La nozione di discriminazione in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro
30 Settembre 2019
Il caso. Una società datrice di lavoro chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Napoli che aveva riconosciuto il diritto dei lavoratori ricorrenti a fruire, per il 2001, di un ulteriore giorno di permesso retribuito annuo alla stregua degli accordi confederali che regolano la materia, dichiarando illegittima la riduzione operata, con atto unilaterale, dall'azienda a decorrere dal 2001.
La nozione di discriminazione in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Il d.lgs. n. 216 del 2003, di attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, all'art. 2 fissa la nozione di discriminazione e prevede che, salvo quanto disposto dall'art. 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Alla lettera a) della stessa disposizione, poi, è definita la discriminazione diretta che si ravvisa “quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga”.
Alla successiva lettera b), poi, è data la definizione della nozione di discriminazione indiretta che sussiste nel caso in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
Mentre nel caso di discriminazione diretta è la condotta, il comportamento tenuto, che determina la disparità di trattamento, nel caso di discriminazione indiretta la disparità vietata è l'effetto di un atto, di un patto di una disposizione di una prassi in sé legittima. Di un comportamento che è corretto in astratto e che, in quanto destinato a produrre i suoi effetti nei confronti di un soggetto con particolari caratteristiche, nello specifico un portatore di handicap, determina invece una situazione di disparità che l'ordinamento sanziona.
Sono perciò diversi i presupposti di fatto e, conseguentemente, le allegazioni che devono sorreggere una azione volta a far valere una discriminazione diretta rispetto a quelli necessari per sostenere una richiesta di accertare l'esistenza di una discriminazione indiretta e viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice che senza una specifica richiesta ed in mancanza di specifiche allegazioni, pur nell'identità del petitum, muti la causa petendi e qualifichi la discriminazione come diretta in luogo di quella indiretta prospettata dalla parte.
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