Improcedibilità per particolare tenuità o per remissione di querela: qual è l'epilogo più favorevole per l'imputato?

25 Settembre 2019

Sussiste l'interesse dell'imputato a impugnare la pronuncia del giudice di pace d'improcedibilità per particolare tenuità del fatto, per ottenere la medesima declaratoria d'improcedibilità, ma con una formula diversa, ossia per remissione (in questo caso, per comportamento concludente) di querela?
Massima

La declaratoria di improcedibilità nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000 non determina effetti preclusivi all'azione civile risarcitoria ed è pertanto epilogo decisorio non pienamente satisfattivo per l'imputato. Di qui l'interesse dell'imputato ad impugnare la decisione, per ottenere un epilogo processuale maggiormente favorevole (nel caso di specie il giudice di pace aveva pronunciato sentenza d'improcedibilità per la particolare tenuità del fatto a fronte di un comportamento concludente abdicativo dell'istanza di punizione da parte del querelante e la Corte ha ritenuto che sussistesse l'interesse dell'imputato ad impugnare la decisione per ottenere la declaratoria di improcedibilità per – tacita - remissione di querela, epilogo decisorio più favorevole al ricorrente, poiché, ferma restando la tutela civilistica per fatto illecito, ne esclude l'illiceità penale).

Il caso

Il giudice di pace di Torino, con sentenza emessa in data 7 marzo 2018 emetteva sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 34 d.lgs. n. 274/2000 per essere il reato di percosse contestato all'imputato improcedibile per la particolare tenuità del fatto.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato deducendo violazione di legge, da un lato, per non aver il giudice di pace ritenuto la remissione tacita della querela, nonostante la rituale notifica alla persona offesa del verbale d'udienza contenente l'esplicita indicazione che la perdurante mancata comparizione sarebbe valsa come comportamento concludente abdicativo dell'istanza di punizione; dall'altro, per non aver dichiarato improcedibile l'azione per remissione tacita di querela, ritenendo non configurabile l'acquiescenza della persona offesa.

La quinta Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 25786 del 11 giugno 2019 (ud. 5 aprile 2019) che qui si commenta, discostandosi dalle conclusioni del p.m. che aveva concluso per l'inammissibilità, ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza impugnata perché l'azione penale non poteva essere proseguita per remissione di querela.

La questione

La questione che la Corte affronta può essere così sintetizzata: sussiste l'interesse dell'imputato a impugnare la pronuncia del giudice di pace d'improcedibilità per particolare tenuità del fatto, per ottenere la medesima declaratoria d'improcedibilità, ma con una formula diversa, ossia per remissione (in questo caso, per comportamento concludente) di querela?

Le soluzioni giuridiche

La Corte dà al quesito risposta positiva e la soluzione giuridica adottata parte da due premesse di fondo.

La prima è, per così dire, in fatto; la seconda, è invece più squisitamente giuridica.

La constatazione in fatto ha riguardato la perdurante assenza della persona offesa ritualmente citata, che, secondo la Corte, era tale da configurare, nel caso in esame, un comportamento concludente ai fini abdicativi della querela, in ossequio al principio espresso dalle Sezioni Unite per cui integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale (nella specie davanti al giudice di pace) del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela (Cass. pen., Sez. Unite, n. 31668 del 23 giugno 2016, P.G. in proc. Pastore, Rv. 267239).

In concreto, dunque, il procedimento di notificazione adottato (prima con notifica al difensore domiciliatario e poi – ad abundantiam, perché era sufficiente già la prima notificazione – al destinatario a mezzo del servizio postale presso l'indirizzo di resistenza, con compiuta giacenza) doveva ritenersi rituale e idoneo a comportare le necessarie implicazioni giuridiche connesse alla mancata comparizione, con conseguente configurazione della tacita remissione dell'istanza di punizione.

Tanto chiarito in fatto, la seconda premessa è partita da una domanda di fondo: appurato che entrambi gli epiloghi (sia quello per la particolare tenuità del fatto, che quello per remissione della querela) portano, nei procedimenti di competenza del giudice penale di pace, ad una sentenza d'improcedibilità, vi è differenza tra i due? E soprattutto, può affermarsi che uno sia più favorevole dell'altro? Perché soltanto ammettendo che gli epiloghi abbiano, per l'imputato, effetti differenti, ossia più o meno favorevoli, può configurarsi in capo a questi l'interesse ad impugnare la decisione; qualora gli esiti siano invece gli stessi, allora difetterebbe a monte l'interesse ad impugnare, con conseguente inammissibilità del ricorso.

Nella soluzione giuridica adottata, inevitabile il raffronto con l'omologo istituto introdotto per il sistema penale comune con l'art. 131-bis c.p., condotto alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite n. 53683 del 22 giugno 2017, Pmp ed altri, in CED, Rv. 271587.

Applicando infatti i principi di diritto espressi dal Collegio riunito, può affermarsi che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace, in quanto il rapporto tra l'art. 131-bis c.p. e il d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 34, non va risolto sulla base del principio di specialità tra le singole norme, dovendo prevalere la peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace, nel cui ambito la tenuità del fatto svolge un ruolo anche in funzione conciliativa.

Vi è dunque tra i due istituti una profonda diversità e questo si riflette anche sull'applicazione analogica di norme dettate per l'uno e non nell'altro. È questo il caso dell'art. 651-bis c.p.p., previsto espressamente in relazione alla particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., a norma del quale «La sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale».

Tale disposizione, afferma la Corte, non può applicarsi automaticamente al procedimento innanzi al giudice di pace e ciò proprio in ragione della profonda diversità tra i due omologhi istituti.

Partendo da questa premessa la Corte afferma: «In altri termini, la declaratoria di improcedibilità di cui al d.lgs. n. 274 del 2000, art. 34, non determina effetti preclusivi all'azione civile risarcitoria ed è, pertanto, epilogo decisorio non pienamente satisfattivo per l'imputato. Donde l'interesse dell'imputato ad ottenere un epilogo processuale maggiormente favorevole.»

Si determinano infatti, con la remissione di querela, effetti processuali, ossia l'improcedibilità dell'azione penale, ed effetti sostanziali, in quanto la remissione di querela comporta l'estinzione del reato e della connessa responsabilità civile che, ai sensi dell'art. 185 c.p., si configura solo in caso di sussistenza di un reato e non anche quando il reato sia estinto, con la conseguenza che le eventuali statuizioni civili vengono travolte e, nel giudizio di impugnazione, non trova applicazione l'art. 578 c.p.p..

In conclusione, sussiste l'interesse dell'imputato al ricorso per cassazione, in quanto l'impugnazione è finalizzata alla censura della mancata declaratoria di improcedibilità per remissione di querela, epilogo decisorio più favorevole al ricorrente poiché ferma restando la tutela civilistica per fatto illecito - ne esclude l'illiceità penale.

Raffrontando dunque i due epiloghi, la declaratoria di estinzione del reato per improseguibilità dell'azione penale per intervenuta remissione di querela, ritualmente accettata dal querelato, ma anche realizzatasi con comportamento concludente (quale quello che si è realizzato nel caso in esame) assume carattere prevalente rispetto alle formule di proscioglimento riferibili ad altre cause di estinzione o di improcedibilità del reato (in questo senso, vengono citate Sez. V, n. 21874 del 20/03/2014, Salmeri, Rv. 262820; n. 562 del 2004 Rv. 226998; v. Sez. IV, n. 49226 del 19/10/2016, Bestente, Rv.268625), in considerazione degli effetti estintivi che la rimessione produce (ossia, prima di tutto, l'esclusione dell'illiceità penale).

Di qui l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere l'azione penale improcedibile per difetto di querela

Osservazioni

La sentenza in commento merita una riflessione.

Con la sentenza delle Sezioni Unite n. 53683/2017 – con la quale il Collegio riunito ha scelto l'orientamento maggioritario più risalente, ritenendo che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., non sia applicabile nei procedimenti relativi ai reati di competenza del giudice di pace – la Corte ha posto l'accento sul diverso ruolo che nei due procedimenti ha la persona offesa, la quale, qualora venga in rilievo la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., non gode di un potere “di paralisi”, avendo solo un maggiorato potere di opposizione alla richiesta di archiviazione ed un semplice diritto all'interlocuzione – se compare – nel caso di proscioglimento predibattimentale.

Il ruolo, decisamente meno incisivo, assunto dalla persona offesa nel nuovo istituto ex art. 131-bis c.p. trova invero la sua ratio, dice la Corte, nella qualificazione di esso come figura di «depenalizzazione in concreto», espressione di una concreta attuazione del principio di proporzione, rispetto alla quale un potere di veto in capo alla persona offesa si sarebbe rivelato un ostacolo. Ciò non toglie che la persona offesa abbia comunque tutela, potendo separatamente tutelare i suoi interessi, a fronte della sentenza di proscioglimento dibattimentale irrevocabile, che ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo di danno (art. 651-bis c.p.p.).

Dunque, il differente ruolo assegnato, nelle procedure in esame, alla persona offesa è uno dei più significativi, ma non l'unico, elemento che differenzia gli omologhi istituti. Il requisito dell'occasionalità del fatto ed il criterio dell'eventuale pregiudizio che l'ulteriore decorso possa recare alle esigenze dell'indagato o dell'imputato, unitamente alla finalità conciliativa che connota tutto il procedimento innanzi al giudice di pace e che il giudice è chiamato a favorire, sono tutti elementi che denotano una sostanziale diversità di regolamentazione del fenomeno giuridico, esteso anche all'intero, dell'irrilevanza penale del fatto per tenuità.

È dunque l'autonomia del procedimento penale innanzi al giudice di pace e la sua connotazione, con caratteri assolutamente peculiari, nonché la salvaguardia dell'autonomia di tali connotati specializzanti, a renderlo non comparabile con il procedimento davanti al tribunale ordinario e ciò spiega effetti nella risoluzione della questione rimessa al Supremo Collegio, che ha concluso quella decisione, affermando il seguente principio di diritto: «La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art.131-bis cod. pen., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace».

Va da se allora, che l'art. 651-bis c.p.p. non possa estendersi ai procedimenti innanzi al giudice di pace, trattandosi di una disposizione peculiare del sistema penale comune, non prevista anche nel primo.

Ma, a parere di chi scrive, l'interesse dell'imputato ad impugnare la declaratoria d'improcedibilità ex art. 34 d.lgs. n. 274/2000 più che discendere dalla disposizione di cui all'art. 651-bis c.p.p. (rectius: dall'esclusione della sua applicazione), sembra fondarsi soprattutto sui diversi effetti che si realizzano con le due differenti formule d'improcedibilità, e che la Corte comunque evidenzia.

In caso infatti di remissione di querela, pur restando ferma la tutela civilistica per fatto illecito, la sentenza d'improcedibilità esclude l'illiceità penale del fatto, effetto, questo, che non è automatico qualora venga emessa sentenza ex art. 34 d.lgs n. 274/2000. È infatti sicuramente con la prima che si ha l'estinzione del reato e della connessa responsabilità civile e questo, rispetto alla pronuncia per particolare tenuità del fatto, che è declinata come una generica sentenza d'improcedibilità, senza ulteriori specificazioni dal punto di vista degli effetti sostanziali, è un esito sicuramente più satisfattivo, che più di ogni altro fonda l'interesse in capo all'imputato ad impugnare la decisione che dichiari l'improcedibilità per particolare tenuità del fatto, in luogo di quella (come detto, più favorevole) per remissione (anche tacita) della querela.