La vicenda Con la sentenza n. 28990/2019, depositata l'11 novembre, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dai genitori di una bambina affetta da sindrome di Bartter ma erroneamente interpretata dai medici come morbo di Hirschprung. La sentenza della Corte d'Appello di Genova impugnata aveva parzialmente riformato la decisione di prime cure in relazione alla responsabilità professionale dei medici intervenuti nella fase di diagnosi e cura della malattia con l'esonero da responsabilità per colpa ritenuta non grave ex art. 2236 c.c. Era invece stato dichiarato inammissibile il motivo dell'appello principale volto ad una maggiore liquidazione del danno non patrimoniale per difetto del preventivo consenso informato, confermando la quantificazione operata in prime cure.
Danno da plurime menomazioni Analizzando il ricorso proposto dai genitori per il riconoscimento del maggior danno subito a causa delle plurime menomazioni subite dalla figlia, la sentenza ricorda che, in accoglimento dell'indicazione elaborata in medicina legale e recepita dal legislatore (più recentemente con la legge Balduzzi n. 189/2012 e poi con la legge Gelli n. 24/2017), in siffatti casi è legittimo assumere come riferimento i gradi tabellari concernenti le singole compromissioni, salva in ogni caso una valutazione globale complessiva della residua capacità biologica del soggetto leso, al fine di individuare l'effettiva incidenza dei molteplici postumi sull'integrità psico-fisica del danneggiato.
Liquidazione del danno biologico I genitori lamentano inoltre la ritenuta applicabilità dell'art. 3, comma 3, del c.d. decreto Balduzzi che, in materia di responsabilità sanitaria della struttura e del medico, ha rinviato, per la liquidazione del danno biologico, ai parametri già previsti dagli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005 in tema di assicurazione della responsabilità civile da sinistro stradale. Ritengono i ricorrenti che la norma sia inapplicabile ai fatti pregressi e ai giudizi in corso.
Ripercorrendo gli interventi legislativi del decreto Balduzzi e della legge Gelli, nonché la giurisprudenza intervenuta sul punto, la Corte giunge ad affermare che «non intervenendo a modificare con efficacia retroattiva gli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile (negando od impedendo il risarcimento di conseguenze dannose già realizzatisi), l'art. 3, comma 3, d.l. n. 158/2012, conv. con modificazioni nella l. n. 189/2012 (c.d. legge Balduzzi che dispone l'applicazione, nelle controversie concernenti la responsabilità – contrattuale od extracontrattuale – per esercizio della professione sanitaria, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le Tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 cod. ass. – criteri di liquidazione del danno non patrimoniale confermati anche dalla successiva l. n. 24/2017, c.d. legge Gelli-Bianco), trova diretta applicazione in tutti i casi in cui il giudice sia chiamato a fare applicazione, in pendenza del giudizio, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con il solo limite della formazione del giudicato interno sul quantum». Il fatto che la condotta illecita sia stata commessa e che il danno si sia prodotto prima dell'entrata in vigore del citato decreto Balduzzi non osta infatti all'applicazione dello stesso, così come non è ostativo il fatto che l'azione risarcitoria sia stata promossa antecedentemente alla sua entrata in vigore.
La Corte esclude inoltre la configurabilità di un'ingiustificata disparità di trattamento tra giudizi ormai conclusi e giudizi pendenti, posto che «proprio e soltanto la definizione del giudizio – e la formazione del giudicato – preclude una modifica retroattiva della regola giudiziale a tutela della autonomia della funzione giudiziaria e del riparto delle attribuzioni al potere legislativo e al potere giudiziario».
Infine, deve escludersi una lesione del legittimo affidamento in ordine alla determinazione del valore monetario del danno non patrimoniale, posto che il potere discrezionale di liquidazione equitativa, riservato al giudice di merito, opera su un piano distinto e comunque esterno alla fattispecie legale della responsabilità civile. «La norma sopravvenuta – come si legge nella sentenza in commento – non ha infatti modificato gli effetti giuridici che la legge preesistente ricollega alla condotta illecita, né ha inciso sulla esistenza e sulla conformazione del diritto al risarcimento del danno insorto a seguito del perfezionamento della fattispecie».
In conclusione, il ricorso viene rigettato e le spese processuali compensate integralmente.
(Fonte: dirittoegiustizia.it)