Il danno non patrimoniale va sempre personalizzato
07 Novembre 2019
IL CASO. A causa di un infortunio sul lavoro era deceduto un uomo, marito e padre. La moglie, agendo in proprio nonché quale genitore esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore, aveva agito per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subìto. La liquidazione del danno effettuata dal Tribunale, a seguito dell'appello proposto dall'assicurazione, veniva di molto ridotta dalla Corte d'Appello, che escludeva «dalla liquidazione quella componente punitiva non prevista dal nostro ordinamento giuridico» e di conseguenza rideterminava la somma spettante alle danneggiate. Le danneggiate hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza.
LA CASSAZIONE DETTA LO “STATUTO PER LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE”. Nel ricorso le danneggiate si dolgono della liquidazione operata dal giudice di secondo grado, che non avrebbe in alcun modo personalizzato il risarcimento spettante, e ciò nonostante le prove fornite nel corso del giudizio, andando invece ad applicare in maniera asettica le tabelle milanesi. La Terza Sezione ha accolto il ricorso, cogliendo l'occasione per fornire una sintesi dello “stato dell'arte” relativamente alla liquidazione del danno non patrimoniale. Anzitutto, rifacendosi ad un proprio recente precedente (sentenza n. 2788/2019) ha ribadito come il giudice del merito debba valutare sia le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale e sia quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della vita. In particolare, nell'ambito del risarcimento del danno subito dai congiunti del defunto, è principio oramai pacifico quello per cui agli stessi spetta, oltre al danno patrimoniale, il risarcimento del danno non patrimoniale, ed in particolare del danno morale, iure proprio sofferto per la perdita del congiunto, «dovendo essi provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, ma non anche il rapporto di convivenza» (così le sentenze n. 29784/2018, n. 3767/2018, n. 29332/2017 e altre). Per quanto concerne la liquidazione del danno viene altresì ribadito come la stessa non possa che essere una valutazione equitativa, effettuata però sulla base di criteri che consentano la cd. personalizzazione del danno. Sono stati richiamati i seguenti principi “consolidati” nella giurisprudenza di legittimità, per quel che concerne il momento liquidativo: - è compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli; - il principio di unitarietà del danno non patrimoniale non significa lasciare privi di risarcimento tutti o alcuni aspetti concernenti beni della vita diversi; - le Tabelle di Milano costituiscono un idoneo parametro per il giudice del merito ai fini della liquidazione equitativa, oppure possono essere utilizzate come criterio di riscontro e verifica del diverso metodo adottato; - nella liquidazione del danno morale il giudice deve motivare se lo abbia valutato solo come patema d'animo/sofferenza interiore ovvero anche in termini di pregiudizio arrecato alla dignità o integrità morale.
Dopo aver elencato questo “manuale di liquidazione”, la Terza Sezione ha cassato la sentenza impugnata, non avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione dei principi ricordati. In particolare, ha ritenuto che sia trattato di un caso di motivazione «meramente apparente e obiettivamente incomprensibile» dal momento che a fronte dell'indicazione di una somma, identica per le due danneggiate: a) non risulta quale sia stato il tipo di Tabella utilizzato; b) non è stato indicato lo scaglione per ciascuna delle danneggiate; c) non v'è traccia della personalizzazione; d) non è dato sapere quali aspetti del danno non patrimoniale siano stati presi in considerazione, e in particolare se sia stato considerato e come il danno morale; e) non viene spiegato quale criterio sia stato seguito per scomputare dalla somma liquidata dal giudice di primo grado la «componente punitiva non prevista dal nostro ordinamento giuridico». Spetterà ora nuovamente alla Corte d'Appello, in diversa composizione, fare chiarezza sul punto e rideterminare il quantum risarcitorio (oppure confermarlo, ma dando adeguata motivazione).
(Fonte: dirittoegiustizia.it)
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