Imposta di registro proporzionale per il decreto ingiuntivo ottenuto dal fideiussore nei confronti del debitore

25 Settembre 2019

In tema di imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore inadempiente dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria in favore dell'erario e che sia stato escusso dal creditore, è soggetto all'imposta con aliquota proporzionale...
Massima

In tema di imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore inadempiente dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria in favore dell'erario e che sia stato escusso dal creditore, è soggetto all'imposta con aliquota proporzionale (del tre per cento)al valore della condanna, e non in misura fissa, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggette ad IVA, ma esercita un'azione di rimborso di quanto versato.

Il caso

Una società di assicurazioni, dopo l'escussione della polizza fideiussoria stipulata, quale garante, in favore dell'Amministrazione finanziaria, chiese l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti del debitore principale per la restituzione delle somme versate in favore dell'erario. Ottenuto, in rivalsa, il decreto ingiuntivo, l'assicurazione versò la relativa imposta di registro calcolata mediante applicazione dell'aliquota proporzionale (tre per cento) al valore della condanna. Successivamente richiese il rimborso dell'imposta sostenendo che il decreto dovesse andare esente da imposta o, comunque, scontarla in misura fissa, avendo ad oggetto somme riferibili ad un rapporto - quello nascente dalla polizza fideiussoria - soggetto ad imposta sul valore aggiunto, con conseguente applicazione del principio dell'alternatività tra IVA ed imposta di registro (funzionale ad evitare ipotesi di doppie imposizioni).

Seguì l'impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall'Agenzia delle Entrate alla richiesta di rimborso, che fu parzialmente accolta dall'adita Comm. trib. prov., con condanna dell'Agenzia al rimborso alla ricorrente della differenza tra l'importo versato in misura proporzionale e quello ritenuto dovuto in misura fissa.

La decisione fu confermata dalla Comm. trib. reg., secondo la quale al decreto ingiuntivo doveva applicarsi l'imposta di registro in misura fissa ai sensi degli artt. 5 e 40, d.P.R. n. 131/1986 nonché dell'articolo 8, comma 1, lett. b), nota II della Tariffa allagata, trattandosi di atto giudiziario che dispone il pagamento di prestazione che trova causa diretta nel negozio fideiussorio, rientrante nel campo di applicazione IVA.

Avverso tale decisione propose ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, sostenendo che il giudice d'appello avrebbe erroneamente ricondotto ad unità il pagamento per l'escussione della garanzia e quello per il regresso del fideiussore, essendo il pagamento (in regresso) del garantito verso il garante previamente escusso del tutto distinto da quello riguardante l'autonomo rapporto tra garante e beneficiario di una polizza fideiussoria ed è estraneo al campo di applicazione IVA.

La sezione Tributaria della Suprema Corte, rilevato un contrasto interno sulla questione, ne ha preliminarmente rimesso la soluzione alle Sezioni unite civili che, in accoglimento del ricorso agenziale, hanno rassegnato il principio di diritto sopra massimato.

La questione

La decisione in commento risolve il contrasto interpretativo sorto sull'applicabilità in subiecta materia del principio di alternatività tra IVA e registro delineato dalla combinazione di più norme:

  • la regola dell'art. 8, comma 1, lett. b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, che sottopone a tassazione (del 3%) gli atti dell'autorità giudiziaria in materia civile, ivi compresi i decreti ingiuntivi, tra cui i provvedimenti recanti «condanna al pagamento di somme o valori o altre prestazioni»;
  • l'eccezione prevista dalla nota II apposta in calce allo stesso art. 8, che esclude i suddetti atti dal pagamento dell'imposta proporzionale «per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'art. 40 del testo unico»;
  • l'art. 40, d.P.R. n. 131/1986 che prevede l'imposta in misura fissa per «atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi» soggetti - anche solo teoricamente, perché di fatto esenti - ad IVA (nella specie: il negozio fideiussorio, soggetto ad IVA ex art. 10, comma 1, n. 1, d.P.R. n. 633/1072).

Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, dovendosi escludere l'unitarietà e l'inscindibilità dell'operazione complessiva ai fini del registro, il decreto ingiuntivo ottenuto dal garante che sia stato escusso dall'Amministrazione per l'inadempimento del debitore principale, è soggetto ad aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante, a seguito del pagamento, non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti ad IVA (Cass. civ., sez. trib., n. 20262/2015; Cass. civ., sez. trib., n. 25702/2015; Cass. civ., sez. trib., n. 2551/2018).

Altro orientamento, invece, propugna la registrazione a tassa fissa del decreto ingiuntivo ottenuto dal garante in forza dell'art. 8 della Tariffa allegata dal D.P.R. n. 131/1986 poiché - si argomenta - la surrogazione del fideiussore al creditore principale comporta una peculiare forma di successione nel credito che nova, dal lato soggettivo, l'obbligazione d'imposta, ma non incide sulla sua identità oggettiva, la quale conserva la stessa identica natura anche sul piano tributario (ex plurimis: Cass. civ., sez. trib., n. 19365/2018; Cass. civ., sez. trib., n. 24997/2015; Cass. civ., sez. 6-5, n. 14000/2014).

La soluzione giuridica

La pronuncia in commento fa chiarezza su una complessa questione che vede l'intreccio di tre sottesi rapporti civilistici intercorrenti tra:

  1. debitore principale-creditore (rapporto di valuta);
  2. creditore-garante;
  3. garante-debitore principale (rapporto di provvista).

Per il giudice nomofilattico, si tratta di titoli e di (conseguenti) rapporti del tutto autonomi tra loro, che danno vita a prestazioni diverse, non sempre equivalenti né corrispondenti.

Invero, quanto il garante attiva il rito monitorio per riavere dal debitore principale l'importo già versato all'erario in forza del contratto autonomo di garanzia (incorporato nella polizza fideiussoria), non fa affatto valere - cadenza oggi la Corte - il credito da corrispettivo per la prestazione resa, ossia il costo della garanzia stessa (sulla natura necessariamente onerosa della polizza fideiussoria, in quanto assunta dal garante in corrispettivo di un premio, vedi Cass. civ., SS.UU., n. 3947/2010).

Egli semmai - motivano gli “ermellini” in composizione allargata - esercitando l'azione di rivalsa, ottiene col decreto ingiuntivo il rimborso di quanto pagato in precedenza, sicché il titolo giudiziario da tassare «non ha ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti ad IVA».

Analogamente, sul fronte del rapporto di provvista, per la Suprema Corte è irrilevante, ai fini dell'applicazione dell'invocato principio di alternatività IVA/registro, la circostanza che la prestazione eseguita dal garante-solvens ed il conseguente rimborso da lui monitoriamente richiesto abbiano eguale contenuto patrimoniale: solo la prima afferisce ad un'operazione imponibile ai fini IVA (ma in concreto esente); il secondo, invece, è successivo, perché si colloca dopo di essa ed è quindi irrilevante ai fini IVA.

Ne consegue - conclude la sentenza in commento - l'applicazione della regola dell'art. 8, comma 1, lett. b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, che assoggetta gli atti dell'autorità giudiziaria, compresi i decreti ingiuntivi, recanti condanna al pagamento di somme o valori, all'imposta di registro con aliquota proporzionale del tre per cento.

Osservazioni

La sentenza annotata si caratterizza per una motivazione - chiara, breve e convincente - che prescinde dall'applicazione dell'art. 20, d.P.R. n. 131/1986 (come novellato, da ultimo, dall'art. 1, comma 1084, L. n. 145/2018, che - retroattivamente -ha attribuito valore di interpretazione autentica dell'art. 20, comma 1, d.P.R. n. 131/1986 alla precedente modifica restrittiva operata dall'art. 1, comma 87, lett. a), della L. n. 205/2017, in forza del quale l'imposta di registro «va applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati…»).

Dunque senza considerare il novum normativo - invero problematico - per giudice nomofilattico già a monte non è configurabile nella specie alcuna operazione «complessiva ed inscindibile» ai fini del registro.

Le conclusioni tratte dall'odierna decisione poggiano su un'attenta analisi dei sottesi istituti civilistici di riferimento: esclusa la ricorrenza della fattispecie surrogatoria per volontà del creditore (art. 1202 c.c.), pure invocata nel controricorso, la sentenza valorizza il rapporto autonomo di garanzia e la funzione annessa alla polizza fideiussoria, non satisfattoria ma indennitaria, perché «non mira a garantire l'adempimento dell'obbligazione principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto», mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro sostitutiva della mancata (od inesatta) prestazione del debitore. Di qui la ricavata diversità della prestazione - «qualitativamente altra» dovuta e resa dal solvens nei confronti del debitore - rispetto a quella oggetto dell'obbligazione principale.

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