Versamento del prezzo di vendita

05 Luglio 2024

Verificatasi l'aggiudicazione, il versamento del residuo del prezzo avviene nei termini e nei modi fissati dall'ordinanza che dispone la vendita all'incanto a norma dell'art. 576 c.p.c.: così dispone l'art. 585 c.p.c.

Inquadramento

Verificatasi l'aggiudicazione, il versamento del residuo del prezzo avviene nei termini e nei modi fissati dall'ordinanza che dispone la vendita all'incanto a norma dell'art. 576 c.p.c.: così dispone l'art. 585 c.p.c. Nonostante l'obsoleto rinvio contenuto nel dato normativo all'aggiudicazione disposta a conclusione della vendita all'incanto, l'ambito di applicazione della norma coinvolge senz'altro anche la vendita senza incanto, essendo in tal caso previsto dall'art. 574 c.p.c. che il giudice dell'esecuzione quando fa luogo alla vendita, dispone con decreto il modo del versamento del prezzo ed il termine, dalla comunicazione del decreto, entro il quale il versamento deve farsi.

In linea più generale, e cioè indipendentemente dalla tipologia di vendita adottata, il versamento del prezzo integra una vera e propria obbligazione a carico dell'aggiudicatario, essendo per questi prevista dagli artt. 587 c.p.c. e 177 disp. att c.p.c. la perdita a titolo di multa della cauzione versata e la condanna al pagamento della differenza tra quanto offerto e quanto ricavato, aumentato della cauzione confiscata, nell'ambito della successiva vendita. Si aggiunga che il rituale versamento del saldo prezzo da parte dell'aggiudicatario è il presupposto perché il giudice dell'esecuzione possa emettere il decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c.

La perentorietà del termine

Nell'interpretazione della giurisprudenza di legittimità il termine per il versamento del prezzo ha natura perentoria e, pertanto, non è nella disponibilità delle parti né del giudice dell'esecuzione; in questo stato di cose è insuscettibile di essere prorogato, indipendentemente dalla sussistenza di un'istanza di proroga dell'aggiudicatario (art. 153 c.p.c.).

 

In evidenza

L'opposizione agli atti esecutivi va proposta avverso un atto del processo esecutivo e tale non è il provvedimento con cui il giudice conceda all'aggiudicatario la proroga del termine per il versamento del prezzo; avverso tale provvedimento, ancorché illegittimo, non si configura un onere di opposizione, almeno fino a quando non sia emesso il decreto di trasferimento, poiché sino a quel momento si può rivolgere istanza al giudice dell'esecuzione affinché revochi il provvedimento e dichiari la decadenza dell'aggiudicatario ex art. 587 c.p.c. (Cass. civ., 19 dicembre 2014, n. 26884).

Più di recente è stato meglio specificato che il termine per l'opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione che, su richiesta dell'aggiudicatario, abbia prorogato il termine per il versamento del prezzo decorre dall'adozione del provvedimento stesso ovvero dal rigetto dell'istanza per la sua revoca e non dall'emissione del decreto di trasferimento, in quanto non può essere invocata la nullità dell'atto susseguente se non è stato fatto valere il vizio dell'atto presupposto, salvo che l'opponente abbia incolpevolmente ignorato l'esistenza di quest'ultimo (Cass. civ., 19 settembre 2023, n. 26824).

La perentorietà del termine, seppur non espressamente contemplata dal dato normativo, può desumersi dalla sua funzione. Conseguentemente il termine può essere perentorio anche in assenza di una sua esplicita qualificazione in tal senso (Cass. civ., sez. un., 12 gennaio 2010, n. 262). Né può essere trascurato che all'inutile decorso del termine s'accompagna l'esplicita comminatoria di decadenza dall'aggiudicazione ai sensi dell'art. 587 c.p.c., che è effetto giuridico proprio del termine perentorio.

 

In evidenza

Per la Suprema Corte la perentorietà del suddetto termine, stante la necessaria immutabilità delle iniziali condizioni del subprocedimento di vendita, sono essenziali per le determinazioni dei potenziali offerenti, perché tendono a mantenere - per l'intero procedimento di vendita forzata - l'uguaglianza e la parità di quelle condizioni tra tutti i partecipanti alla gara, nonché l'affidamento di ognuno di loro sull'una e sull'altra e, di conseguenza, sulla trasparenza assicurata dalla coerenza ed immutabilità delle condizioni tutte (Cass. civ., 10 dicembre 2019, n. 32136; Id., 29 maggio 2015, n. 11171).

In sintesi: le particolari condizioni stabilite dal giudice - per lo svolgimento del subprocedimento di vendita - sono rette da un canone fondamentale qual è quello della parità tra quanti vengono sollecitati ad offrire; parità che può essere rispettata se ed in quanto tutte le suddette condizioni restano invariate. In questo stato di cose è stato altresì affermato che il termine perentorio per il versamento del saldo è quello stabilito dal giudice con l'ordinanza di vendita; ne deriva che la mancata comparizione dello stesso aggiudicatario alla pubblica udienza fissata per l'esame delle offerte non impone di comunicargliene l'esito e non giustifica una dilazione del termine in questione; al contrario, il diverso termine fissato dal medesimo giudice con il decreto previsto dall'art. 574, comma 1, c.p.c. trova applicazione solo qualora la menzionata ordinanza non contenga indicazioni al riguardo (Cass. civ. 2 luglio 2021, n. 18841).

Fermo restando il rispetto delle condizioni di vendita pubblicate, è consentito al giudice modificare o revocare l'ordinanza di vendita sino a quando la vendita non sia iniziata (art. 487 c.p.c.), sempre che si tratti di ragioni di ordine oggettivo e non certo per favorire esigenze manifestate da un singolo potenziale offerente, e comunque unicamente attraverso la sostituzione della (precedente con una successiva) ordinanza ed una sua rinnovata pubblicazione, da eseguire nei modi prescritti dall'art. 490 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 12 gennaio 2010, n. 262).

E' appena il caso di precisare che a tale arresto si allinea altra decisione per cui è valida la vendita qualora l'aggiudicatario del bene versi il saldo prezzo nel termine - diverso e maggiore rispetto a quello originariamente fissato nell'ordinanza ex art. 569 c.p.c. - successivamente a quanto stabilito dal giudice, con provvedimento generale modificativo delle condizioni di svolgimento di tutte le vendite forzate dell'ufficio, che sia stato emesso prima dell'esperimento di vendita e pubblicizzato nelle forme di cui all'art. 490 c.p.c. (Cass. civ., 24 febbraio 2015, n. 3607).

Riassumendo: al giudice dell'esecuzione è preclusa la proroga del termine per il versamento del residuo prezzo a beneficio dell'aggiudicatario, perché finirebbe per alterare ex post le condizioni che hanno regolato lo svolgimento della vendita e che hanno originato le determinazioni degli interessati all'acquisto.

Se così è, confligge con il canone fondamentale della parità tra quanti vengono sollecitati ad offrire e della uniformità delle condizioni di gara la clausola contenuta nell'avviso di vendita che, fissato un termine, è consentita la proroga fino al termine massimo di legge se sussiste un'istanza dell'aggiudicatario oltre a determinate condizioni (ad es. versamento di un supplemento di cauzione). Analogamente non può trovare accoglimento la richiesta dell'aggiudicatario “provvisorio” di versare il saldo prezzo in due soluzioni, indipendentemente dalla circostanza che sia qualificata come istanza di proroga del termine per il versamento del saldo-prezzo; ovvero come istanza di rateizzazione ai sensi dell'art. 569, comma 3, ult. parte, c.p.c. Invero, laddove l'ordinanza di vendita non contempli modi e tempi di presentazione di una simile istanza, appare chiaro ex littera legis che la stessa vada formulata unitamente all'offerta, tenuto conto del fatto che, ai sensi dell'art. 571 c.p.c., l'offerente deve presentare una dichiarazione contenente l'indicazione del tempo e del modo del pagamento (così R. Giordano, Versamento del cd. saldo-prezzo tra istanza di proroga e rateizzazione, in www.ilProcessoCivile.it).

Laddove poi la vendita sia soggetta ad IVA, il mancato pagamento dell'imposta, da parte dell'aggiudicatario che abbia versato il prezzo entro il termine previsto, non ne determina la decadenza ex art. 587 c.p.c., in quanto l'IVA non può considerarsi parte integrante del prezzo, attenendo alla tassazione del trasferimento immobiliare (Cass. civ. 18 maggio 2022, n. 15912).

Rientra, di contro, nella logica della perentorietà del termine di versamento del prezzo, la concessione all'aggiudicatario del beneficio della remissione in termini, che ormai costituisce un istituto di portata generale di cui all'art. 153 cpv., c.p.c. (introdotto dall'art. 45, comma 19, l. 18 giugno 2009, n. 69), secondo cui la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini.

Resta da dire che la prova dell'impedimento ex art. 294 c.p.c. può essere fornita solo per documenti, non essendo consentito al giudice dell'esecuzione assumere prove costituende.

La sospensione del termine per il versamento durante il periodo feriale

Quanto al problema se il termine in esame sia soggetto alla sospensione feriale di cui all'art. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742, a noi pare che l'aggiudicatario non sia parte del procedimento né ausiliario del giudice né necessita di difesa tecnica e che il versamento del prezzo abbia una rilevanza meramente “sostanziale”. Né potrebbe configurarsi, a nostro avviso, alcun vulnus al diritto di difesa, perché il pagamento del saldo prezzo non costituisce certamente un atto opponibile ex art. 617 c.p.c., ben potendo invece opporsi il successivo decreto di trasferimento, con relativi termini di proponibilità sospesi nel periodo feriale.

A conclusioni diverse era però giunta la Suprema Corte per cui sono termini processuali quelli fissati per il compimento di atti processuali e cioè di atti che hanno, comunque, rilevanza processuale, perché rivolti a costituire, svolgere o concludere un processo esecutivo (Cass. civ., 19 gennaio 1987, n. 420 in Giur. it. 1987, I, 1, 2000, sul termine per la presentazione della offerta in aumento ex art. 584 c.p.c.).

 

In evidenza

Il principio suddetto è stato ribadito dalla Suprema Corte, con riguardo al versamento del saldo prezzo, in un caso di liquidazione fallimentare «secondo le disposizioni del codice di procedura civile». Segnatamente, il termine per il versamento del prezzo non avrebbe funzione sostanziale, atteso che lo stesso si inserisce nel procedimento esecutivo, ma non lo conclude, per costituire il versamento del prezzo un adempimento prodromico al trasferimento del bene; da qui la natura processuale del termine, in quanto inteso a scandire il compimento di atti aventi natura processuale, diretti a concludere la fase del processo esecutivo (Cass. civ., 13 luglio 2012, n. 12004, in Il fallimento, 2013, 181 ss.).

 

Più di recente tale orientamento è stato rimeditato dall'affermazione che il termine per il versamento del saldo è di natura sostanziale, in quanto posto a presidio dello ius ad rem relativo all'emissione del decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c., attenendo all'adempimento dell'obbligazione pecuniaria assunta dall'aggiudicatario stesso (attività, quest'ultima, che non necessita di difesa tecnica ma costituisce esecuzione di un atto dovuto e non negoziale); ne consegue che esso non è soggetto alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale ex art. 1 della l. n. 742/1969 (Cass. civ., 8 giugno 2022, n. 18421; Cass. civ., 14 febbraio 2023, n. 4447).

Da ultimo, non va trascurato come la precedente interpretazione, oggi sconfessata dalla Suprema Corte, comportasse rilevanti ricadute sulla ragionevole durata del processo, alterando la parità di trattamento di tutti gli interessati alle vendite forzate. Del resto, gli aggiudicatari che diventano tali nel periodo primaverile - estivo avrebbero a disposizione un lasso di tempo maggiore rispetto a coloro che offrono in altri periodi dell'anno. Né rileva che l'offerente intenda stipulare un mutuo con versamento diretto delle somme a favore della procedura e contestuale emissione del decreto di trasferimento. Ciò in quanto l'offerente che intenda così finanziare il proprio acquisto dovrebbe attivarsi, con un certo anticipo, per ottenere la concessione del mutuo.

L'assunzione del debito ipotecario

Qualunque aggiudicatario (o assegnatario) può concordare, a norma dell'art. 508 c.p.c., con il creditore ipotecario l'assunzione del debito in alternativa al versamento in denaro del prezzo di aggiudicazione.

Bisogna inoltre considerare che l'assunzione del debito impedisce il verificarsi dell'effetto purgativo della vendita forzata con riguardo all'ipoteca iscritta a garanzia e che le condizioni concordate dell'assunzione del debito ben possono prevedere, ad esempio, che l'aggiudicatario adempia il debito con gli interessi e secondo le scadenze originarie del piano di ammortamento, di modo che il creditore – se rinuncia ad un immediato soddisfacimento – è titolare di una ragionevole aspettativa di portare a compimento il piano di rimborso, limitando il rischio di incapienza del credito.

Il consenso di creditore e aggiudicatario non è, di per sé, condizione sufficiente a determinare la fattispecie dell'assunzione del debito: il ricavato della vendita è vincolato al soddisfacimento di tutti i creditori e non è consentito a uno solo di essi di pregiudicare il diritto degli altri a soddisfarsi in sede di riparto, riducendo la massa attiva. Per questa ragione, l'art. 508 c.p.c. subordina l'accordo all'autorizzazione del giudice che può concederla solo per la parte di prezzo eccedente quanto occorre per le spese e per la soddisfazione degli altri creditori capienti, ex art. 585 c.p.c.; vale a dire limitatamente all'importo in cui il credito ipotecario risulti capiente in sede di riparto.

In altre parole: per stabilire la misura dell'esonero dal versamento del prezzo il giudice anticipa quelle determinazioni tipiche della fase distributiva. Sembra, pertanto, indispensabile che il giudice, prima di emettere il decreto di limitazione del versamento, senta le parti ovvero disponga di una nota di precisazione del credito e delle spese privilegiate ex art. 2770 c.c. fornitagli dal creditore ipotecario e dagli altri con collocazione anteriore all'ipoteca.

In evidenza

L'accordo tra creditore e aggiudicatario ha valenza liberatoria per il debitore originario, come è espressamente previsto dall'art. 508 c.p.c., nei limiti del prezzo di aggiudicazione che l'aggiudicatario è dispensato dal versare. La liberazione del debitore e dei garanti, effetto dell'accordo tra aggiudicatario e creditore ipotecario circa l'assunzione del debito e la dispensa dal versamento del prezzo, accordo cui non partecipa il debitore, non può dai detti soggetti, essere ritardata o sospesa, né può essere condizionata all'adempimento del debito assunto dall'aggiudicatario (Cass. civ., 11 luglio 1967, n. 1712, in Foro it. 1968, I, 212).

La liberazione dal debito determina, inoltre, l'estinzione delle garanzie annesse al credito, se il garante non consente espressamente a mantenerle ex art. 1275 c.c.

Discorso diverso, come in parte già anticipato, va fatto per l'ipoteca sull'immobile staggito, poiché il consenso all'assunzione del debito ipotecario presuppone quello a conservare la relativa iscrizione. Ed infatti l'art. 586, comma 1,c.p.c. esclude che il giudice ordini la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie relative ad obbligazioni assunte dall'aggiudicatario ex art. 508 c.p.c.

Resta fermo che l'assunzione del debito, con le garanzie ad esso inerenti, da parte dell'aggiudicatario ai sensi dell'art. 508 c.p.c. - in accordo col creditore ipotecario e con l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione - costituisce una modalità alternativa di pagamento del prezzo di aggiudicazione che determina, da un lato, l'immediata e incondizionata liberazione del debitore nei limiti del debito assunto (e, cioè, della parte del prezzo che l'aggiudicatario è dispensato dal versare) e, dall'altro, la soddisfazione - non necessariamente totale, ma nella sola medesima misura corrispondente al debito assunto dall'aggiudicatario - del creditore ipotecario, con conseguente suo diritto di partecipare alla distribuzione del ricavato (anche col rango ipotecario, se spettante) per il credito eventualmente residuo (Cass. civ. 21 agosto 2023, n, 24885).

In seguito alla liberazione del debitore, l'ipotecario non ha più alcun diritto a concorrere al riparto, posto che la garanzia ipotecaria si conserva in capo al nuovo proprietario. In questo stato di cose l'eventuale soddisfacimento del credito oggetto dell'accordo non potrebbe più avvenire nel processo esecutivo che rimane insensibile rispetto ad eventuali inadempimenti dell'aggiudicatario. In altre parole, la vendita forzata rimane stabile e l'inadempimento determina il diritto del creditore ad agire nuovamente in via esecutiva sull'immobile.

Laddove poi subisca l'evizione, l'aggiudicatario non deve più onorare il debito assunto; e, ad un tempo, può agire per la ripetizione delle somme eventualmente già corrisposte. Non va, difatti, trascurato che l'accordo di assunzione del debito è una modalità di versamento del prezzo della vendita forzata, con conseguente applicazione della disciplina delle garanzie, incluso l'art. 2921 c.c.

Il versamento del prezzo tramite finanziamento ipotecario

L'aggiudicatario può, inoltre, acquistare l'immobile tramite un contratto di finanziamento garantito da ipoteca: le somme sono erogate dall'ente finanziatore, mediante emissione di assegno circolare ovvero con bonifico o accredito su conto corrente intestato alla procedura.

A garanzia delle ragioni dell'ente che ha concesso il mutuo è contestualmente iscritta ipoteca sull'immobile, azzerando così il rischio che tra la trascrizione del decreto e l'iscrizione dell'ipoteca vengano effettuate annotazioni pregiudizievoli per il mutuante. Ciò è possibile in quanto nel decreto di trasferimento sono espressamente riportati sia il contratto di finanziamento sia l'ipoteca; di qui l'obbligo per il conservatore dei registri immobiliari di eseguire la trascrizione del decreto unitamente all'iscrizione dell'ipoteca.

È appena il caso di precisare che l'ipoteca può essere concessa "su cosa altrui"; l'iscrizione può tuttavia essere effettuata solo dopo l'acquisto della proprietà (l'iscrizione anteriore a tale momento è, infatti, nulla ex art. 2822 c.c.), vale a dire solo dopo il deposito in cancelleria del decreto di trasferimento.

Il finanziamento erogato per il pagamento del prezzo rimarrebbe quindi esposto, fino all'iscrizione dell'ipoteca, al rischio che siano medio tempore annotate trascrizioni pregiudizievoli per l'ipoteca (pignoramento, sequestro conservativo, ecc.) o iscritta altra ipoteca (giudiziale o esattoriale), privando il finanziamento della relativa garanzia.

Proprio per ovviare a questo rischio, il meccanismo di raccordo tra decreto di trasferimento e finanziamento ipotecario, di cui all'art. 585, comma 3, c.p.c., impone che il decreto di trasferimento riporti gli estremi del contratto di finanziamento, che preveda il versamento diretto delle somme erogate in favore della procedura e la garanzia ipotecaria di primo grado sull'immobile oggetto della vendita, e che a tale enunciazione faccia seguito il divieto per il conservatore dei registri immobiliari di «eseguire la trascrizione del decreto se non unitamente all'iscrizione dell'ipoteca concessa dalla parte finanziata».

Non va inoltre trascurato che, per la redazione del decreto di trasferimento, il contratto di finanziamento deve essere depositato in copia autentica per consentire al giudice di effettuare le verifiche di cui all'art. 585 c.p.c. e di indicare nel decreto gli estremi del titolo (parti, notaio rogante, data, repertorio e raccolta).

L'erogazione della somma a mezzo di finanziamento bancario garantito da ipoteca pone, ovviamente, una serie di problemi qualora il decreto di trasferimento non venga emesso per sospensione della vendita ex art. 586 c.p.c., ovvero venga caducato in seguito all'accoglimento di un'opposizione agli atti o, ancora, l'aggiudicatario patisca l'evizione. In queste fattispecie l'iscrizione ipotecaria, avente ad oggetto un immobile di cui il concedente non ha acquistato e/o ha perduto retroattivamente la proprietà, non può dirsi validamente concessa, lasciando il mutuante privo di garanzia nei confronti dell'acquirente-mutuatario per le somme versate alla procedura.

Rimane fermo che il mutuatario ha titolo a richiedere alla procedura esecutiva la restituzione della somma versata e ancora non distribuita, nonché il fondo spese per l'eventualità che il decreto non sia stato emesso e non abbia quindi ancora scontato l'imposizione fiscale, oppure ad agire in ripetizione nei confronti dei creditori e dell'esecutato per le somme ricevute in sede distributiva ex art. 2921 c.c.

Il mancato (o tardivo) versamento del prezzo: gli effetti

Decorso il termine stabilito per versare il saldo, il giudice verifica, come anticipato, che tale adempimento sia stato ritualmente eseguito e, se riscontra il mancato o il tardivo versamento, dichiara d'ufficio la decadenza dell'aggiudicatario, disponendo, a titolo di multa, la perdita della cauzione pari ad un decimo della base d'asta. Val la pena precisare che al mancato deposito del prezzo di vendita nel termine stabilito consegue in via automatica la perdita della cauzione a titolo di multa, non avendo il giudice alcuna discrezionalità nella pronunzia (Cass. civ. 12 ottobre 2023, n. 28461).

Per altro verso, sussiste l'interesse del debitore a proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il decreto di trasferimento, al fine di far valere la difformità delle modalità di pagamento del prezzo di aggiudicazione rispetto alle indicazioni contenute nell'avviso di vendita, consentendogli l'annullamento dell'aggiudicazione di evitare l'immediata perdita della proprietà dell'immobile pignorato e di conservare la possibilità di pervenire alla definizione della procedura esecutiva con modalità alternative alla liquidazione dei suoi beni; anche senza denunciare e provare la sussistenza di uno specifico pregiudizio (Cass. civ. 9 maggio 2022, n. 14542; Cass. civ. 6 dicembre 2022, n. 35867).

Il provvedimento di decadenza assume le forme del decreto e, a differenza della successiva condanna, non ha carattere costitutivo ma meramente esecutivo. Per tali ragioni il decreto di decadenza viene pronunciato senza la preventiva audizione dell'aggiudicatario e non può essere censurato con il ricorso straordinario, ai sensi del comma 7 dell'art. 111 Cost., ma soltanto con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. (Cass. civ., 31 agosto 2011, n. 17861).

In evidenza

L'opposizione agli atti esecutivi con la quale l'aggiudicatario deduce la nullità del decreto di condanna ai sensi degli artt. 587, comma 2, c.p.c. e 177 disp. att. c.p.c. in ragione della mancata comunicazione, nelle forme prescritte, del provvedimento di decadenza dall'aggiudicazione, ove formulata oltre il termine di cui all'art. 617, comma 2, c.p.c. dall'ultimo atto del procedimento (nella specie l'atto di precetto fondato sul decreto di condanna), è tempestiva soltanto se l'opponente alleghi e dimostri quando è venuto a conoscenza dell'atto presupposto nullo (cioè della sua mancata comunicazione e, quindi, della relativa nullità) e di quelli conseguenti, ivi compreso l'ultimo, e la medesima opposizione risulti avanzata nel termine di venti giorni da tale sopravvenuta conoscenza di fatto (Cass. civ., 24 maggio 2018, n. 13043)

Dichiarata la decadenza dell'aggiudicatario ed ordinato l'immediato incameramento della cauzione, il giudice fissa apposita udienza della quale il cancelliere dà comunicazione all'aggiudicatario inadempiente, al creditore che ha chiesto la vendita, nonché a quelli iscritti non ancora intervenuti, a norma dell'art. 176 disp. att. c.p.c.

Il decreto di condanna dell'aggiudicatario svolge la funzione di risarcimento del danno quantificato dall'art. 177 disp. att. c.p.c. nella differenza tra l'importo ricavato in sede di rivendita ed il prezzo di aggiudicazione. Tali somme, unitamente alla cauzione già confiscata, confluiscono nella massa attiva da distribuire ai creditori ovvero da restituire al debitore (o al terzo che ha subito l'espropriazione), qualora residui parte della somma ricavata.

Sempre stando alla lettera dell'art. 177 disp. att. c.p.c., l'importo da distribuire ai creditori non viene incrementato di un'ulteriore somma di denaro pari alla differenza di prezzo tra le due vendite, ma il creditore acquisisce soltanto un diritto di credito da far valere nei confronti del primo aggiudicatario, con un'autonoma azione al di fuori dell'esecuzione.

Laddove poi il prezzo ricavato dall'aggiudicazione del bene in sede di rivendita, unito a quello della cauzione confiscata, risulti superiore o pari a quanto offerto dall'aggiudicatario inadempiente, questi non può essere chiamato a rispondere della differenza di cui al comma 2 dell'art. 587 c.p.c. Ne segue allora che il giudice può condannare l'aggiudicatario inadempiente solo quando le somme ottenute in sede di rivendita siano inferiori all'offerta di quest'ultimo.

Resta da dire che a seguito della decadenza dell'aggiudicatario il processo regredisce alla fase immediatamente anteriore, determinandosi la riapertura della fase di vendita così come dispone l'art. 587 c.p.c. Risulta per contro illegittima e priva di fondamento normativo la prassi in uso presso alcune corti di merito di pronunciare nuova aggiudicazione a favore del secondo migliore offerente; ciò anche alla luce dell'art. 581, ult. comma, c.p.c., in forza del quale ogni offerente cessa di essere tenuto per la sua offerta quando essa è superata da un'altra, anche se poi questa è dichiarata nulla.

 

In evidenza

L'inadempimento nel versamento del prezzo di vendita comporta la decadenza dell'aggiudicatario e si deve procedere ad una nuova vendita, senza possibilità di far rivivere la precedente aggiudicazione (Cass. civ., 8 aprile 2003 n. 5506; più di recente Cass. civ., 15 gennaio 2013, n. 790).

La revoca dell'aggiudicazione ex art. 587 c.p.c. opera con efficacia ex tunc, travolgendo ab initio il subprocedimento di vendita (dall'avviso di vendita fino al provvedimento di aggiudicazione) e comporta il venir meno dell'obbligazione di pagare il prezzo nel termine sancito dall'ordinanza di cui all'art. 569, terzo comma, c.p.c. Per questa ragione la Corte ha confermato la sentenza impugnata che, accertata l'intervenuta revoca dell'aggiudicazione, aveva ritenuto irrilevante l'anteriorità, rispetto ad essa, della scadenza del termine di pagamento del prezzo ed inoperante la decadenza dell'aggiudicatario (Cass. civ., ord., 8 marzo 2013, n. 5934).

La prescrizione del diritto di credito nei confronti dell'aggiudicatario inadempiente, per il pagamento della differenza, quando la successiva vendita abbia fruttato un importo minore, decorre, a norma degli artt. 587, comma 2, c.p.c. e 177 disp. att. c.p.c., dal momento in cui la nuova aggiudicazione diviene definitiva, essendo la disciplina legale finalizzata a presidiare la serietà delle offerte presentate in sede di incanto, facendo gravare sull'aggiudicatario inadempiente il rischio che il bene venga a subire deprezzamenti di valore a seguito del decorso del tempo, fino ad una nuova aggiudicazione (Cass. civ., 5 agosto 2021, n. 22343). La Suprema Corte ha altresì chiarito che l'aggiudicatario di un immobile, dichiarato decaduto per omesso versamento del saldo del prezzo nel termine stabilito, non ha diritto a ricevere la notificazione dell'avviso della successiva vendita, sebbene dall'esito della stessa dipenda la misura in cui egli sarà tenuto nei confronti della procedura ex art. 587, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 29732/2019).

La decadenza dell'aggiudicatario viene disposta dal g.e. indipendentemente dalla circostanza che sia stata sancita nell'avviso di vendita. Per la giurisprudenza (Cass. 7 giugno 2024, n. 15985) non sussiste, difatti, alcun obbligo normativo di inserire nell'avviso di vendita avvertimenti per gli offerenti circa le conseguenze della loro inadempienza, ma nemmeno può sostenersi che si tratti di clausole contrattuali. Né il dovere di trasparenza nella vendita giudiziaria e nelle regole che la disciplinano (ex multis, Cass. del 29 maggio 2015 n. 11171 e Cass. del 10 dicembre 2019, n. 32136) concerne le disposizioni di legge di automatica ed inderogabile applicazione (tra le quali, gli artt. 587, comma 2, c.p.c. e 177 disp. att. c.p.c.), che non incidono sulla formazione del consenso degli interessati all'acquisto, né possono ingenerare un loro legittimo affidamento; del resto – conclude coerentemente la Corte Suprema - sarebbe «paradossale che il bando di vendita dovesse necessariamente riportare il testo normativo e che il mancato esplicito richiamo di una disposizione inderogabile ne consentisse la disapplicazione».

La rateizzazione del versamento del prezzo

La disciplina sulla rateizzazione del saldo che - a norma dell'art. 569 c.p.c. non può eccedere i 12 mesi - va integrata dalle modifiche apportate all'art. 574 c.p.c. sulle modalità di versamento del saldo e all'art. 587 c.p.c. sulla decadenza dell'aggiudicatario.

Dal primo comma dell'art. 574 c.p.c. emerge che l'immissione dell'aggiudicatario nel possesso dell'immobile, prima del versamento integrale del saldo, espone la procedura a rischi notevoli. Per questa ragione l'aggiudicatario può conseguire il possesso se ne abbia fatto richiesta e sia stato autorizzato dal giudice al momento della pronuncia del decreto (che stabilisce il modo e il termine del versamento del prezzo) ex art. 574 c.p.c.

L'istanza deve essere corredata da una fideiussione, autonoma, irrevocabile e a prima richiesta, per un importo non inferiore al trenta per cento del prezzo di vendita, che deve, inoltre, essere prestata da un operatore professionale (istituto di credito, compagnia di assicurazione o intermediario finanziario sottoposto a vigilanza) individuato dal giudice. La fideiussione - che rappresenta la condicio sine qua non perché l'aggiudicatario consegua il possesso - è escussa dal custode o dal professionista delegato, previa autorizzazione del giudice. Posto che le caratteristiche e l'importo della fideiussione non rientrano nella discrezionalità del giudice, sembra opponibile, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., il provvedimento che autorizza l'immissione dell'aggiudicatario nel possesso del bene, laddove la fideiussione non sia stata prestata ovvero differisca dalle prescrizioni normative. Si aggiunga che la concessione dell'autorizzazione e la valutazione della conformità della fideiussione ai requisiti richiesti dall'art. 574 c.p.c. sono attività esclusive del giudice: il novellato art. 591-bis c.p.c., sui compiti del professionista delegato, nulla dice al riguardo.

La fideiussione è prestata a titolo di risarcimento dei danni, eventualmente arrecati, e garantisce il rilascio dell'immobile da liberare entro trenta giorni dall'adozione del decreto di decadenza pronunciato ex art. 587 c.p.c., che costituisce titolo esecutivo per il rilascio.

Nulla si dispone riguardo all'ipotesi che l'immobile sia occupato da un soggetto diverso dall'aggiudicatario inadempiente. In queste situazioni, l'ordine di rilascio sembra possa eseguirsi anche nei confronti del terzo occupante, senza necessità di un giudizio ordinario (ed eventualmente cautelare a norma degli artt. 700 e 447-bis c.p.c.), posto che il terzo possiede l'immobile pignorato in forza di un titolo non opponibile alla procedura.

La normativa sulla rateizzazione sembra destinata a trovare marginale applicazione se solo si considera che la prestazione della fideiussione non scongiura il rischio del mancato rilascio e di una conseguente azione per la liberazione dell'immobile. La modesta operatività dell'istituto della rateizzazione – che impedisce al giudice la pronuncia del decreto di trasferimento prima del saldo della rata finale – è, inoltre, una conseguenza diretta della disciplina di cui all'art. 585 c.p.c. che, come visto poc'anzi, consente all'aggiudicatario di avvalersi di un contratto di mutuo per il versamento del saldo, con contestuale pronuncia del decreto di trasferimento.

L'assolvimento degli obblighi sull'antiriciclaggio

La riforma del 2022 ha addossato, anche intervenendo sull'art. 585 c.p.c., all'aggiudicatario l'assolvimento degli obblighi previsti dal d.lgs. 21-11-2007, n. 231; ciò ad evitare che le vendite immobiliari possano costituire uno strumento per il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Più precisamente, l'aggiudicatario è tenuto a fornire al professionista (o al giudice) tutte le informazioni prescritte dall'art. 22 d.lgs. n. 231/2007; deve dichiarare se è l'effettivo titolare delle somme versate per il saldo prezzo. Dal proprio canto, il giudice emette il decreto di trasferimento, ex art. 586 novellato, comma 1, c.p.c., soltanto dopo aver verificato il rispetto di tali obblighi. Nulla si dice sulle sorti della procedura in caso d'inosservanza di tale adempimento. In mancanza di una specifica ed espressa normativa che consenta all'ufficio esecutivo di incamerare le somme o di disporre la revoca della vendita, il rischio concreto è quello di un'improcedibilità della fase conclusiva della liquidazione fino all'acquisizione di tale documentazione. È vero che una volta versate le somme è interesse dell'aggiudicatario conseguire in tempi rapidi il trasferimento del bene e, quindi, fornire la relativa dichiarazione. Ciononostante, ad evitare guasti, sia pure sporadici o poco frequenti, sarebbe stato opportuno prevedere una puntuale disciplina al riguardo. Un rimedio a tale criticità è stato opportunamente introdotto dal legislatore del 2024 che, modificando l'art. 587 comma 1 c.p.c., ha previsto la decadenza dell'aggiudicatario (con conseguente incameramento della cauzione e nuovo tentativo di vendita), non solo quando abbia omesso il versamento del prezzo nel termine, ma anche se - nello stesso termine - non abbia reso la dichiarazione di cui all'art. 585, comma 4, c.p.c., e cioè le informazioni che consentono ai soggetti obbligati di adempiere agli obblighi di verifica antiriciclaggio.

Guida all'approfondimento

E. Astuni, Il versamento del prezzo e la decadenza dall'aggiudicazione, in Aa.Vv., Il processo di esecuzione, a cura di A. Cardino e S. Romeo, Padova 2018, 867 ss.

P. Cagliari, Aggiudicazione, assunzione del debito e soddisfazione del creditore ipotecario, in Riv. es. forz., 2023, 928 ss.;

S. Conforti, La decadenza dell’aggiudicatario nell’espropriazione immobiliare, in Riv. es. forz., 2021, 290 ss.;

P. Farina, L’ennesima esproriazione immobiliare “efficiente” (ovvero accelerata, conveniente, rateizzata e cameralizzata)in Riv. dir. proc., 2016 127 ss.

L. Iannicelli, Le vendite immobiliari nel codice della crisi, in Iannicelli- Mancuso-Musio (a cura di), La vendita immobiliare forzata. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2020, 673 s.

A. M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano, 2019, 1507 ss.

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