Il concetto di subordinazione deve essere adeguato alle nuove tecnologie

Francesco Meiffret
28 Ottobre 2019

In un contratto d'appalto, l'utilizzo da parte del committente di strumenti tecnologici che permettano il controllo a distanza dell'esecuzione della prestazione dei lavoratori dell'appaltatore, comporta la possibilità di far accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato direttamente in capo al medesimo committente.
Massima

In un contratto d'appalto, l'utilizzo da parte del committente di strumenti tecnologici che permettano il controllo a distanza dell'esecuzione della prestazione dei lavoratori dell'appaltatore, comporta la possibilità di far accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato direttamente in capo al medesimo committente.

Il caso

Alcuni lavoratori di una cooperativa, impiegati in un appalto di logistica, avevano presentato ricorso dinnanzi al Tribunale di Bari per far accertare lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato direttamente con la società committente ed il pagamento delle differenze retributive derivanti dal corretto inquadramento contrattuale e non versate dal datore di lavoro formale.

Deducevano, infatti, che le loro prestazioni di lavoro fossero controllate e dirette dal committente, dapprima mediante un terminale mobile ed, in un secondo momento, tramite un sistema di comunicazione a distanza mediante cuffie microfono. Allegavano che tali strumenti, così come tutti gli altri mezzi necessari per l'esecuzione della prestazione di lavoro, erano di proprietà del committente.

Mentre la cooperativa datrice di lavoro era rimasta contumace la società committente si era costituita.

Nel merito la società non negava che l'organizzazione dello stoccaggio merci avvenisse attraverso un programma e strumenti di sua proprietà, ma che le istruzioni impartite dai lavoratori su dove posizionare la merce provenisse da voci preregistrate in base ai codici a barra letti dai lavoratori, motivo per cui tali strumenti avevano il solo scopo di indicare ai lavoratori i luoghi ove stoccare la merce all'interno del magazzino. Deduceva, inoltre, che in realtà i lavoratori erano controllati da superiori della cooperativa che erano presenti nel magazzino stesso. A ciò aggiungasi che anche il potere disciplinare era esercitato da quest'ultimi.

La questione

L'esercizio del potere direttivo e disciplinare necessita la presenza fisica di un soggetto incaricato a svolgere tali compiti?

Quali sono i criteri per imputare il rapporto di lavoro ad un soggetto diverso rispetto al c.d. datore di lavoro formale?

In che modo incide l'informatizzazione e lo sviluppo tecnologico sul concetto di subordinazione?

La soluzione giuridica

Il Giudice accoglie il ricorso dei lavoratori accertando l'esistenza di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società committente condannando, inoltre, quest'ultima a corrispondere le differenze retributive derivanti dal corretto inquadramento secondo il C.C.N.L. multi servizi.

Il Giudice, infatti, evidenzia che dall'istruttoria era emerso che tramite il sistema informatico i lavoratori erano eterodiretti dalla società committente che, tra l'altro, era proprietaria di tale sistema così come degli strumenti utilizzati dai lavoratori della cooperativa per eseguire la prestazione.

A nulla rileva il fatto che l'esecuzione della prestazione fosse eterodiretta da un sistema informatico e non da una persona fisica dipendente della società.

In merito all'altro potere tipico del datore di lavoro, quello disciplinare, il Giudice evidenzia che dall'istruttoria fosse prevalentemente emerso che erano soggetti della società committente ad esercitare detta prerogativa nei confronti dei ricorrenti.

Il Giudice opta per la poca attendibilità di quei testi che sostenevano che vi fosse anche personale della cooperativa a dirigere i ricorrenti. Rileva, sul punto, che anche a voler ritenere come provato tale fatto, parte convenuta non aveva dimostrato un autonomo potere disciplinare e organizzativo in capo ai soggetti controllori dell'appaltante; questi potevano essere assimilati a dei capi reparto, privi di discrezionalità e che si limitavano solamente a riportare le istruzioni della committente.

L'imputazione dei rapporti di lavoro in capo alla committente risulta altresì avvalorata dal fatto che quest'ultima disponesse di molti dati sensibili dei lavoratori inclusi i report in merito alle modalità delle prestazione lavorative svolte.

In pratica la società committente, pur non avendo l'autorizzazione dei ricorrenti, disponeva di dati sensibili di quest'ultimi. Buona parte di questi dati provenivano dal programma di stoccaggio che di fatto costituiva un sistema di controllo a distanza ai sensi dell'art. 4 dello statuto dei lavoratori senza che la società committente si fosse munita delle autorizzazioni opportune presso l'ispettorato o i sindacati.

Anche tale elemento depone, secondo il Giudice, per una diversa imputazione del rapporto di lavoro.

Osservazioni

La sentenza in commento permette una breve disamina di due argomenti di rilevante attualità nel diritto del lavoro alla luce dei fenomeni di decentramento produttivo e allo sviluppo tecnologico esponenziale dell'ultimo decennio: l'imputazione del rapporto di lavoro nei fenomeni di esternalizzazione della produzione ed il concetto di subordinazione.

Il Giudice, nell'imputare il rapporto ad un soggetto diverso rispetto al datore di lavoro formale, ha fatto utilizzo di alcuni degli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come “appalto”, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale.

Questi sono: a) il potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell'attività; b) il potere direttivo sui lavoratori impiegati; il terzo criterio non preso in considerazione dal Giudice - forse perché la giurisprudenza giuslavoristica tende ad attribuirgli un ruolo ancillare rispetto agli altri due - è, c) il rischio d'impresa.

Il Giudice parte dal presupposto che l'appalto di servizi preso in considerazione debba considerarsi labour intensive poiché risulta maggiormente rilevante l'impiego di manodopera rispetto all'utilizzo di strumenti lavorativi.

A parere dello scrivente, pur condividendo le conclusioni della sentenza, qualificare l'appalto in questione come labour intensive costituisce un errore.

Dalla lettura della sentenza pare evidente come l'elemento cardine che convince il Giudice a ritenere l'appalto di servizio come non genuino sia che il sistema di comunicazione e direzione dello stoccaggio merci, attraverso il quale i lavoratori ricevevano istruzioni, fosse di proprietà e venisse utilizzato dalla società committente la quale era, tra l'altro, proprietaria degli altri mezzi necessari per l'esecuzione della prestazione, quali ad esempio i muletti per trasportare la merce.

E' discutibile, quindi, alla luce di un sistema totalmente automatizzato che riconosceva le voci dei lavoratori e forniva le istruzioni a quest'ultimi ove stoccare la merce, sostenere che la fattispecie analizzata sia un appalto di servizi ove è preponderante l'apporto dell'attività manuale mentre la presenza di strumenti e mezzi per l'esecuzione della prestazione è pressochè nulla. Non pare fuori luogo porsi la seguente domanda: se il mezzo di riconoscimento vocale dei lavoratori e di guida degli stessi nelle operazioni di stoccaggio merci e gli altri macchinari quali i muletti fosse stati di proprietà dell'appaltatore il Giudice avrebbe comunque imputato il rapporto di lavoro ad un soggetto diverso rispetto al datore di lavoro formale?

A sommesso parere dello scrivente la risposta sarebbe stata negativa dal momento che è già stato posto all'attenzione che uno degli elementi cardine per distinguere un appalto genuino da uno non genuino è l'organizzazione dei mezzi.

Restando sul criterio dell'organizzazione dei mezzi, l'art. 29, d.lgs.n. 276 del 2003, prevede come possa risultare anche dall'esercizio dei poteri datoriali da parte dell'appaltatore. Questa possibilità di rinvenire la capacità organizzativa dall'esercizio dei tipici poteri datoriali è stata prevista al fine di legittimare gli appalti labour intensive.

Tuttavia questo criterio deve essere utilizzato con particolare attenzione poiché, come nella sentenza in commento, occorre verificare se l'appaltatore eserciti tali poteri in piena autonomia oppure risulti essere un “mero passaparola” del committente.

Per questo motivo negli appalti labour intensive, spesso eseguiti all'interno della struttura della committente, si ricorre anche al criterio dell'autonomia del risultato dell'appalto se l'esecuzione della prestazione appaltata differisca dal core business dell'impresa committente ed il risultato sia autonomamente spendibile sul mercato (Cass., sez. lav., 28 marzo 2011, n. 7034, Cass., sez. lav., 9 marzo 2009, n.5648)

Passiamo ora all'elemento di particolare rilevanza e quasi assoluta novità della sentenza in questione: il procedimento logico in base al quale il Giudice giunge a ritenere che il reale datore di lavoro sia la società committente.

La sentenza in questione costituisce l'ennesima prova del fatto che il concetto di lavoro subordinato così come declinato dall'art. 2094, c.c., che prende in considerazione il concetto di impresa fordista sia difficilmente adattabile alle nuove forme di impresa.

Senza alcuna pretesa di esaustività l'attuale definizione di lavoro subordinato, la quale prevede un rapporto bilaterale tra datore di lavoro, mal si concilia con nuove istituti giuridici quali i gruppi e le rete d'imprese nelle quali è possibile l'ipotesi di codatorialità.

Ma non solo. L'art. 2094, c.c., prevede una collocazione fissa del lavoratore all'interno dell'impresa ed una direzione della prestazione da parte dell'imprenditore. L'eterodirezione ed il potere disciplinare costituivano la cd cartina al tornasole per individuare l'effettivo datore di lavoro.

Nel caso di specie il potere direttivo proviene da un sistema informatico e dagli strumenti informatici assistendo, quindi, ad una “depersonalizzazione” dell'esercizio di tale prerogativa.

La subordinazione, quindi, può derivare anche da un rapporto macchina-uomo.

Si apre, quindi, una nuova sfida per il classico concetto di subordinazione già fortemente messo in crisi, oltre che dalle nuove forme di collaborazione tra le società, anche dalle prestazioni lavorative mediante piattaforme digitali.

Non a caso il Giudice concentra la propria analisi sulla proprietà degli strumenti e sul fatto che questi permettessero l'acquisizione di dati sensibili dei lavoratori dei quali non avrebbe potuto averne il possesso se non fosse l'effettivo datore di lavoro. L'utilizzo e la conservazione di dati dei soggetti impiegati dall'appalto (nome, cognome e tempistiche nell'esecuzione della prestazione), a prescindere da una eventuale legittimità di tale comportamento in base all'art. 4 dello statuto dei lavoratori, può costituire un indice per imputare il rapporto di lavoro ad un soggetto diverso rispetto al datore di lavoro formale.

La sentenza può essere la capostipite di un filone interessante per risolvere situazioni simili che si stanno verificando soprattutto nella logistica. È noto ed ha avuto ampio risalto sui giornali il caso di un colosso della logistica, il quale si avvale spesso di esternalizzazioni, che ha brevettato braccialetti e pistole di lettura di codici a barra in grado di seguire e guidare le prestazioni dei lavoratori.

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