Giudicato nei rapporti di durata

29 Ottobre 2019

La pronuncia in commento esamina i presupposti di applicabilità del giudicato esterno nei rapporti di durata, richiamando principi utili anche al di fuori del processo tributario.
Massima

Nel processo tributario, l'efficacia del giudicato, nei rapporti di durata, si estende anche ad annualità diverse della medesima imposta, in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie “a carattere tendenzialmente permanente” (come l'estensione del terreno assoggettabile a tributo), e non, invece, con riferimento ad elementi variabili (come il valore immobiliare del bene, destinato, per sua natura, a modificarsi nel tempo con riferimento ai diversi periodi di imposta).

Il caso

La società alfa proponeva ricorso alla commissione tributaria provinciale avverso n. 4 avvisi di liquidazione dell'imposta ICI relativa ad aree di sua proprietà. Il ricorso veniva accolto con l'annullamento degli avvisi di accertamento impugnati.

La commissione tributaria regionale accoglieva, però, l'appello proposto dal Comune di Fisciano, con sentenza a sua volta riformata dalla Suprema Corte, che cassava con rinvio alla commissione tributaria regionale.

La società alfa riassumeva il giudizio dinanzi a quest'ultima, invocando il giudicato esterno nelle more formatosi inter partes sulla medesima questione controversa, riguardante però altro anno d'imposta. La commissione tributaria regionale accoglieva l'appello, ritenendo sottoponibile a tributo la minore superficie di terreno desumibile dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, resa tra le medesime parti in relazione a diverse annualità d'imposta, passata in giudicato.

Avverso tale sentenza il Comune di Fisciano proponeva ricorso per cassazione, contestando, tra l'altro, la configurabilità del riscontrato giudicato esterno, non potendo questo operare in relazione a poste rinnovabili di anno in anno in base a presupposti diversi, come sarebbe la tassazione di aree edificabili a fini ICI, fondata sul valore venale dell'immobile, elemento mutabile di anno in anno in base all'andamento della congiuntura economica.

La questione

La pronuncia in commento esamina i presupposti di applicabilità del giudicato esterno nei rapporti di durata, richiamando principi utili anche al di fuori del processo tributario.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte rigetta il motivo di ricorso, ritenendo configurabile il giudicato formatosi sul dato di fatto inerente all'estensione del terreno assoggettabile a tributo, sebbene riferito ad altra annualità d'imposta.

Ed infatti, l'identità di due giudizi tra le stesse parti, quale presupposto per il verificarsi della preclusione derivante dal giudicato, può essere soltanto parziale, ossia può ravvisarsi anche quando, nonostante la differenza del petitum, uno stesso presupposto di fatto o di diritto costituisca l'oggetto di entrambe le controversie (Cass. civ., 2 aprile 1969, n. 1090).

In particolare, in tema di ICI, si è sostenuto che la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità fa stato con riferimento anche ad annualità diverse, in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente - come, ad es., la categoria e la rendita catastale o la spettanza di un'esenzione o agevolazione pluriennale -, ma non con riferimento ad elementi variabili, come, ad es., la determinazione della base imponibile, sulla scorta del valore venale dell'immobile ex art. 5, comma 5, d.lgs. n. 504/1992, che, per sua natura, con riferimento ai diversi periodi di imposta, è destinato a modificarsi nel tempo (Cass. civ., 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass. civ., 16 settembre 2011, n. 18923).

Nel caso di specie, quindi, il giudicato poteva ritenersi formato, in quanto vertente sull'estensione del terreno assoggettabile a tributo, e quindi su un dato di indubbio carattere tendenzialmente permanente, non suscettibile di variazioni legate all'andamento del mercato; né il ricorrente aveva dedotto che fossero intervenuti fatti modificativi dell'estensione territoriale.

La Suprema Corte intende, quindi, dare continuità al principio secondo cui, nel processo tributario, l'efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo nell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si sono verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione a quelli non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad es., la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche con riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad es., le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (Cass. civ., 3 gennaio 2019, n. 37; Cass. civ., 1 luglio 2015, n. 13498).

Osservazioni

La pronuncia in commento risulta condivisibile, in quanto conforme al consolidato orientamento secondo cui la sentenza del giudice tributario, con la quale si accerta il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta, può fare stato - in coerenza con il principio del divieto di abuso del diritto, che induce ad una impostazione restrittiva in tema di efficacia del giudicato oltre il periodo di imposta che ne costituisce lo specifico oggetto - anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene alle qualificazioni giuridiche o ad altri elementi preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria, correlati ad un interesse protetto avente il carattere della durevolezza, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni d'imposta debba fondarsi su dati e ricostruzioni contabili diversi (Cass. civ., 16 settembre 2011, n. 18907) ovvero sulla valutazione delle prove e sulla ricostruzione dei fatti (Cass. civ., 28 maggio 2008, n. 13897). Deve trattarsi, quindi, perché possa operare l'effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche, di fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l'accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, non suscettibili di variazione annuale, come invece il valore della rendita catastale (Cass. civ., 6 luglio 2018, n. 17760) oppure i costi relativi a prestazioni di servizi, che possono variare per qualità, modalità e quantità di anno in anno (Cass. civ., 13 dicembre 2018, n. 32254), ovvero, ancora, le modalità di esercizio di una determinata attività, anch'esse suscettibili di modificarsi nel tempo (Cass. civ., 15 marzo 2019, n. 7417).

Pertanto, se un'unica imposta viene frazionata in più anni, il giudicato relativo ad una annualità coinvolge anche le altre, perché la questione è identica in tutti i suoi aspetti, divergendo solo le modalità temporali d'imputazione; laddove, invece, da un'unica fonte scaturiscano poste attive o passive differenti anno per anno, il giudicato coinvolge soltanto quella specifica annualità che costituisca oggetto del giudizio, e non si riflette sulle altre, articolandosi in maniera diversa gli elementi di fatto, ed essendo identica solo la questione giuridica che consente di risolvere il caso concreto (Cass. civ., 22 febbraio 2008, n. 4607).

Affermando un principio applicabile anche al di fuori del processo tributario, le Sezioni Unite hanno statuito che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. civ., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916; conformi Cass. civ., 3 ottobre 2005, n. 19317; Cass. civ., 3 marzo 2004, n. 4352). Pertanto, in un rapporto di durata, caratterizzato dal prodursi nel corso del tempo di distinte (ancorché similari) posizioni creditorie-debitorie, la statuizione definitiva di merito, inerente alla domanda relativa ad una di dette posizioni, assume autorità di giudicato esterno, nella successiva causa fra le stesse parti che abbia ad oggetto un diverso credito, limitatamente alle questioni comuni, quali l'esistenza, la validità e l'efficacia del rapporto stesso (Cass. civ., Sez. Un., 13 luglio 2006, n. 15896).

In contrasto con tale indirizzo, altre pronunce avevano invece affermato che ricorre l'effetto preclusivo del giudicato esterno allorché tra il giudizio in corso e quello definito con sentenza inoppugnabile sussista una piena identità di causa petendi e di petitum, il che non può verificarsi qualora siano azionati in giudizio due crediti diversi, sebbene relativi ad uno stesso rapporto che si protrae nel tempo, per la cui concreta realizzazione sono necessari due distinti titoli esecutivi (Cass. civ., 30 luglio 2004, n. 14593; Cass. civ., 9 aprile 2001, n. 5235).

La giurisprudenza di legittimità successiva alle Sezioni Unite del 2006, pur sostanzialmente condividendo i principi di diritto da queste ultime affermati (da ultimo ribaditi da Cass. civ., 16 maggio 2019, n. 13152, nonché Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20629), è pervenuta a conclusioni a volte contrastanti, avendo statuito che:

  1. in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l'unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (Cass. civ., 17 agosto 2018, n. 20765; Cass. civ., 23 luglio 2015, n. 15493, la quale ha confermato la sentenza di merito che, preso atto del giudicato formatosi in ordine all'esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, aveva ritenuto preclusa ogni ulteriore indagine sul punto, avendo il lavoratore continuato a svolgere anche negli anni successivi le medesime mansioni), atteso che gli effetti del giudicato sostanziale si estendono, anche in caso di rigetto della domanda, a tutte quelle statuizioni inerenti all'esistenza e validità del rapporto dedotto in giudizio necessarie ed indispensabili (cd. giudicato implicito) per giungere a quella pronuncia (Cass. civ., 27 aprile 2018, n. 10174, nonché Cass. civ., 26 giugno 2015, n. 13207, in relazione all'affermazione di validità della clausola di determinazione del canone locatizio in misura maggiore di quella legale, che si è ritenuta non contestabile in un successivo giudizio avente ad oggetto il pagamento di una diversa mensilità);
  2. il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo, ovvero all'estinzione del giudizio di opposizione,copre non soltanto l'esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l'opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto esecutivo (Cass. civ., 24 settembre 2018, n. 22465; Cass. civ., 18 luglio 2018, n. 19113; Cass. civ., 11 maggio 2010, n. 11360). Tale orientamento, analogamente a quanto affermato da Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, con riferimento alla diversa ipotesi delle domande di impugnativa contrattuale, si fonda sul principio per cui, quando oggetto del giudizio è un singolo effetto del rapporto giuridico complesso, quale la singola coppia pretesa-obbligo, il giudicato ha ad oggetto l'intero rapporto, e non il singolo effetto, sicchè l'accertamento dell'esistenza del singolo effetto, implicando la cognizione dell'intero rapporto complesso, presuppone l'esistenza di tutti i fatti costitutivi e l'inesistenza di tutti i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, dedotti o deducibili. In senso contrario si è, invece, affermato che quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma - in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio - non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive (Cass. civ., 20 marzo 2014, n. 6543; Cass. civ., 25 novembre 2010, n. 23918). Tale ultimo orientamento non appare condivisibile, nella misura in cui lo stesso prescinde dai principi affermati dalle Sezioni Unite nel 2014 e non attribuisce alcuna rilevanza al cd. giudicato implicito, ormai riconosciuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità;
  3. secondo la tesi ormai prevalente, è quindi preclusa (Cass. civ., 27 aprile 2018, n. 10174) la deduzione della nullità del contratto (ovvero di una singola clausola dello stesso) in un successivo giudizio, dal giudicato riconducibile a precedente sentenza definitiva sul punto intervenuta tra le stesse parti, nella quale il riconoscimento dell'esistenza di un valido contratto (o di una singola clausola) abbia costituito il presupposto logico-giuridico essenziale della decisione di merito (in termini si veda anche la citata Cass. civ., Sez.Un., n. 26242/2014). In tal caso, cioè, non è dato rimettere in discussione quanto già ormai definitivamente accertato tra le parti in un precedente giudizio, pur a fronte di una pretesa creditoria afferente ad un diverso periodo temporale, attesa l'unicità della fonte del credito, comunque rinvenibile nella disciplina del medesimo rapporto negoziale (Cass. civ., 12 aprile 2006, n. 8612, in relazione alla nullità di un contratto di locazione intervenuto tra un Comune e due privati perché non validamente stipulato per iscritto, sul presupposto che, con precedente sentenza di rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento del conduttore nel pagamento dei canoni relativi ad un determinato periodo, era stata ritenuta la validità del contratto per il dedotto intervallo temporale). Ciò in quanto il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia (Cass. civ., 30 ottobre 2017, n. 25745; Cass. civ., 28 ottobre 2011, n. 22520).

Non mancano, però, decisioni che precisano che il giudicato implicito su questione preliminare di merito non può ritenersi formato quando dalla motivazione della sentenza (di rigetto) risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed abbia indotto il giudice a decidere per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni (Cass. civ., 30 marzo 2012, n. 5148, la quale ha negato che, in forza di sentenza di rigetto di una domanda di rimozione di manufatti e di risoluzione per inadempimento di un contratto verbale concernente diritti reali immobiliari, dovesse intendersi formato un giudicato preclusivo dell'esame della questione relativa all'esistenza ed alla validità del medesimo contratto; Cass. civ., 16 maggio 2006, n. 11356, secondo cui la pronunzia di rigetto - nella specie, della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento - non più soggetta ad impugnazione non costituisce giudicato implicito, con efficacia vincolante nei futuri giudizi, laddove del rapporto che ne costituisce il presupposto logico-giuridico non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice le questioni concernenti l'esistenza, la validità e la qualificazione). In sostanza, secondo tale orientamento, il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, cioè di un accertamento effettivo, specifico e concreto, come accade allorquando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della “ragione più liquida”, basandosi la soluzione della causa su una o più questioni assorbenti (Cass. civ., 17 marzo 2015, n. 5264).

Altre volte si è temperata l'ultima affermazione ritenendo che sussista il giudicato implicito solo quando tra la questione risolta espressamente e quella che si vuole risolta implicitamente sussista non soltanto un rapporto di causa ad effetto, ma un nesso di dipendenza così indissolubile da non potersi decidere l'una senza aver prima deciso l'altra (Cass. civ., 15 luglio 2002, n. 10252), sicchè non è configurabile un giudicato implicito quando la questione da decidere abbia una propria autonomia ed individualità per la diversità dei presupposti di fatto e di diritto rispetto a quella decisa (Cass. civ., 22 luglio 2003, n. 11412).

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