere oggetto di notifica di un atto impositivo riferibile al defunto venendo così ad essere gravato di una pretesa impositiva relativa ad una persona per la quale non è ancora sorto il presupposto soggettivo (costituito dalla qualifica di “erede”).

In assenza di accettazione dell'eredità, il chiamato non ha alcuna relazione con il de cuius e non risponde delle obbligazioni in capo allo stesso. L'accettazione è, in sintesi, l'atto che permette all'ente impositore di avviare la propria pretesa nei confronti dell'erede. Da ciò nasce l'esigenza di definire in modo chiaro quando un “chiamato” diventa “erede”, dal momento che l'accettazione può essere sia espressa che tacita.

Anche per la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ., 19.7.2006 n. 16507 e Cass. Civ., 13.5.2003 n. 7335) il chiamato all'eredità acquista lo status di “erede” dopo che ha accettato l'eredità stessa (art. 474 c.c.), espressamente (art. 475 c.c.) o tacitamente (art. 476 c.c.), e l'accettazione costituisce l'indispensabile atto presupposto alla scelta di rinunciare all'eredità (art. 519 c.c.) o all'acquisto con beneficio di inventario (art. 484 c.c.).

Nel caso di accettazione espressa, l'Amministrazione Finanziaria può assumere prova da un atto pubblico o da una scrittura privata. Più difficile è quando si deve comprendere se, nella concreta realtà dei fatti, si possa o meno essere in presenza di un'accettazione tacita.

Ai sensi dell'art. 476 c.c. «L'accettazione è tacita [c.c. 474] quando il chiamato all'eredità compie un atto [c.c. 2648] che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede».

Ai sensi dell'art. 477 c.c. «La donazione [c.c. 769], la vendita [c.c. 765, 1470, 1542] o la cessione [c.c. 1260], che il chiamato all'eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad alcuno di questi, importa accettazione dell'eredità».

Ai sensi dell'art. 478 c.c. «La rinunzia ai diritti di successione, qualora sia fatta verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati, importa accettazione».

Ai sensi dell'art. 485 c.c. «Il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione [c.c. 456] o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi [c.p.c. 749]. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice».

Ai sensi dell'art. 487 c.c. «Il chiamato all'eredità, che non è nel possesso di beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettare col beneficio d'inventario [c.c. 484], fino a che il diritto di accettare non è prescritto [c.c. 480]. Quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere l'inventario nel termine di tre mesi dalla dichiarazione, salva la proroga accordata dall'autorità giudiziaria a norma dell'articolo 485; in mancanza, è considerato erede puro e semplice [c.c. 476, 2964]. Quando ha fatto l'inventario non preceduto da dichiarazione d'accettazione, questa deve essere fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dell'inventario; in mancanza, il chiamato perde il diritto di accettare l'eredità».

A titolo di esempio, sono idonei a configurare accettazione tacita di eredità i seguenti atti:

a) vendita di un bene immobile appartenente alla massa ereditaria;

b) azioni dirette alla difesa o alla rivendica dei cespiti o di diritti riferibili al de cuius;

c) avvio e/o continuazione di atti riferibili al defunto;

d) la presentazione della dichiarazione dei redditi del de cuius la quale, ai sensi dell'art. 65, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, è adempimento posto a carico dell'erede (diversamente, la presentazione della dichiarazione di successione ed il pagamento della relativa imposta non comportano, di per sé, accettazione dell'eredità. Sono, infatti, obbligati alla dichiarazione di successione: “i chiamati all'eredità e i legatari, gli amministratori dell'eredità e i curatori delle eredità giacenti; gli esecutori testamentari”).

È necessario inoltre rilevare come il dato normativo (art. 485 c.c.) richieda la redazione dell'inventario finalizzato all'accettazione, ma non alla rinuncia; vi è, tuttavia, un orientamento giurisprudenziale il quale afferma che tale adempimento costituisce fattispecie destinata ad operare non solo nel caso in cui l'erede voglia procedere all'accettazione con beneficio di inventario, ma anche quando lo stesso intenda semplicemente rinunciare.

In seno a tale orientamento, è accettabile che l'Amministrazione notifichi l'atto impositivo al chiamato, seppur rinunciante, affermando che lo stesso sia, invece, coerede (puro e semplice), opponendo il fatto che la rinuncia non sia stata preceduta dall'inventario.

Responsabilità solidale per le obbligazioni tributarie degli eredi

Gli eredi sono responsabili solidalmente per le obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del de cuius.

Tale disposizione è regolata dall'art. 65 (Eredi del contribuente) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 65, che dispone quanto segue: «Gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa.

Gli eredi del contribuente devono comunicare all'ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale. La comunicazione può essere presentata direttamente all'ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si intende fatta nel giorno di spedizione. Tutti i termini pendenti alla data della morte del contribuente o scadenti entro quattro mesi da essa, compresi il termine per la presentazione della dichiarazione e il termine per ricorrere contro l'accertamento, sono prorogati di sei mesi in favore degli eredi. I soggetti incaricati dagli eredi, ai sensi del comma 2 dell'articolo 12, devono trasmettere in via telematica la dichiarazione entro il mese di gennaio dell'anno successivo a quello in cui è scaduto il termine prorogato. La notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell'ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma».

L'art. 752 c.c., nel disciplinare la "ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi", stabilisce che "i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto".

A sua volta, l'art. 754 c.c., nella parte prima del suo primo comma, stabilisce che "gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria e ipotecariamente per l'intero".

Inoltre, l'art. 1295 c.c. espressamente prevede che, "salvo patto contrario, l'obbligazione si divide tra gli eredi di uno dei condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzione alle rispettive quote".

A ciò si aggiunga quanto stabilito dalla Cass. civ. sez. VI-T, 08 aprile 2014, n. 8213: «In caso di successione "mortis causa" di più eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio si determina un frazionamento "pro quota" dell'originario debito del "de cuius" fra gli aventi causa, con la conseguenza che - al pari di quanto si verifica nelle obbligazioni solidali il rapporto che ne deriva non è unico ed inscindibile e non si determina, nell'ipotesi di giudizio instaurato per il pagamento, litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore defunto, né in primo grado, né nelle fasi di gravame, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause».

A quanto riportato si aggiunge l'art. 8 (Intrasmissibilità della sanzione agli eredi) che dispone in pochissime parole, in un unico comma, quanto segue: «L'obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi».

Questo concetto è stato più volte rinforzato dalla giurisprudenza. Secondo la Suprema Corte di Cassazione la trasmissibilità «è prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell'Intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità"» (Cass. n. 12754 del 6 giugno 2014).

La regola non vale per le società.

Questo significa che in caso di irregolarità riscontrate dall'Amministrazione Finanziaria, le sanzioni non si estinguono alla morte della persona fisica autrice della violazione, che abbia agito nell'interesse della società in qualità di dipendente o di amministratore. Perma, quindi, sul piano sanzionatorio, la responsabilità della società. Tali sanzioni non possono essere estinte nemmeno, se la morte avviene prima della notifica dell'atto da parte dell'Amministrazione Finanziaria (Cass. Civ., 11 marzo 2015, n. 4854; Cass. Civ., 20 novembre 2012, n. 20376; Cass. Civ., 21 gennaio 2011, n. 1391).

Che cosa accade se il defunto era stato interessato da richieste di pagamento o avvisi di irregolarità o di accertamenti?

Nel caso in cui il defunto, in vita, era stato interessato da richieste di pagamento o avvisi di irregolarità o di accertamenti, gli eredi subentrano nelle obbligazioni del medesimo, fatto salvo che non devono versare le sanzioni.

Tale disposizione vale anche se il decesso del contribuente avviene mentre è in corso il pagamento del piano di rateazione delle somme dovute in base ad un istituto definitorio dell'accertamento (ad es. acquiescenza, accertamento con adesione, definizione dell'invito al contraddittorio, definizione del verbale di constatazione) ovvero degli istituti deflativi del contenzioso (reclamo-mediazione e conciliazione giudiziale).

L'Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 29/E del 07/08/2015 si è espressa nel seguente modo:

«In base [al principio espresso dal citato art. 8 del D.Lgs. n. 472/1997] appare... indubbio che agli eredi non possa essere richiesto il pagamento delle sanzioni, sia con riferimento alle violazioni commesse dal de cuius ed alla base degli atti di acquiescenza, adesione, reclamo-mediazione, conciliazione giudiziale, sia con riferimento alle somme dovute a titolo di sanzione per il ritardo nel pagamento delle rate ovvero in caso di decadenza dal beneficio del piano di rateazione».

Nel caso in cui il de cuius sia incorso, prima del decesso, nelle violazioni di ritardato pagamento della rata e di decadenza dalla rateazione, la citata C.A.E. 29/E del 07/08/2015 si è espressa affermando che: «Diversamente, saranno dovute dagli eredi le sanzioni relative alle rate scadute e non pagate dopo la morte del de cuius. ... Peraltro, una diversa soluzione interpretativa determinerebbe una disparità di trattamento tra i contribuenti in funzione della scelta operata dal de cuius di accedere ad un istituto definitorio, invece di instaurare un contenzioso avverso l'atto impositivo e sanzionatorio. Le medesime considerazioni valgono con riguardo agli istituti deflativi del contenzioso previsti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. In linea con tale conclusione, qualora nel corso di una rateazione si verifichi il decesso del contribuente, in relazione alle residue rate ancora da versare, la competente struttura non potrà chiedere agli eredi il pagamento delle somme ancora dovute a titolo di sanzione; è altresì escluso il versamento delle somme dovute a titolo di sanzione per il ritardo nel pagamento delle rate ovvero in caso di decadenza dal beneficio del piano di rateazione».

Che cosa accade in caso di contenzioso con l'Amministrazione Finanziaria, qualora avvenga la morte del soggetto coinvolto?

La successione determina anche il coinvolgimento di più parti, le quali risulteranno tutte o in parte dipendenti dalle scelte delle altre.

Nel caso in cui sia in atto una controversia fiscale con l'Amministrazione Finanziaria ed avvenga la morte della parte a cui è rivolta la pretesa tributaria, il processo può proseguire nei confronti dei successori (eredi, soci, ecc.).

L'Amministrazione Finanziaria può notificare liberamente gli atti intestati al de cuius, agli eredi personalmente e/o collettivamente, nell'ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei loro confronti. Gli eredi si trovano, quindi, ad essere destinatari degli atti impositivi, pur non essendo intestatari dell'atto.e

Gli stessi sono in ogni caso titolari della legittimazione ad agire.

Stante il fatto che vige tra gli eredi la responsabilità solidale per le obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del de cuius, essi sono tenuti a comunicare all'ufficio competente in relazione al domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale.

Se l'erede comunica le proprie generalità all'Amministrazione Finanziaria, gli atti impositivi vanno notificati personalmente e nominativamente agli eredi nel domicilio fiscale indicato, mentre in mancanza della comunicazione, gli Uffici potranno notificare gli atti, intestati al dante causa, agli eredi impersonalmente e collettivamente nell'ultimo domicilio dello stesso e la notifica sarà efficace nei confronti degli stessi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione.

Qualora solo uno dei coeredi accettanti l'eredità abbia comunicato le proprie generalità ed il proprio domicilio fiscale, l'Amministrazione dovrebbe procedere a notificare l'atto impositivo, nominativamente e personalmente, solo a tale soggetto, nonché, collettivamente e impersonalmente, agli altri coeredi, per quest'ultimi da effettuare nell'ultimo domicilio del defunto.

Tuttavia, nell'ambito del processo tributario, spetta all'Amministrazione Finanziaria affermare e provare l'avvenuta accettazione dell'eredità da parte dell'erede, mentre compete poi al chiamato all'eredità affermare e provare l'esistenza della dichiarazione di rinuncia o di accettazione con il beneficio di inventario (cfr., Corte Cost. 3.3.2007 n. 109; Cass. 5.11.2001 n. 13665 e Cass. 22.5.2002 n. 7477).

Riprendendo quanto già affermato, la legittimazione ad agire in una causa non si trasmette dal "de cuius" al chiamato per effetto della sola apertura della successione (Cass. 17295/2014), per cui grava sull'Amministrazione finanziarla creditrice del de cuius l'onere di provare l'accettazione dell'eredità da parte del chiamato, per potere esigere l'adempimento dell'obbligazione del suo dante causa.

Tale onere non può essere assolto presentando la denuncia di successione, ma è ritenuto valido mediante dimostrazione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il "de cuius" che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss. c.c. (Cass. Civ., n. 13738/2005), o di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di detta qualità (Cass. 24.2.2016 n. 3611).

Tuttavia, nei seguenti casi:

a) la morte del contribuente sopravvenga dopo la notifica della sentenza;

b) il decesso del contribuente si verifichi durante la decorrenza del termine lungo, cioè dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.

c) la morte avvenga dopo la fine di un grado del processo, ma non sia dichiarata,

la situazione diventa complicata.

La tesi prevalente in quest'ultimo caso è quella della ultrattività del mandato del difensore: il processo prosegue, quindi, nei confronti della parte originaria (benché deceduta), che resta nel processo per ministero del difensore (Cass. SS.UU. 4.7.2014 n. 15295). Tale soluzione, tuttavia, non vale per il ricorso per Cassazione, dal momento che il difensore deve ricevere un mandato speciale, dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado.

Conclusioni

In sintesi, rispondono delle obbligazioni tributarie sorte in capo al defunto, solo gli eredi che hanno accettato l'eredità A tal fine si riportano alcune precisazioni della Cassazione, in tema di decesso della parte persona fisica, che sintetizzano tutte le considerazioni sopra esposte (Cass. 28.2.2018, n. 4612):

a) la legittimazione a continuare un processo può sopravvenire nel corso del giudizio, essendo necessario e sufficiente che ricorra al momento della decisione;

b) in caso di riassunzione del processo dopo la morte della parte, la legittimazione passiva deve essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti o in favore dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta - o conoscibile con l'ordinaria diligenza - alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc.);

c) ne consegue che, in caso di pubblicazione di un testamento olografo, la riassunzione del giudizio deve avvenire nel termine semestrale dalla pubblicazione del testamento, considerato che in tema di contenzioso tributario, l'interruzione del processo prevista dall'art. 43, D.Lgs. 546/92 deve essere interpretato nel senso che il termine semestrale ivi previsto, entro il quale gli eredi sono onerati di proseguire il giudizio interrotto per la morte del "de cuius", decorre dalla data di conoscenza legale dell'evento che attribuisce loro detta qualità (nella specie, la data di pubblicazione del testamento olografo).

La morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarata in udienza o notificata alle altre parti, (v. Cass. 9.5.2018, n. 11072): comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che:

a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace;

b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace;

c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, comma 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza "aliunde" di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. da parte del notificante.

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