È legittima la limitazione dei mandati dei consiglieri forensi: le ragioni esposte dalle ordinanze di rimessione

Cesare Trapuzzano
20 Novembre 2019

La limitazione dei due mandati consecutivi per i componenti dei consigli circondariali forensi è giustificata dal perseguimento di valori di rango costituzionale e l'estensione del divieto anche ai mandati precedenti non comporta alcuna ipotesi di retroattività in senso proprio.
Inquadramento

Con due separate ordinanze, il Consiglio nazionale forense, in funzione giurisdizionale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 (Elettorato attivo e passivo), comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113 (Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi) – c.d. legge Falanga –, nella parte in cui prevede che i consiglieri degli ordini circondariali forensi non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, nonché dell'art. 11-quinquies (Interpretazione autentica dell'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, e proroga del termine di cui all'articolo 27, comma 4, della legge 31 dicembre 2012, n. 247) del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, nella parte in cui prevede, con norma di interpretazione autentica, che il divieto di elezione per più di due mandati consecutivi opera anche per i mandati iniziati anteriormente all'entrata in vigore della legge che ha stabilito tale divieto.

I giudici a quibus hanno sostenuto che, con riferimento all'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, sarebbero stati violati - per un verso - gli artt. 3, 48 e 51 Cost., per l'irragionevole limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo che ne sarebbe discesa, e - per altro verso - gli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost., per l'illegittima e irragionevole compressione dell'ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi, quali enti pubblici non economici a carattere associativo, che sarebbe derivata da tale divieto. Ad avviso dei rimettenti, sotto il primo profilo, non vi sarebbe stata una ragionevole giustificazione delle limitazioni delle candidature in relazione ad un fatto “neutro”, quale l'espletamento di precedenti mandati, né le esigenze di ricambio e avvicendamento sottese a tale divieto sarebbero state riconducibili a valori di “tono” costituzionale, bilanciabili con il diritto di elettorato passivo e attivo, attesa la natura meramente amministrativa e collegiale degli ordini circondariali forensi. Sotto il secondo aspetto, la medesima limitazione avrebbe pregiudicato, senza adeguate ragioni, l'autonomia associativa che connota gli ordini forensi, quali enti pubblici non economici di natura associativa, con scopi di autogoverno della categoria degli avvocati, ai quali esclusivamente sarebbe spettata la scelta degli associati che devono comporre il consiglio circondariale, sulla scorta delle esperienze acquisite. Ogni interferenza nell'esercizio della scelta spettante agli iscritti, ciascuno dei quali può presentare la propria candidatura, sarebbe stata ingiustamente lesiva delle regole che presiedono al funzionamento e alla rappresentanza di queste formazioni sociali.

Sempre in base alla ricostruzione dei rimettenti, con riguardo all'art. 11-quinquies del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, come introdotto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, sarebbero stati lesi gli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost., per il superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica e, in particolare, per il conferimento di effetti pro futuro a fatti accaduti in passato o a rapporti giuridici esauriti, con conseguente compressione del diritto di elettorato passivo e del diritto di elettorato attivo degli avvocati; e ciò per un fine – quello di evitare sclerotizzazioni e favorire l'avvicendamento – non dotato dello stesso “tono” costituzionale, con violazione del legittimo affidamento riposto sia dai candidati sia dagli elettori, della certezza delle regole del diritto, delle funzioni giudiziarie costituzionalmente riservate al Consiglio nazionale forense, quale giudice speciale investito del contenzioso in materia di elezioni dei consigli circondariali forensi.

Le due ordinanze sono state emesse nei procedimenti di reclamo intentati davanti al CNF dai primi candidati risultati non eletti avverso le proclamazioni degli eletti dei consigli degli ordini circondariali forensi di La Spezia e Savona, essendo incorsi, alcuni dei proclamati eletti, nel divieto del terzo mandato consecutivo, tenuto conto anche dei mandati espletati prima della riforma del 2017.

La successione dei fatti giuridicamente rilevanti

Prima della riforma dell'ordinamento forense del 2012 vigeva un diverso sistema elettorale, il mandato aveva durata biennale e non era prevista alcuna limitazione nell'espletamento dei mandati.

La riforma dell'ordinamento forense ha introdotto i seguenti correttivi: l'obbligo di candidatura per gli avvocati che aspirino ad essere eletti nel consiglio dell'ordine circondariale; l'allungamento della durata del mandato da due a quattro anni; l'introduzione del criterio elettivo a maggioranza semplice, in luogo del precedente a maggioranza assoluta in sede di primo scrutinio; un nuovo criterio di determinazione del numero dei consiglieri componenti del consiglio; il dovere di rispettare l'equilibrio tra i generi. Poi, l'art. 28 (Il consiglio dell'ordine), comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), secondo la sua originaria formulazione, stabiliva che «[i] consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati. La ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato». Pertanto, il divieto (assoluto) di ricandidatura era previsto a seguito dello svolgimento di due mandati, anche se non consecutivi. La norma, oltre a prevedere il limite del doppio mandato, in radice escludeva la possibilità che i due mandati potessero essere espletati in consecuzione, dovendo la ricandidatura per il secondo mandato essere preceduta quantomeno da una consiliatura di durata pari al periodo di svolgimento del primo mandato.

Successivamente l'art. 3 (Elettorato attivo e passivo), comma 3, della legge 12 luglio 2017, n. 113 (Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi), oggetto delle questioni di legittimità costituzionale, ha previsto, al secondo periodo, che, «[f]ermo restando quanto previsto al comma 4, i consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi», escludendo dal relativo computo, ai sensi del successivo comma 4, i mandati di durata inferiore a due anni e ammettendo comunque la ricandidatura, secondo il terzo periodo, quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato. La stessa legge 12 luglio 2017, n. 113 ha, quindi, abrogato il comma 5 dell'art. 28 della legge 31 dicembre 2012, n. 247. All'esito, la portata del divieto (relativo) è assai più circoscritta rispetto alla versione precedente, poiché la candidatura è impedita esclusivamente per il terzo mandato consecutivo; per l'effetto, è consentita, in ogni caso, la possibile ricandidatura, una volta decorsa una tornata elettorale dopo l'espletamento del secondo mandato consecutivo. Non è dunque impedito il doppio mandato consecutivo in successione, purché a intermittenza di una consiliatura: i possibili otto anni di esercizio dei due mandati consecutivi in sequenza devono essere intervallati da un periodo di quattro anni in cui l'aspirante consigliere non può candidarsi. Inoltre, il terzo mandato consecutivo è comunque possibile ove uno dei precedenti mandati espletati non abbia raggiunto la durata di due anni.

Al contempo, l'art. 17 (Regime transitorio), comma 3, primo periodo, della stessa legge 12 luglio 2017, n. 113 ha previsto, appunto nel regolare gli aspetti di diritto intertemporale, che «[i]n sede di prima applicazione, la durata dei consigli dell'ordine, ivi compresi quelli eletti ai sensi dei commi 1 e 2, è stabilita comunque alla scadenza del 31 dicembre 2018, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 3 della presente legge».

Sull'art. 3, comma 3, secondo periodo, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 32781 del 19 dicembre 2018), la quale, oltre a reputare compatibile con i valori costituzionali il limite del doppio mandato consecutivo, ha ritenuto che detta previsione sia applicabile anche ai mandati espletati anteriormente all'entrata in vigore della legge 12 luglio 2017, n. 113 e della legge 31 dicembre 2012, n. 247, sulla scorta della lettera del citato art. 17, che appunto, nel disporre la rinnovazione dei consigli degli ordini circondariali forensi, ha espressamente fatto salva la statuizione dell'art. 3, secondo cui vige il divieto di espletamento di più di due mandati consecutivi. E ciò diversamente dall'interpretazione che aveva reso sul tema il Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, che in due sentenze, 30 novembre 2015, n. 187 e 21 giugno 2018, n. 80, aveva optato per una soluzione più restrittiva, ossia per l'applicabilità del divieto ai soli mandati espletati successivamente all'entrata in vigore della legge n. 113 del 2017.

È poi intervenuto l'art. 1 del decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2 (Misure urgenti e indifferibili per il rinnovo dei consigli degli ordini circondariali forensi), entrato in vigore lo stesso giorno (11 gennaio 2019), a mente del quale «[l]'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, si interpreta nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui al predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 3, comma 3, terzo periodo, e comma 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113». In seguito tale decreto è stato abrogato, ma i suoi effetti sono stati fatti salvi dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, che, nel convertire in legge il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), ne ha integrato il testo con la disposizione di cui all'art. 11-quinquies (Interpretazione autentica dell'articolo 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, e proroga del termine di cui all'articolo 27, comma 4, della legge 31 dicembre 2012, n. 247), la quale riproduce integralmente il contenuto dell'art. 1 del citato decreto-legge n. 2 del 2019. Testualmente, l'art. 1, comma 3, della legge 11 febbraio 2019, n. 12, dispone che «[i]l decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2, è abrogato. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2».

La pronuncia delle Sezioni Unite 19 dicembre 2018, n. 32781

La Corte di cassazione a Sezioni Unite, pronunciandosi sull'impugnazione di una sentenza del Consiglio nazionale forense, 21 giugno 2018, n. 80 (relativa alla proclamazione degli eletti del consiglio dell'ordine circondariale di Agrigento), ha stabilito che, in tema di elezioni dei consigli degli ordini circondariali forensi, la disposizione dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della l. n. 113 del 2017, in base alla quale i consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, si intende riferita anche ai mandati espletati solo in parte prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che, a far data dall'entrata in vigore di detta legge (21 luglio 2017) e fin dalla sua prima applicazione in forza del comma 3 del suo art. 17, non sono eleggibili gli avvocati che abbiano già espletato due mandati consecutivi (esclusi quelli di durata inferiore al biennio ex art. 3, comma 4, della legge citata) di componente dei consigli dell'ordine, pure se anche solo in parte sotto il regime anteriore alle riforme di cui alle leggi n. 247/2012 e n. 113/2017 (così anche Cass. civ., sez. II, sent., 21 aprile 2019, n. 10347; Cass. civ., sez. II, 24 settembre 2014, n. 20138). Questa conclusione è stata argomentata, non già alla stregua di un'interpretazione estensiva o analogica, bensì sulla base del dettato letterale dell'art. 17, comma 3, primo periodo, della legge n. 113/2017, e segnatamente del suo ultimo inciso «[…] ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 3 della presente legge» (disposizioni tra cui rientra la norma che vieta il terzo mandato in sequenza). Infatti, in sede di prima applicazione, i mandati consecutivi già espletati o in corso di espletamento non possono, in natura, essere altro che quelli retti dal previgente regime o sotto di esso iniziati. All'esito, il legislatore, come innanzi evidenziato, ha corroborato tale lettura.

Le Sezioni Unite hanno altresì ritenuto pienamente conforme alla Carta fondamentale la previsione del divieto di espletamento del terzo mandato consecutivo di consigliere dell'ordine forense, e ciò al fine di assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti ai consigli rappresentativi degli avvocati dell'ordine e di consentire il relativo ricambio, esigenze reputate di rilievo costituzionale, considerato che la protrazione nell'esercizio delle cariche elettive è, a sua volta, fomite o incentivo di ben prevedibili tendenze all'autoconservazione, a rischio di prevalenza o negativa influenza sulla correttezza ed imparzialità nell'espletamento delle funzioni di rappresentanza. Sicché, a fronte del medesimo rischio di sclerotizzazione della compagine di governo dell'ente territoriale (pur prospettandosi le differenze esistenti tra autonomie locali e ordini professionali), con i correlativi pericoli di viscosità o remore, anche inconsapevoli, nell'ottimale esercizio delle istituzionali funzioni di rappresentanza e vigilanza, il legislatore si è limitato a vietare la rielezione alla medesima carica entro precisi limiti. Lo stesso arresto di legittimità, dopo avere valorizzato le esigenze pubblicistiche sottese alla strutturazione in sistema ordinistico del consiglio circondariale forense, ispirato a particolare correttezza e rigore nell'esercizio delle professioni così strutturate, ha rilevato che il divieto in questione costituisce, pertanto, limite o correttivo all'evidente asimmetria di potere tra esponenti già in carica - soprattutto se da anni e per un mandato già rinnovato - e nuovi aspiranti alla carica. Per l'effetto, così come avvenuto in altro precedente della stessa Cassazione (a sezioni semplici), riferito all'ordine professionale dei commercialisti ed esperti contabili, si è osservato che, in quanto limitata alla tornata elettorale immediatamente successiva alla maturazione del numero di mandati che la determina, l'ineleggibilità prevista dalla norma in esame comporta una compressione meramente temporanea del diritto di elettorato passivo, la cui previsione trova un'apprezzabile giustificazione nell'esigenza di rafforzare la rappresentatività dei consigli degli ordini mediante un ampliamento della partecipazione degli iscritti e la cui durata costituisce il frutto di un ragionevole bilanciamento attuato dal legislatore nell'esercizio della discrezionalità di cui gode in subiecta materia (Cass. civ., sez. I, ord., 21 maggio 2018, nn. 12461 e 12462).

Similmente per le cariche politiche (diverse dalle cariche ordinistiche) la Corte di cassazione ha ritenuto che il divieto, posto dall'art. 51, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, di immediata “ri”elezione alla carica di sindaco (e di presidente della provincia), per chi abbia ricoperto la medesima carica per due mandati consecutivi, non pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 51 Cost., avendo solo carattere temporaneo e non comprimendo il diritto di elettorato passivo, atteso che questo è garantito a tutti i cittadini, ma il suo esercizio si esplica “secondo i requisiti stabiliti dalla legge” (Cass. civ., sez. I, sent., 20 maggio 2006, n. 11895). Il fine comune perseguito da tali limitazioni è, dunque, quello di favorire il ricambio ai vertici dell'amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell'uso del potere dell'amministratore locale, in modo da sorpassare il vincolo personale tra elettore ed eletto “per sostituire alla personalità del comando l'impersonalità di esso ed evitare clientelismo”. Nel motivare sulla manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata, la Corte di cassazione ha evidenziato che il divieto di cui si discute ha carattere solo temporaneo e non comprime illegittimamente il diritto di elettorato passivo, siccome esso è garantito a tutti i cittadini, ma il suo esercizio, coma sancisce l'art. 51 Cost., si esplica “secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Ed ancora la ratio del divieto in esame è propriamente quella di concretizzare la possibilità di sostituzione della persona del sindaco alla scadenza di un doppio consecutivo mandato sindacale, anche perché è allora che può profilarsi un più incisivo vantaggio, ai fini di conseguire di nuovo la carica, dello stesso soggetto ripetutamente eletto quale sindaco (peraltro rimanendo in quella medesima posizione durante l'iter della elezione). In tali limiti temporali risultando, del resto, ragionevole il sacrificio del diritto di elettorato passivo che qui ne occupa, determinato solamente da investiture pregresse legittimamente conferite dal corpo elettorale, e nell'assenza di un principio generale di assoluta indispensabilità di sostituzione di vertici di organi di governo della comunità civica scelti dagli elettori (Cass. civ., sez. I, sent. 26 marzo 2015, n. 6128; Cass. civ., sez. I, sent. 9 ottobre 2007, n. 21100; Cass. civ., sez. I, sent. 5 giugno 2007, n. 13181).

Infine, la sentenza n. 32781 del 2018 ha escluso che la rilevanza attribuita, ai fini dell'ineleggibilità, ai mandati pregressi, cioè anche a quelli espletati, pure solo in parte, prima dell'entrata in vigore della norma, implichi l'applicazione retroattiva dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113/2017. E ciò perché la norma non regola il passato. Piuttosto, costituisce legittimo frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l'attribuzione ad una condizione personale peculiare di una rilevanza così intensa da influire negativamente anche per il futuro sull'effettivo espletamento della funzione, rappresentandone un ostacolo, nonostante essa non avesse tale idoneità al momento in cui si era verificata. Pertanto, in mancanza di un'espressa disposizione transitoria in senso contrario (cioè di identificazione dei mandati ostativi con quei soli mandati espletati successivamente all'introduzione dei nuovi elementi ostativi), la conclusione della necessaria rilevanza dei mandati pregressi è imposta dall'esigenza di immediata operatività delle condizioni di ineleggibilità.

Le limitazioni nell'espletamento dei mandati per le cariche pubbliche e per gli ordini professionali

La previsione di un limite ai mandati che possono essere espletati consecutivamente rappresenta un principio di ampia applicazione per le cariche pubbliche e, nel più ridotto ambito degli ordinamenti professionali, un vero e proprio principio di portata generale.

Così anche i membri elettivi del Consiglio superiore della Magistratura non sono immediatamente rieleggibili ex art. 104 Cost., come i membri della Corte costituzionale, che al termine del proprio mandato novennale non possono essere nuovamente nominati ex art. 135 Cost. Sicché il ricambio delle cariche pubbliche può essere considerato un valore di rango costituzionale. Ancora più stringente, esprimendosi il divieto già per il secondo mandato, è la limitazione prevista dall'art. 21 della legge 3 aprile 1979, n. 103 per i componenti del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato, i quali, al termine del mandato triennale, non sono immediatamente rieleggibili. Il medesimo principio è poi stabilito per i membri del Consiglio nazionale forense, i cui componenti, ai sensi dell'art. 34, comma 1, l. n. 247/2012, non possono essere eletti consecutivamente più di due volte nel rispetto dell'equilibrio tra i generi.

Quanto agli ordini professionali, la limitazione dei mandati sembra avere una portata generale e, in ogni caso, alquanto ampia, proiettandosi ben oltre il ristretto ambito degli ordini forensi. Ciò è desumibile dagli artt. 2 (come modificato dall'art. 2, comma 4-septies, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2011, n. 10) e 5 del d.P.R. 8 luglio 2005, n. 169 per gli ordini dei dottori agronomi e forestali, degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei geologi e degli ingegneri, dagli artt. 9 e 25 del d.lgs. 28 giugno 2005, n. 139 per l'ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dagli artt. 2 e 3 del d.P.R. 25 ottobre 2005, n. 221 per l'ordine degli psicologi, che dispongono sia per i consiglieri degli ordini territoriali sia per i membri dei consigli nazionali il divieto di elezione per più di due volte consecutive (e per più di tre mandati consecutivi quanto ai componenti in carica degli ordini dei dottori agronomi e forestali, degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei geologi e degli ingegneri). Anche per l'elezione dei consiglieri distrettuali di disciplina, quali componenti dell'organismo competente per l'esercizio dell'azione disciplinare, l'art. 2, comma 2, del regolamento del Consiglio nazionale forense 31 gennaio 2014, n. 1 stabilisce il divieto di elezione per più di due mandati consecutivi.

Allo stesso modo l'art. 4 (Riordino della disciplina degli Ordini delle professioni sanitarie) della legge-delega Lorenzin 11 gennaio 2018, n. 3 (Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute) stabilisce che ciascun ordine delle professioni sanitarie deve favorire l'equilibrio di genere e il ricambio generazionale nella rappresentanza, secondo modalità stabilite con successivi regolamenti. Inoltre, il presidente, il vice presidente, il tesoriere e il segretario di ogni consiglio direttivo può essere rieletto nella stessa carica consecutivamente una sola volta.

Infine, l'art. 1 della legge 3 agosto 1949, n. 577 (Istituzione del Consiglio nazionale del notariato e modificazioni alle norme sull'amministrazione della Cassa nazionale del notariato) dispone che nessun componente del Consiglio nazionale del notariato può essere eletto più di due volte consecutive.

La tutela costituzionale del diritto di elettorato

Il diritto di elettorato passivo costituisce diritto inviolabile ex art. 2 Cost. (Corte cost., sent. n. 539/1990; sent. n. 235/1988), con la conseguenza che le relative limitazioni, debitamente tipizzate (Corte cost., sent. n. 364 del 1996), oltre ad essere di stretta interpretazione (Corte cost., sent. n. 141/1996; sent. n. 166/1972; sent. n. 46/1969), devono essere giustificate da esigenze di interesse generale (Corte cost., ord. n. 276/2012; sent. n. 25 del 2008), riconducibili a valori costituzionali di pari rango. L'eleggibilità è la regola, l'ineleggibilità è l'eccezione (Corte cost., sent. n. 27/2009; sent. n. 310/1991), sicché quest'ultima può essere ammessa solo ove consegua all'equilibrato e proporzionato bilanciamento tra valori di “tono” costituzionale (Corte cost., sent. n. 276/2016; sent. n. 257/2010): più propriamente all'indubbio “tono” costituzionale del diritto di elettorato passivo ex art. 51 Cost. deve frapporsi un altrettanto rilevante valore da tutelare. Ove il valore posto in comparazione non abbia rilevanza costituzionale o, comunque, pur avendo tale rilevanza, non sia proporzionato al contro-valore da bilanciare, il sacrificio imposto al diritto di elettorato passivo sarebbe ingiustificato, così da determinare l'illegittimità costituzionale della norma che stabilisca una siffatta limitazione.

Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il diritto di elettorato passivo - quale diritto politico fondamentale, annoverabile tra quelli inviolabili, riconosciuti e garantiti dagli artt. 2 e 51 Cost. - può essere limitato, in base alla regola della necessità e della ragionevole proporzionalità, soltanto al fine di garantire interessi generali meritevoli di tutela costituzionale (Cass. civ., sez. I, sent. 12 febbraio 2008, n. 3384; Cass. civ., sez. I, sent. 25 gennaio 2001, n. 1073). Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, nonostante la diversità delle rationes cui rispondono l'ineleggibilità e l'incompatibilità, le cui finalità, consistenti rispettivamente nella garanzia della par condicio tra i candidati contro i pericoli di captatio benevolentiae e di metus publicae potestatis (e quindi, in definitiva, nella tutela della libertà di voto) ed in quella del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa (in riferimento all'esercizio delle funzioni elettive), la contrapposizione tra le due figure deve essere ridimensionata e, per l'effetto, deve essere esclusa la sussistenza di una netta linea di demarcazione tra le relative fattispecie, tale da consentire di escludere possibili sovrapposizioni tra le stesse (Cass. civ., sez. I, sent. 2 febbraio 2016, n. 1949; Cass. civ., sez. I, sent. 16 gennaio 2012, n. 438; Cass. civ., sez. I, sent. 11 dicembre 2007, n. 25944).

Ragioni dell'asserita violazione del principio di ragionevolezza e del diritto di elettorato passivo e attivo

Le ordinanze di rimessione citate hanno affermato che la preclusione all'esercizio del diritto di elettorato passivo sarebbe agganciata esclusivamente al fatto di essere stati già eletti in passato, presupposto in sé “neutro”, non collegabile alla difesa di valori costituzionali di primario rilievo. A questa limitazione ingiustificata del diritto di elettorato passivo corrisponderebbe una compressione non ragionevole del diritto all'elettorato attivo e del principio di libertà di voto, di cui all'art. 48 Cost. E ciò perché ogni preclusione legale alla possibilità di taluni soggetti di partecipare a competizioni elettorali ed essere eletti si tradurrebbe inevitabilmente nella compressione dello spazio di libera scelta lasciato all'elettore, il quale si vedrebbe sottrarre la facoltà di scegliere, quali destinatari del proprio voto, taluni a vantaggio di altri. Cosicché la restrizione della facoltà di scelta dell'elettore sarebbe particolarmente grave, finendo la preclusione legale anche per differenziare il voto all'interno del corpo elettorale considerato, poiché essa comporterebbe l'invalidità del voto assegnato al candidato ineleggibile rispetto al voto dato al candidato che non incorre, invece, nella preclusione legale stessa. In definitiva, il divieto di terzo mandato consecutivo reprimerebbe non solo il diritto di elettorato passivo, impedendo a taluni avvocati di essere rieletti (pur in assenza di presupposti attinenti alla dignità morale necessaria per ricoprire il ruolo, come l'integrazione di fatti di rilievo penale), ma anche il diritto di elettorato attivo, inibendo alla classe forense la scelta di farsi rappresentare da colleghi più esperti, già in possesso delle competenze più utili allo svolgimento del mandato consiliare.

In questa prospettiva, la tutela del preminente valore dell'avvicendamento o del ricambio nelle cariche rappresentative, che dovrebbe essere assicurato evitando che rendite di posizione derivanti dalla permanenza nella carica per periodi eccessivamente lunghi possano condurre ad esiti di sclerotizzazione della rappresentanza, così limitando la par condicio tra i candidati e alterando la libera competizione elettorale, costituirebbe un obiettivo di carattere essenzialmente politico che, seppure liberamente perseguibile dal legislatore nell'ambito della sfera di discrezionalità che gli è propria, non sarebbe comparabile, sotto il profilo del “tono” costituzionale, ai diritti ed ai principi in tema di elettorato attivo e passivo. Detti interessi presenterebbero elementi di intrinseca irragionevolezza, poiché non sarebbe ravvisabile l'analogia con i divieti di rielezione previsti per i sindaci, attesa l'impossibilità di comparazione tra il sistema delle elezioni previsto per le cariche amministrative di comuni e province e quello previsto per i componenti dei consigli degli ordini, avuto riguardo alla diversità degli enti di cui sono organi il sindaco ed il presidente della provincia e alle profonde differenze riscontrabili tra i rispettivi sistemi elettorali (a tali profonde differenze allude Cass. civ., ord., 21 maggio 2018, nn. 12461 e 12462). Un conto sarebbe la rappresentatività di un ente territoriale avente carattere politico, altro conto la rappresentatività di un ente pubblico associativo; e, soprattutto, il divieto di rielezione relativo ad organi monocratici di vertice di enti politici non sarebbe trasponibile al divieto di rielezione di membri di un organo collegiale chiamato a reggere un ente pubblico associativo, avente natura meramente amministrativa. Esaltando questa eterogeneità strutturale e funzionale, la collegialità degli ordini forensi sarebbe già ragione di temperamento di qualsiasi personalizzazione nell'esercizio del potere; in specie, la possibilità di candidarsi riconosciuta ad ogni iscritto consentirebbe la massima partecipazione, senza che la limitazione posta ad alcuni iscritti possa costituirne un ampliamento; d'altronde, il ricambio sarebbe assicurato dalla periodicità dell'elezione e dalle dinamiche della collegialità, che permetterebbero il fisiologico formarsi di maggioranze diverse. Né potrebbe ritenersi lesa la par condicio dei candidati in ragione della maggiore esperienza e visibilità che alcuni di essi abbiano conseguito in passato nello svolgimento di quel ruolo, partecipando ciascun candidato con la notorietà comunque acquisita per la sua esperienza professionale, le sue attività, le sue relazioni. A contrario, un ricambio frequente indebolirebbe proprio quei requisiti di autorevolezza e rappresentatività che i consigli si prefiggono di esprimere. Più in generale i vantaggi derivanti dall'esperienza e dalla continuità nell'esercizio delle funzioni non sarebbero recessivi rispetto a quelli della novità e dell'avvicendamento.

Ragioni dell'asserita violazione del principio di solidarietà, della libertà di associazione, della sussidiarietà orizzontale e del principio di uguaglianza

Anche con riferimento a tale aspetto, il Consiglio nazionale forense ha sostenuto che la previsione denunciata determinerebbe una irragionevole compressione dell'ambito di autonomia riservato agli ordini forensi dagli artt. 2, 18 e 118 Cost., in relazione all'art. 3. Ed infatti, la natura di ente pubblico non economico a carattere associativo dell'ordine circondariale forense, come disciplinata dall'art. 24, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che riconosce e valorizza l'autonomia regolamentare, organizzativa e finanziaria delle comunità degli avvocati organizzate in ordini professionali, ne consentirebbe l'assimilazione a vere e proprie formazioni sociali, cui la legge, in attuazione del principio pluralista che caratterizza la forma di Stato delineata dal Costituente, assicura uno statuto autonomo basato sull'autogoverno, in modo non dissimile da quanto previsto per l'ordine giudiziario. Con l'effetto che l'elettività dei consigli sarebbe pienamente coerente con la loro natura associativa. E, per converso, la natura amministrativa e non politica dell'ordine circondariale forense impedirebbe di estendere alle elezioni forensi la ratio del divieto di rielezione previsto per gli organi di vertice degli enti politici territoriali. In più, il carattere associativo inciderebbe direttamente sulla natura e sulle dinamiche del rapporto di rappresentanza tra l'iscritto e l'eletto: proprio perché l'ordine forense ha carattere esponenziale di una comunità di professionisti, il rapporto di rappresentanza sarebbe caratterizzato da tratti peculiari di prossimità, che a loro volta discenderebbero dalla specifica solidarietà che conforma la comunità professionale e l'ente che la istituzionalizza. Dalla peculiare declinazione che, su questa base, assumerebbe il rapporto di fiducia tra elettore ed eletto, consegue, ad esempio, che nelle elezioni forensi non sia previsto il voto di lista, ma solo il voto a singoli candidati; ed, inoltre, l'iscritto è sovente guidato, nell'espressione del proprio voto, dalla considerazione dell'autorevolezza che deriva al candidato dall'esperienza maturata nella gestione dell'ente e dal radicamento nella comunità professionale, a loro volta strettamente legate (almeno in potenza) al fatto di aver ricoperto per più mandati la carica elettiva.

Cosicché, nel rispetto della libertà di associazione (art. 18 Cost., riferibile anche alle associazioni ad appartenenza obbligatoria quali l'ordine forense) e del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 Cost.), la legge dovrebbe opportunamente astenersi dall'interferire in tale ambito, lasciando che la permanenza in carica per più mandati discenda dal libero articolarsi dei rapporti di fiducia e solidarietà interni alla comunità professionale, piuttosto che dall'intervento autoritativo di un divieto di rielezione.

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