Danno da demansionamento professionale
30 Settembre 2019
Il caso. La Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato in complessivi euro 155.284,00 la somma capitale liquidata in favore degli eredi dell'originario ricorrente, a titolo di risarcimento del danno da demansionamento sofferto dal dante causa.
Il giudice di appello, confermato l'accertamento del giudice di primo grado sul demansionamento e la correttezza della determinazione del danno patrimoniale in misura corrispondente all'importo versato dal lavoratore all'INPS (“per il riscatto degli anni universitari onde accedere quanto prima al pensionamento anticipato di anzianità e porre in tal modo fine alla situazione di degrado ed emarginazione professionale”), aveva ritenuto insufficiente la somma, pari a euro 10.000,00, liquidata in prime cure a titolo di ristoro del danno non patrimoniale, e l'aveva quindi rideterminata in via equitativa in euro 60.000,00.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'Istituto di cura.
Danno da demansionamento professionale. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103, c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l'entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. |