Il termine per la costituzione in giudizio nell'opposizione agli atti esecutivi
14 Novembre 2019
Massima
Il termine per la costituzione in giudizio della parte che intenda introdurre la fase di merito dell'opposizione agli atti esecutivi è di dieci giorni dalla prima notificazione, e non di cinque; nel caso di intempestiva iscrizione a ruolo della causa di opposizione agli atti esecutivi il giudizio non è improcedibile, ma troveranno applicazione le generali regole di cui agli art. 171 e 307 c.p.c. Il caso
Una società, munita di titolo esecutivo giudiziale nei confronti di altra società sua debitrice, lo mise in esecuzione nelle forme del pignoramento presso terzi. In particolare pignorò presso una società di assicurazione il credito verso questa vantato dalla debitrice scaturente da un contratto di assicurazione della responsabilità civile. Nella conseguente procedura esecutiva la società assicuratrice rese una dichiarazione di quantità contestata dalla creditrice. Il Giudice dell'esecuzione, che si occupò della questione ex art. 549 c.p.c., ritenne che la società assicuratrice non fosse in realtà debitrice della esecutata. A questo punto la creditrice propose opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. contro questa ordinanza. Il Giudice dell'esecuzione, al termine della fase sommaria della procedura esecutiva, fissò termine al 13 maggio 2016 per introdurre il giudizio di merito. La creditrice notificò la citazione introduttiva il 20 aprile dello stesso anno nei confronti dell'assicuratrice e il 19 maggio nei confronti della debitrice. Si costituì poi in giudizio iscrivendo la causa a ruolo il 30 aprile dello stesso anno. Il Tribunale di Treviso dichiarò improcedibile l'opposizione agli atti esecutivi perché, «in base all'articolo 618 c.p.c., nel giudizio di merito successivo alla fase cautelare che si svolge davanti al giudice dell'esecuzione, i termini a comparire sono ridotti della metà; pertanto anche i termini per l'iscrizione a ruolo della causa di cui all'art. 165 c.p.c. sono automaticamente ridotti della metà». Così opinando la società opponente si era costituita tardivamente perché la costituzione era intervenuta il 30 aprile e quindi dieci giorni dopo la notifica dell'atto di citazione. La sentenza in questione è stata impugnata dalla creditrice con ricorso fondato su un unico motivo. La questione
Come visto la ricorrente ha affidato il ricorso ad un unico motivo di censura. In particolare, la ricorrente sostiene che l'art. 618 c.p.c., ove stabilisce che nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi i termini a comparire sono ridotti della metà, fa riferimento solo al termine per la vocatio in ius ex art. 163-bis c.p.c. ma non anche al termine per la costituzione dell'attore di cui all'art. 165 c.p.c. In ogni caso, anche ammesso che l'art. 618 c.p.c. imponga la dimidiazione del termine di costituzione in giudizio dell'opponente, la violazione di questo termine non può comportare l'improcedibilità del giudizio di opposizione ma al massimo le conseguenze dell'art. 307 c.p.c. Inoltre, nel caso occorso, la società assicuratrice si era costituita nel termine ad essa assegnato, sanando, pertanto la tardiva costituzione dell'opponente; inoltre poiché la convenuta si era difesa anche nel merito la eventuale tardiva costituzione dell'opponente non doveva ritenersi ostativa all'esame del merito dell'opposizione.
Le soluzioni giuridiche
La Corte, nella sentenza in commento, afferma che sulla questione posta dalla ricorrente esistono decisioni contrastanti nella giurisprudenza di legittimità. In particolare si rileva un primo orientamento, minoritario, secondo cui nei giudizi relativi alle opposizioni esecutive la legge fissa un termine perentorio per l'iscrizione a ruolo della causa e non per la costituzione in giudizio dell'opponente. Conseguentemente, se il termine non viene rispettato, l'opposizione è improcedibile né si può applicare la regola per cui la tardiva costituzione dell'attore viene sanata dalla tempestiva costituzione del convenuto. Se, di conseguenza, è violato il termine per l'iscrizione a ruolo della causa, si applica la disciplina generale relativa al mancato rispetto di un termine perentorio con la derivante inefficacia dell'atto e la decadenza dal diritto di porlo in essere e relativa improcedibilità dell'opposizione. Così testualmente in massima: «In tema di opposizione all'esecuzione, il termine per l'iscrizione della causa a ruolo nella fase di merito previsto dall'art. 616 c.p.c. è espressamente definito perentorio, con la conseguenza che l'omesso rispetto dello stesso determina l'improcedibilità dell'opposizione, anche ove la parte convenuta si sia tardivamente costituita» (Cass. civ., sez. VI, n. 1058/2018). Un secondo orientamento, maggioritario, afferma che nelle opposizioni esecutive non ha rilievo, per il rispetto del termine assegnato dal giudice alla fine della fase camerale per l'introduzione del giudizio di merito, l'iscrizione della causa a ruolo che, anche se richiamata dall'art. 618 c.p.c., ha soltanto la funzione di sottolineare la diversa cognizione delle due fasi, sommaria la prima e piena la seconda (in questo senso Cass. civ., sez. VI, n. 19905/2018; Cass. civ., sez. VI, n. 6056/2017; Cass. civ., sez. III, n. 17306/2015). Ancor più chiaramente si è detto che: «… ai fini della verifica del rispetto del termine decadenziale stabilito nell'ordinanza, non solo non ha alcuna rilevanza la mancata notifica della citazione a uno dei legittimati passivi, dovendo in tal caso il giudice semplicemente concedere un termine per l'integrazione del contraddittorio, ma che è altresì del tutto ininfluente il compimento delle formalità inerenti alla iscrizione a ruolo della causa. E' ben vero infatti che, a norma dell'art. 618 c.p.c., all'esito della fase camerale, il giudice in ogni caso fissa, un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'articolo 163- bis, o altri se previsti, ridotti della metà, ma l'espressione deve ritenersi frutto di errata tecnica legislativa: considerato infatti che, laddove il processo debba essere introdotto con citazione, l'iscrizione a ruolo segue la notificazione della stessa, non par dubbio che l'osservanza del termine perentorio vada verificata con riferimento a quest'ultima soltanto, mentre il richiamo alla iscrizione a ruolo vuole solo rimarcare l'eterogeneità delle due fasi, l'una, a cognizione sommaria, e l'altra a cognizione piena» (così Cass. civ., n. 17306/2015 in motivazione). La Corte di cassazione nella pronuncia in commento ritiene di aderire al secondo orientamento e che pertanto: 1) l'art. 618 c.p.c. non preveda alcuna dimidiazione del termine di costituzione in giudizio; 2) anche laddove lo si potesse inferire, la tardiva costituzione dell'opponente deve ritenersi sanata dalla tempestiva costituzione dell'opposto, in applicazione della regola posta dall'art. 171 c.p.c.; 3) in ogni caso l'iscrizione a ruolo della causa è un atto distinto dalla costituzione in giudizio e, quindi, la mancanza o la tardività della iscrizione a ruolo non comporta conseguenze sulla procedibilità del giudizio di opposizione. In relazione al primo punto la Corte si rifà soprattutto alla lettera dell'art. 618 c.p.c. che non prevede in alcun modo la dimidiazione del termine di costituzione occupandosi, invece, del solo termine a comparire. Ciò che va fatto nel termine perentorio è l'introduzione del giudizio e, quindi, la notifica dell'atto di citazione o il deposito del ricorso, ma non anche l'iscrizione a ruolo. Nemmeno può ritenersi che l'art. 165 c.p.c. contenga una regola generale per cui la riduzione del termine a comparire comporti sempre, indefettibilmente, una riduzione del termine di costituzione in giudizio. Il sistema delineato dall'art. 165 c.p.c. è un sistema non “esportabile” al di fuori dell'ipotesi in esso disciplinata che contempla l'istanza di parte e il provvedimento presidenziale. Sul secondo profilo la Corte afferma che una volta ammesso che l'art. 618 c.p.c. disciplini unicamente il termine per l'introduzione della fase di merito del giudizio di opposizione, ma non anche quello per la costituzione in giudizio, qualora questo termine non sia rispettato varranno le regole generali poste dall'art. 171 c.p.c. e 307 c.p.c. e, quindi, la procedibilità del giudizio se almeno una delle parti si costituisca nel termine ad essa assegnato, oltreché la possibilità di riassunzione ex art. 125 disp. att. c.p.c. se nessuna delle parti si costituisce tempestivamente. Infine, considerando che l'iscrizione a ruolo è un mero adempimento amministrativo, nato nel XIX secolo con la precipua finalità di «evitare la presentazione tumultuaria delle parti dinanzi al magistrato» e dare al giudice la possibilità di studiare la causa in tempo utile, la tardiva esecuzione della stessa non può comportare, in mancanza di diversa previsione di legge, alcun effetto sanzionatorio come l'improcedibilità della causa. In ogni caso poiché la norma dell'art. 618 c.p.c. è senz'altro ambigua nella formulazione, il giudice, in ossequio ai principi posti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, ha il dovere di preferire l'interpretazione che garantisce una piena decisione sul merito, piuttosto che l'opposta. Osservazioni
Il ragionamento della Corte pare condivisibile e la soluzione prescelta la migliore sotto vari punti di vista. Nel richiamare la motivazione della sentenza in commento, pare opportuno concentrare l'attenzione sulle ragioni poste a base del primo profilo dalla Corte esaminato, ossia sulla considerazione, già esposta, secondo cui l'art. 618 c.p.c. disciplina unicamente il termine per l'introduzione della fase di merito del giudizio di opposizione, ma non anche quello per la costituzione in giudizio. La Corte giustamente afferma che non si può ritenere che allorché una norma preveda la dimidiazione del termine a comparire, ciò necessariamente comporti la dimidiazione del termine di costituzione. In primo luogo per ragioni di interpretazione sistematica atteso che l'art. 165 c.p.c., norma cui si richiama il primo orientamento su ricordato, prevede la dimidiazione del termine di costituzione non in tutte le ipotesi di dimidiazione del termine a comparire, ma soltanto quando i termini in questione sono stati ridotti ex art. 163-bis c.p.c. La seconda ragione è che nel sistema processuale civile posto dal codice di rito non vi è corrispondenza biunivoca tra il termine a comparire e quello della costituzione; infatti mentre il provvedimento presidenziale di riduzione dei termini a comparire può anche stabilire una riduzione di essi non della metà ma in misura maggiore o minore, invece l'art. 165 c.p.c. stabilisce che la riduzione del termine per la costituzione è sempre fissa, ossia sempre la metà. Con la conseguenza che tale previsione non è suscettibile di applicazione al di fuori dell'ipotesi in esso espressamente disciplinata. Ricordo come già dopo la modifica dell'art. 616 c.p.c. (e dell'art. 618 c.p.c.) si era posto il problema dell'interpretazione della previsione delle due norme sulla iscrizione a ruolo “previa” all'introduzione al giudizio (in termini si veda Canavese, 1095; Recchioni, 646); la dottrina aveva già affermato che il termine perentorio assegnato dal giudice dell'esecuzione è riferito all'introduzione del giudizio e non all'iscrizione a ruolo, motivo per cui nessuna sanzione può annettersi alla iscrizione a ruolo effettuata secondo le regole del rito applicabile al caso di specie, sicché è ammissibile anche una iscrizione a ruolo posteriore alla notifica della citazione o contestuale al deposito del ricorso (Canavese); pur se si era affermato che la dimidiazione dei termini a comparire nel giudizio di merito introdotto con l'atto di citazione comportava il dimezzamento anche del termine per iscrivere a ruolo la causa (Recchioni). In conclusione ritengo che la soluzione prescelta dalla Corte nella sentenza in commento sia quella preferibile, perché meno formalistica e più aderente ai principi comunitarizzati della Corte EDU e aderente al principio della strumentalità delle forme del processo.
Riferimenti
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