La riassunzione del giudizio interrotto dalla sentenza dichiarativa di fallimento
17 Ottobre 2019
Massima
Il termine per la riassunzione del giudizio, interrotto per intervenuta dichiarazione di fallimento, a carico della parte non colpita dall'evento interruttivo – la quale abbia preso parte al procedimento fallimentare presentando domanda di ammissione allo stato passivo – non decorre dalla legale conoscenza che tale parte abbia avuto della pendenza del procedimento concorsuale, ma dal momento in cui essa abbia avuto conoscenza effettiva del procedimento medesimo. Il termine decorre dal momento in cui è stata depositata o inviata la domanda di ammissione allo stato passivo, salvo, ovviamente, la presenza di ulteriori elementi idonei a provare l'avvenuta conoscenza in un momento diverso. Il caso
L'Agenzia delle Dogane (parte ricorrente) aveva impugnato in appello la sentenza del tribunale di Roma in tema di opposizione a ingiunzione, ex art. 22 l. 24 novembre 1981 n. 689, pronunciata in favore della società (omissis)(parte resistente). Nelle more del procedimento di appello, tuttavia, la società appellata è stata soggetta a dichiarazione di fallimento, con sentenza del Tribunale di Napoli del 1° ottobre 2008. La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 2 aprile 2012, ha dichiarato estinto il giudizio rilevando, altresì, come l'odierna ricorrente avesse notificato ricorso in riassunzione ben oltre il termine di sei mesi di cui all'art. 305 cod. proc. civ.: la Corte d'appello ha ritenuto, infatti, che l'Agenzia (appellante) fosse da oltre sei mesi a conoscenza dell'intervenuta dichiarazione di fallimento e, pertanto, avesse superato di gran lunga il termine decadenziale di cui sopra. Con il ricorso alla Suprema Corte l'Agenzia delle Dogane (già appellante) ha ipotizzato la violazione di legge in relazione all'art. 43 l. fall., nonché degli artt. 300, commi 1 e 2, e 305 c.p.c. La questione
La questione affrontata dalla sentenza in commento concerne l'individuazione del dies a quo per la riassunzione del processo interrotto ipso iure dalla dichiarazione di fallimento di una delle parti processuali. Come noto, la sentenza dichiarativa di fallimento produce l'automatica interruzione del processo indipendentemente da una pronuncia giudiziale, la quale ha valore meramente dichiarativo (in argomento, v. Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2008, n. 29865, in Giust. Civ. mass., 2008, XII, 1818; Cass.civ., sez. III, 20 marzo 2006, n. 6098, in Giust. Civ. mass., 2006, III). La Corte ha seguito il solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale (v. Corte cost. sent., 21 gennaio 2010, n. 17, in Giur. Cost. 2010, I, 280) con il quale veniva precisato il dies a quo per la riassunzione ex art. 305 c.p.c. (anche in questo caso l'evento interruttivo – dichiarazione di fallimento pronunciata nei confronti di una delle parti – si era verificato all'interno di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo). Secondo l'orientamento della Consulta, nell'ipotesi di interruzione automatica del processo per fallimento di parte costituita, il termine per la riassunzione – ad opera della parte interessata – decorre dalla data di effettiva conoscenza dell'evento interruttivo. Tale interpretazione sembra essere, pacificamente, l'unica idonea a superare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 305 c.p.c. (e dell'art. 43 l. fall.). Ciononostante, l'Agenzia ricorrente insisteva sulla violazione di legge degli artt. 300 e 305 c.p.c., nonché dell'art. 43 l. fall. basando le proprie argomentazioni (anche) sulla possibile scusabilità dell'errore data dall'incertezza interpretativa dell'art. 43 l.fall., da ricondursi al fatto che l'orientamento condiviso dalla Corte d'appello si è consolidato in un momento successivo al verificarsi dell'evento estintivo (id est, la dichiarazione di fallimento). Vieppiù, parte ricorrente lamentava la mancata disapplicazione delle norme di diritto interno che impedivano il recupero di un aiuto di Stato, richiamandosi alla celebre sentenza Lucchini della CGCE del 18 luglio 2007, causa C-119/2005. Le soluzioni giuridiche
La Corte di legittimità, dopo una breve disamina dei fatti ed una attenta analisi della giurisprudenza (di merito e legittimità) sul tema, rigettava il ricorso e, per l'effetto, dichiarava la decadenza della ricorrente dal diritto di riassumere il processo interrottosi il 1° ottobre 2008. Difatti, a seguito della dichiarazione di fallimento (rectius, liquidazione giudiziale), parte ricorrente ha provveduto a insinuarsi al passivo con domanda del 4 dicembre 2008, mentre la comparsa in riassunzione è stata notificata alla controparte solamente il 5 febbraio 2010. Ebbene, la domanda di insinuazione al passivo costituisce una prova inconfutabile dalla conoscenza, da parte della ricorrente, del verificarsi dell'evento interruttivo. Ne consegue, quindi, che può essere agevolmente individuato il dies a quo ai fini della riassunzione ex art. 305 c.p.c. Inoltre, come rilevato dalla Suprema Corte, la ricorrente non si era curata di presentare (all'atto della notificazione del ricorso in prosecuzione) istanza di rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., attraverso la quale si sarebbe potuto evitare il giudicato sulla questione di diritto e giustificare la tardiva riassunzione (visto il precedente, asserito, mutamento giurisprudenziale, c.d. overruling). È, altresì, interessante notare come, con la sentenza in commento, la Cassazione abbia operato una distinzione (nell'ottica della riassunzione) tra la parte estranea alla procedura concorsuale e la parte che, invece, ne abbia preso parte nelle more del giudizio ordinario. Nel primo caso si ritiene pienamente operante il principio enunciato dalla Consulta (di cui si è detto supra). Il termine per la riassunzione decorre dalla conoscenza dell'evento che, però, in questo caso deve provenire da una fonte privilegiata e non può essere ricavata aliunde o, comunque, da circostanze di mero fatto (notizie di stampa o comunicazioni informali). Ad esempio, la comunicazione inviata dal curatore ex art. 92 l. fall. – che ben può basarsi su informazioni sommarie fornite dal fallito – non può essere considerata strumento idoneo a determinare la legale conoscenza della procedura. Le medesime considerazioni non possono farsi, mutatis mutandis, per il terzo che abbia presentato domanda di ammissione allo stato passivo. Difatti, una volta presentata la domanda ex art. 93 l.fall., egli non potrà più considerarsi estraneo al procedimento concorsuale e, di conseguenza, non potrà più invocare a propria tutela (nel procedimento extraconcorsuale pendente) l'esigenza della conoscenza "legale" del procedimento fallimentare con atto di fede privilegiata. Quest'esigenza è, infatti, superata dalla partecipazione al procedimento concorsuale stesso. È evidente la ratio dell'orientamento giurisprudenziale di tutelare, al fine della decorrenza del termine per la riassunzione, la parte non consapevole dell'apertura della procedura di fallimento (rectius, liquidazione giudiziale) e che, pertanto, non abbia partecipato al procedimento concorsuale.
Osservazioni
Com'è noto, l'art. 41, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 15 (entrato in vigore il 16 luglio 2006) ha inserito un nuovo terzo comma all'art. 43 l. fall., disponendo che «l'apertura del fallimento determina la interruzione del processo». Di conseguenza, la sentenza dichiarativa di fallimento produce automaticamente l'effetto interruttivo del processo, senza la necessità di una successiva pronuncia da parte dell'organo giudicante che, come anticipato, avrà unicamente un effetto dichiarativo e non costitutivo. Nel sistema ante riforma, invece, era opinione pacifica in giurisprudenza e dominante in dottrina (Cfr. Nigro A., Vattermoli D., 132 ss.) che l'apertura del fallimento non determinasse l'interruzione automatica del processo, essendo all'uopo necessaria la dichiarazione o notificazione dell'evento da parte del procuratore, ai sensi dell'art. 300 c.p.c. (v. Tedeschi G.U., 251). Inoltre, il legislatore del 2006 non ha colto l'occasione per delineare una disciplina ad hoc in tema di riassunzione del processo. Invero, in mancanza di una previsione specifica da parte dell'art. 43 l.fall., continua a trovare applicazione l'art. 305 c.p.c. (cfr. Corte cost., 21 gennaio 2010, n. 17, cit.). La situazione, tuttavia, si prospetta ben diversa se si inizia a tener conto delle novità che entreranno in vigore ad agosto 2020 grazie al nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (di seguito, per brevità, “c.c.i.”). In particolare, l'art. 143 c.c.i. riforma l'art. 43 l.fall. in due modi: 1. elimina il riferimento che imponeva il trattamento “con priorità” delle «controversie in cui è parte un fallimento» (vecchio quarto comma dell'art. 43 l.fall.). L'ordine di trattamento è stato spostato, però, nelle disposizioni attuative (v. Crivelli A., 233); 2. aggiunge un secondo periodo al terzo comma, il quale dispone che «il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione viene dichiarata dal giudice». Quest'ultima, e più importante, integrazione ha suscitato qualche perplessità in dottrina. Difatti, se pure è fuor dubbio che l'identificazione del dies a quo in un evento certo e obiettivo, quale è la dichiarazione resa da parte del giudice, è in linea con il principio di certezza del diritto e garantisce il determinarsi di un termine univoco per tutte le parti, d'altra parte tale previsione è suscettibile di dar luogo a molteplici inefficienze (Cfr. Pecoraro C., 145). Uno dei motivi che ha spinto il legislatore del 2006 all'introduzione del terzo comma dell'art. 43 l. fall. è stato quello di imprimere una sostanziale accelerazione alle inefficienti “pause” nei processi pendenti durante la procedura fallimentare, in sintonia con il criterio di delega secondo il quale occorreva accelerare le procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare (v. Cossignani F., 264). La novella del 2006 ha rappresentato indubbiamente un ulteriore passo verso una tutela più efficace degli interessi coinvolti nel fallimento (v. Nigro A., Vattermoli D., 133). Orbene, individuare il dies a quo per la riassunzione del processo esclusivamente nella data di dichiarazione da parte del giudice rischia di compromettere e snaturare l'originaria ratio della Riforma del 2006, con un conseguente aumento della durata del processo (che, come noto, è argomento particolarmente delicato, soprattutto in ottica comunitaria v. Carratta A.). È, pertanto, opportuna - ad avviso di chi scrive – una maggiore attenzione da parte del legislatore sulle possibili conseguenze della Riforma in materia di riassunzione dei giudizi pendenti. D'altra parte, l'entrata in vigore del c.d. c.c.i. è ancora lontana (15 agosto 2020) e, forse, ci sarà spazio per ulteriori interventi correttivi.
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