La continenza qualitativa e alcuni casi problematici relativi alla sua applicazione

Vincenza Di Cristofano
02 Ottobre 2019

È possibile distinguere la teoria c.d. quantitativa e la teoria c.d. qualitativa della continenza. Nel presente contributo si esaminerà l'evoluzione giurisprudenziale che ha condotto all'accoglimento della più ampia nozione della continenza qualitativa nonché le più rilevanti applicazioni pratiche
Il quadro normativo

Mentre il comma 1 dell'art. 39 c.p.c. disciplina gli effetti della litispendenza sulla competenza applicando il criterio della prevenzione, il comma 2 del medesimo articolo disciplina gli effetti sulla competenza di quel particolare aspetto della litispendenza che è la continenza di cause (per una compiuta disamina della quale si rinvia a V. Papagni, Continenza, su www.ilProcessoCivile.it). Tale disposizione è stata modificata dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 e comunque non fornisce alcuna definizione della continenza; tale definizione deriva quindi dall'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale succedutasi nel tempo. Dalla predetta elaborazione è possibile distinguere la teoria c.d. quantitativa e la teoria c.d. qualitativa della continenza. Nel presente contributo si esaminerà l'evoluzione giurisprudenziale che ha condotto all'accoglimento della più ampia nozione della continenza qualitativa nonché le più rilevanti applicazioni pratiche.

La continenza quantitativa e la continenza qualitativa

Come noto, l'art. 39, comma 2, c.p.c. non dà una definizione della continenza di cause, considerando implicita la sua nozione allorquando fornisce la regola da applicare qualora essa si verifichi (Monteleone).

In proposito si confrontano due tesi. Secondo la prima, più restrittiva, c.d. teoria quantitativa della continenza (Franchi; Lorenzetto-Peserico), quest'ultima si verifica quando due cause, aventi le stesse parti e la stessa causa petendi, pendono davanti a giudici diversi con un oggetto parzialmente diverso, nel senso che il petitum di una di esse è più ampio e tale da contenere il petitum dell'altra (vi è continenza, ad esempio, tra le cause aventi ad oggetto il pagamento del capitale e degli interessi e la causa avente ad oggetto solo il capitale).

In tale prospettiva, la continenza viene considerata come una forma di parziale litispendenza (di cui possiede tutti i caratteri fondamentali tranne uno: manca la totale identità dell'oggetto tra le due cause), autonomamente regolata dal comma 2 dell'art. 39 c.p.c. per soddisfare l'esigenza di un'unica pronuncia su di un'unica controversia.

A fondamento della disciplina legislativa dell'istituto in esame non risiede, infatti, solo l'esigenza dell'economia dei giudizi, come avviene per la connessione di cause, ma quella ben più rilevante di prevenire in radice il formarsi di giudicati contraddittori tra le stesse parti, così come avviene per la litispendenza (Satta).

Secondo la tesi più ampia, c.d. teoria qualitativa della continenza (Redenti; Merlin), la continenza comprende invece ogni caso di interferenza negli effetti pratici delle pronunce e, quindi, anche le ipotesi in cui vi sia tra le cause una relazione di interdipendenza tale che la decisione di una causa costituisca presupposto per la decisione dell'altra o, comunque, sia tale da porre l'esigenza di evitare conflitti di giudicati (la continenza ricorre, ad esempio, quando in una causa viene chiesto l'annullamento del contratto e in un'altra la risoluzione dello stesso per inadempimento).

Alla stregua di tale impostazione, la continenza finisce, pertanto, col diventare una sottospecie della connessione.

L'indirizzo da ultimo esposto sembra prevalere nella giurisprudenza più recente, la quale ravvisa la continenza non solo quando due cause siano caratterizzate da identità di soggetti e titolo e da una differenza soltanto quantitativa dell'oggetto, ma anche quando le due cause vengano a trovarsi tra loro in un rapporto di interdipendenza o di pregiudizialità, in quanto le domande ed eccezioni rispettivamente proposte, traendo origine da un unico rapporto, si pongono in contrapposizione o in una situazione di alternatività decisoria, che può dar luogo a conflitti di giudicati (Cass. civ., Sez. Un., 23 luglio 2001, n. 10011; Cass. civ., III, 08 gennaio 2001 n. 186; Cass. civ., II, 30 marzo 2000 n. 3924).

Questo allargamento della nozione di continenza è contrastato in dottrina da A. Lorenzetto Peserico (in questo senso anche Monteleone) attraverso la critica alla tesi che alla base dell'istituto stia la ratio di evitare il contrasto pratico di giudicati, anziché quella che sta alla base anche della litispendenza, ossia l'esigenza di evitare la reiterazione della giurisdizione. Conseguentemente secondo questa teoria l'istituto si applica solo quando tra le azioni proposte in separati processi ci sia un'identità parziale, per cui la decisione su una domanda comporta consumazione (totale o parziale) del potere di decidere anche sull'altra.

Ampia è la casistica generata dalla giurisprudenza sul punto.

CASISTICA

Cass. civ., sez. III, 1° marzo 1988 n. 2150

che si riferisce all'adempimento di rate rispetto alla validità del contratto

Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1984, n. 5341

che ha considerato continente il giudizio relativo all'esecuzione di un contratto rispetto a quello sulla validità di una clausola di quel contratto

Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 1994, n. 11023

che ha considerato continente il giudizio relativo all'accertamento di un debito rispetto al giudizio di condanna al pagamento di quel debito

Cass. civ., sez. II, 14 giugno 1999 n. 5849

che ha precisato che non c'è continenza se una delle contrapposte obbligazioni non è contestata

Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2000, n. 3924

che ha ritenuto la continenza in caso di parziale coincidenza della causa petendi

Cass. civ., sez. III, 4 aprile 1997, n. 2922

che ha ritenuto la configurabilità di un rapporto di continenza rispetto ad obbligazioni extracontrattuali

Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2000, n. 5882

che ha ritenuto il rapporto di continenza tra il giudizio promosso dal danneggiato e quello di regresso verso gli altri debitori solidali

Effetti della continenza fra cause che pendono all'interno del medesimo ufficio giudiziario

La disciplina della continenza, prevista dall'art. 39 c.p.c., presuppone la pendenza di due cause, di cui una continente, davanti a giudici diversi, per cui essa si pone come uno dei criteri di spostamento della competenza di una delle due cause. Quando, invece, le due cause - come nella specie - già pendano davanti allo stesso giudice, il problema non si pone più in termini di spostamento della competenza, ma in termini di riunione ai sensi degli artt. 273 e 274 c.p.c. a seconda che si individui l'identità, sia pur parziale, di cause o la connessione (Cass. civ., I, 21 giugno 2018, n.16346).

La locuzione “stesso giudice” fa riferimento al medesimo ufficio giudiziario. Infatti la Suprema Corte (Cass. civ., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 21761) ha precisato che gli istituti della litispendenza e della continenza (che regolano la competenza per territorio), operano soltanto fra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, secondo quanto reso evidente dal dato testuale dell'art. 39 c.p.c.; pertanto, se le cause identiche o connesse, pendano dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, trovano applicazione gli artt. 273 e 274 c.p.c., ovvero, quando ragioni di ordine processuale impediscano la riunione ed una causa sia pregiudiziale rispetto all'altra o sia già giunta a sentenza, operano gli istituti della sospensione, di cui agli artt. 295 e 337 c.p.c.

Continenza qualitativa tra il giudizio di accertamento negativo del credito e il procedimento monitorio

Tra i casi che hanno sollevato aspetti problematici si evidenzia l'ipotesi in cui la parte nei cui confronti è stata chiesta l'emissione di un decreto ingiuntivo abbia proposto una domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati. Ci si è domandati quindi se in tale caso, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause, quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione al decreto ingiuntivo eventualmente proposta.

La giurisprudenza (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 23 luglio 2001, n. 10011) afferma che se la causa, in relazione alla quale è stato emesso il decreto ingiuntivo, è in rapporto di continenza con un'altra causa pendente davanti ad un giudice diverso preventivamente adito in sede di cognizione ordinaria, il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, nell'esercizio della propria competenza funzionale e inderogabile sull'opposizione, deve anzitutto dichiarare l'incompetenza del giudice che ha emesso il decreto; deve poi, conseguentemente, dichiarare la nullità del medesimo decreto ingiuntivo e fissare infine un termine perentorio entro il quale le parti devono riassumere la causa davanti al primo giudice (Cristina Asprella).

Sia la pronuncia di incompetenza sia la declaratoria di nullità discendono dalla ritenuta relazione di continenza (di regola qualitativa) tra l'oggetto del giudizio monitorio e l'oggetto di un processo di cognizione che sia stato iniziato precedentemente.

Diviene quindi decisivo stabilire quali dei due processi indicati sia stato incardinato per primo. Si sa che se la domanda è formulata con atto di citazione la pendenza del processo si determina dalla sua notificazione (art. 39, comma 3, c.p.c.); se invece è proposta con ricorso si ritiene che il rilevi il momento in cui è depositato (Cass. civ., Sez. Un., 11 maggio 1992, n. 5597). Circa il procedimento per decreto ingiuntivo viene in rilievo la lettera dell'art. 643 c.p.c, il quale – dopo aver stabilito al comma 2 che “il ricorso e il decreto sono notificati” – stabilisce al comma 3 che “la notificazione determina la pendenza della lite”. In aderenza con il dato normativo appena indicato la Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2006, n.2319), in linea con l'orientamento tradizionale, ha dichiarato che “In tema di procedimenti monitori che iniziano con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, la pendenza della lite va determinata con riferimento alla notifica del ricorso e del conseguente decreto ingiuntivo, così come disposto dall'art. 643 c.p.c., norma speciale e non soggetta a deroghe in base a principi di carattere generale. Pertanto, al fine di determinare l'eventuale spostamento di competenza per continenza di una causa di opposizione a decreto ingiuntivo e di una controversia introdotta con rito ordinario, si deve fare riferimento alla data di instaurazione della lite secondo il criterio sopra indicato, ferma restando la competenza funzionale inderogabile del giudice che ha pronunciato il decreto a dichiararne la nullità”. Tale pronuncia tuttavia non elimina i rischi cui può andare incontro il creditore che abbia prescelto la strada del procedimento monitorio per il periodo successivo al deposito del ricorso e anteriore a quello nel quale egli, conseguito il decreto, ne possa curare la notificazione, insieme con il ricorso originario, alla controparte (art. 643, comma 3, c.p.c.). In tale caso può verificarsi che il debitore instauri un giudizio ordinario che si ponga in termini di continenza qualitativa con l'oggetto della pretesa azionata in via monitoria, con tutte le conseguenze sopra indicate. A tal proposito la Suprema Corte (con le sentenze Cass. civ., sez. I, 20 aprile 2006, n.9181 e Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2003, n.3978) ha offerto una soluzione proponendo una lettura difforme da quella tradizionale affermando che per stabilire la prevenzione tra il giudizio ordinario e il procedimento monitorio occorre raffrontare la data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo rispetto alla data di notifica dell'atto di citazione. L'insorto contrasto è stato poi successivamente composto da Cass. civ., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n.20596 affermando che «Nel caso in cui la parte nei cui confronti è stata chiesta l'emissione di decreto ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause, quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare in questo senso, retroagendo gli effetti della pendenza della controversia introdotta con la domanda di ingiunzione al momento del deposito del relativo ricorso, sempre che la domanda monitoria sia stata formulata davanti a giudice che, alla data della presentazione, era competente a conoscerla».

In evidenza

Nel caso di ricorso monitorio telematico, la prevenzione di cui all'art. 39 c.p.c. è determinata, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/12, conv. in l. n. 221/12, dal deposito dello stesso, consistente nell'invio telematico e nella generazione della ricevuta di avvenuta consegna, essendo irrilevante la data, eventualmente successiva, di iscrizione a ruolo ad opera del personale di cancelleria che ha lavorato l'atto in via telematica (Cass. civ., sez. VI, 19 gennaio 2018, n. 1366).

Tra opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione del credito pignorato e domanda, monitoriamente proposta, per la restituzione delle somme percette

Un'ipotesi peculiare su cui di recente è intervenuta un'interessante pronuncia della Suprema Corte a sancire la relazione di continenza qualitativa concerne appunto il rapporto tra un giudizio di opposizione agli atti esecutivi proposto dal creditore procedente avverso l'ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati in una procedura di espropriazione forzata presso terzi e il procedimento monitorio (e quindi la fase dell'opposizione) avviato dal medesimo creditore procedente nei confronti della creditrice intervenuta al fine di ottenere la restituzione delle somme che il debitore terzo pignorato aveva ad ella corrisposto in virtù di un'ordinanza di assegnazione poi successivamente sospesa.

Ebbene il Tribunale presso cui pendeva il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sospendeva ex art. 295 c.p.c. il giudizio nell'attesa della definizione dell'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione.

La Corte di cassazione (Cass. civ., VI, 21 dicembre 2018 , n. 33180) pronunciandosi sul regolamento di competenza promosso dal creditore procedente ha ritenuto che è soltanto nel giudizio di merito sull'opposizione agli atti esecutivi che deve essere stabilita la legittimità dell'ordinanza di assegnazione del credito in favore del creditore assegnatario e conseguentemente vagliata l'ammissibilità e la fondatezza di ogni richiesta restitutoria della società opponente (necessariamente subordinata alla definitiva statuizione sul soggetto legittimato a conseguire l'assegnazione dei crediti pignorati). Ha quindi affermato che «Tra la causa di opposizione a decreto ingiuntivo, relativa al diritto alla restituzione della somma assegnata all'esito di un procedimento di espropriazione presso terzi, e la causa di opposizione agli atti esecutivi, avente ad oggetto l'individuazione del soggetto legittimato a percepire le somme pignorate nella medesima procedura esecutiva, sussiste una relazione di continenza, posto che in entrambi giudizi occorre accertare definitivamente la titolarità del diritto all'assegnazione delle somme pignorate».

Tale conclusione appare in linea con la nozione di continenza qualitativa consolidata in giurisprudenza.

Continenza qualitativa e contratto autonomo di garanzia

La Suprema Corte con la pronuncia Cass. civ. 27 settembre 2018, n. 23305, ha di recente ritenuto che non sussiste continenza ai sensi dell'art. 39, comma 2, c.p.c., tra il giudizio di mero accertamento dell'illegittimità dell'escussione di una garanzia autonoma ed il giudizio di rivalsa, azionato in via monitoria, avente ad oggetto la condanna del garantito al pagamento di quanto prestato dal garante, in ragione della autonomia dei rapporti negoziali che vengono in considerazione.

In effetti tale pronuncia rileva che affinché possa ravvisarsi un rapporto di continenza di tipo qualitativo ai sensi dell'art. 39, comma 2, c.p.c., in base al consolidato orientamento della Suprema Corte, occorre che fra le due cause «sussista un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alternatività e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale delle causae petendi, nonché quando le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto (alla stregua della sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico giuridica) per la definizione del giudizio successivo, come nell'ipotesi in cui le contrapposte domande concernano il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni» (così, ex multis, Cass. civ., sez. VI, 3 agosto 2017, n. 19460).

Alla luce di questo ben si comprende perché la Suprema Corte, nel caso di specie, non abbia ritenuto sussistente la continenza: vista la “trilateralità” del rapporto che caratterizza il contratto autonomo di garanzia (in cui il rapporto che lega il garante al beneficiario ha natura autonoma rispetto al rapporto che intercorre tra garante e garantito, da un lato, e quello intercorrente tra garantito/debitore e creditore/beneficiario della garanzia, dall'altro) e poiché il giudizio preveniente verteva esclusivamente sulla legittimità dell'escussione della garanzia, senza coinvolgere (nemmeno in via riconvenzionale) il diverso rapporto tra garante autonomo e garantito (oggetto dell'azione di rivalsa attivata successivamente in via monitoria), non poteva dirsi sussistente il requisito della “unitarietà” del rapporto negoziale, necessario ai fini della continenza. Pertanto, due appaiono essere gli aspetti dirimenti: la natura (autonoma) dei rapporti negoziali considerati, nonché la loro “declinazione” processuale nei due giudizi pendenti.

In conclusione

Come si è visto dalla casistica sopra esaminata la giurisprudenza di legittimità fa ormai pacifica applicazione della tesi più ampia della c.d. continenza qualitativa a mente della quale la stessa sussiste in presenza di un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alternatività e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale delle causae petendi, nonché quando le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto (alla stregua della sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica) per la definizione del giudizio successivo, come nell'ipotesi in cui le contrapposte domande concernano il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni (cfr., ex plurimis, Cass. civ., 3 agosto 2017, n. 19460). L'applicazione di siffatto orientamento, come visto, se non è compromessa dalla circostanza per la quale in uno dei due giudizi sia presente anche un soggetto diverso (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 1° ottobre 2017, n. 20596) tuttavia non può prescindere dall'unicità e dall'identità del rapporto negoziale (anche se soltanto parziale) nonché dalla dipendenza delle domande contrapposte da una o più questioni comuni (Cass. civ., I, 29 novembre 2000, n. 15296).

Guida all'approfondimento
  • Asprella, La translatio iudici, Giuffrè 2010, pagg. 39 e ss.;
  • Franchi, sub art. 39, I, 1, Torino 1973, 413 e ss.;
  • Lorenzetto-Peserico, La continenza, Padova 1993, 119 e ss.;
  • Merlin, GI 1989, I, 1, 607;
  • Monteleone, Continenza, EG, VIII, Roma 1988, 1;
  • Redenti, Diritto processuale civile, II, 3° ed. a cura di Carnacini e Vellani, Milano 1985, 148-149;
  • Satta, Diritto processuale civile, II, 10 ed. a cura di Punzi, Padova 1987, 58-59.
Sommario