Opposizione all'esecuzione su titoli giudiziali e giudicato rebus sic stantibus, ovvero sulla moltiplicazione dei procedimenti in materia familiare

11 Settembre 2019

La questione principale posta all'attenzione della Suprema Corte attiene alla necessità di attivare il procedimento di revoca e/o modifica delle condizioni di separazione o divorzio per dedurre in sede di opposizioni esecutive i fatti successivi costituiti dalla pronuncia di siffatti provvedimenti.
Massima

In sede di opposizione al precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di divorzio, possono essere dedotte soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo e non anche fatti sopravvenuti, da farsi valere con il procedimento di cui all'art. 9 della legge n. 898/1970. (Nella specie, in applicazione del principio, la Suprema Corte ha confermato la decisione impugnata che aveva rigettato l'opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c., fondata su una modifica dei presupposti di fatto in virtù dei quali era stato pronunciato il titolo esecutivo per effetto di due provvedimenti del Tribunale per i minorenni).

Il caso

A fronte di un atto di precetto notificato dall'ex moglie per il mantenimento del figlio minore, in qualità di genitore collocatario dello stesso, secondo quanto previsto dal titolo esecutivo costituito dalla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti, l'ex marito deduceva, in sede di opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c. l'insussistenza dell'avversa pretesa creditoria per essere intervenuti due provvedimenti del Tribunale per i minorenni che avevano modificato la situazione concreta che giustificava la previsione dell'obbligo di mantenimento del medesimo nei confronti del figlio.

In particolare, l'opponente deduceva, a riguardo, il venir meno dell'efficacia delle statuizioni economiche di cui al titolo posto in esecuzione per effetto di un primo provvedimento del Tribunale per i minorenni che aveva disposto l'affidamento del minore proprio ad esso attore ed in ragione di un secondo decreto dello stesso Tribunale che aveva disposto la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale di entrambi gli ex coniugi nei confronti del figlio.

Il Tribunale rigettava l'opposizione cd. a precetto evidenziando che l'attore avrebbe dovuto, per far valere tali fatti successivi potenzialmente idonei ad incidere sulla portata del titolo esecutivo, attivare l'apposita procedura prevista dall'art. 9 della l. div. per la modifica delle condizioni dello stesso.

Tale pronuncia era confermata in sede di gravame dalla Corte d'appello.

Avverso tale decisione la parte soccombente proponeva ricorso per cassazione deducendone, essenzialmente, l'illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 30 Cost., 147, 148, 316-bis e 337-ter c.c., poiché le statuizioni economiche contenute nella sentenza di divorzio avrebbero dovuto ritenersi ex se modificate dai provvedimenti del Tribunale dei minorenni per effetto dei quali era stata sospesa la responsabilità genitoriale della madre ed il figlio collocato presso esso ricorrente.

La questione

La questione principale posta all'attenzione della Suprema Corte attiene, in particolare, alla necessità – anche in presenza di provvedimenti del Tribunale dei minorenni in potenziale contrasto con le statuizioni del Tribunale ordinario – di attivare il procedimento di revoca e/o modifica delle condizioni di separazione o divorzio per dedurre in sede di opposizioni esecutive i fatti successivi costituiti dalla pronuncia di siffatti provvedimenti.

Le soluzioni giuridiche

Mediante la pronuncia in esame, la Corte di cassazione ritiene di dover fornire una risposta affermativa a tale quesito, rigettando, di conseguenza, il ricorso.

In particolare, la Corte di legittimità premette, in fatto, che pacificamente i provvedimenti del Tribunale per i minorenni non erano intervenuti sulle statuizioni economiche contenute nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi, posta in esecuzione dall'ex moglie.

Nel rigettare il primo e principale, sul piano dell'interesse processuale, motivo di ricorso, la Suprema Corte ripercorre la propria giurisprudenza in virtù della quale con l'opposizione al precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di separazione o divorzio, possono essere dedotte soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo e non anche fatti sopravvenuti, da farsi valere, rispettivamente, col procedimento di modifica delle condizioni della separazione di cui all'art. 710 c.p.c. ovvero, rispetto alla sentenza di divorzio, con il ricorso ex art. 9 l. div. (cfr., ex ceteris, Cass. civ., n. 20303/2014).

Tale principio, sebbene consolidato, sembra, a prima lettura, derogatorio dell'assunto, pressocché monolitico, basato sull'interpretazione sistematica degli artt. 161 c.p.c., sulla conversione dei vizi di nullità della sentenza in motivi di gravame della stessa, e 615 c.p.c., in virtù del quale nell'esecuzione fondata su un titolo giudiziale se non possono farsi valere fatti preesistenti alla formazione di tale titolo, ne possono essere dedotti di successivi.

Peraltro, come non trascura di evidenziare la Suprema Corte nell'accurata motivazione della decisione in rassegna, ciò dipende dalla circostanza che, a differenza degli altri provvedimenti di solito pronunciati al termine di un procedimento di cognizione ordinario, quelli resi nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio sono strutturalmente idonei al giudicato in quanto assoggettati, nella loro efficacia, alla clausola cd. rebus sic stantibus.

Ciò implica che il mutamento dei presupposti in virtù dei quali è stato concesso un provvedimento (ad esempio, per il trasferimento del minore presso l'altro genitore ovvero per il mutare delle condizioni economiche di uno degli ex coniugi) deve essere dedotto nel procedimento per la revisione delle relative condizioni, ossia, per la separazione, in quello ex art. 710 c.p.c. e, per il divorzio, in quello di cui all'art. 9 l. div.

Tale peculiarità implica, quindi, che siffatte circostanze non possano essere dedotte “direttamente” per paralizzare l'azione esecutiva dell'altro coniuge.

Osservazioni

Sotto un primo aspetto, appare opportuno, per le relative conseguenze pratiche, precisare che il principio ribadito dalla pronuncia in rassegna non opera anche per tutti quei fatti, successivi all'emanazione del titolo esecutivo, che non vanno ad incidere sul contenuto dello stesso.

In altri termini, è evidente che l'ex coniuge al quale si richiede il contributo al mantenimento che si assume non versato può sicuramente allegare e dimostrare, in sede di opposizione preventiva o successiva all'esecuzione, di aver adempiuto in tutto in parte alla propria obbligazione. Inoltre, facendo riferimento ad altra ricorrente eccezione, potrà essere paralizzata l'avversa azione esecutiva deducendo (e provando) l'avvenuta prescrizione della pretesa creditoria.

Per altro verso, condivisibilmente la decisione in commento sottolinea che il Tribunale per i minorenni non si occupa di questioni quali il contributo per il mantenimento dei minori bensì, ormai, anche per i figli di genitori non coniugati, di questioni afferenti la sospensione ovvero la decadenza dalla responsabilità genitoriale.

Evidenzia di qui la Suprema Corte che è anche opportuno, pertanto, pur a fronte dell'emanazione, come nella specie, di provvedimenti del Tribunale dei minorenni che finiscono con l'avere una portata pregiudiziale rispetto alle statuizioni economiche della decisione del Tribunale ordinario in punto di condizioni economiche relative alla prole rispetto al regime di affidamento della stessa, affidare le relative valutazioni ad un giudice a tal fine maggiormente “specializzato” come il Tribunale ordinaria in sede cognitiva.

Questa impostazione, formalmente corretta, dimostra peraltro la necessità, de jure condendo, al fine di evitare il prodursi di situazioni di ingiustizia sostanziale come quelle cristallizzate nella descritta vicenda processuale, di una riforma che vada a concentrare presso un unico ufficio giudiziario tutte le questioni che afferiscono al contenzioso in materia di famiglia, ossia alle cause tra coniugi ovvero ed ai procedimenti, compresi quelli afferenti l'esercizio della potestà genitoriale, relativi ai figli.

L'attuale dualismo favorisce, infatti, decisioni contrastanti e moltiplica il contenzioso, in un settore nel quale l'esigenza di favorire la stabilizzazione della situazione dei minori nel loro superiore interesse renderebbe quanto mai opportuna una riduzione della litigiosità tra le parti e dei consessi nei quali essa può manifestarsi.

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