L'ammissibilità di nuove domande nella convalida di sfratto

26 Novembre 2019

Non vi è concordia di opinioni in dottrina e giurisprudenza in ordine all'ammissibilità di nuove domande formulate dal locatore nelle memorie integrative previste dal medesimo art. 426 c.p.c.
Il quadro normativo

Nel procedimento per convalida di sfratto di cui agli artt. 657 e ss. c.p.c., l'opposizione della parte intimata, ovvero il rilievo d'ufficio da parte del giudice dell'insussistenza dei presupposti per la convalida, ovvero, ancora, nel caso dell'art. 666 c.p.c., il pagamento da parte dell'intimato delle somme non contestate, comportano la chiusura della fase speciale e la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie del rito locatizio.

Il raccordo tra queste due fasi – la prima semplificata e a cognizione speciale o sommaria, la seconda a cognizione piena – trova la sua regolamentazione nell'art. 667 c.p.c., il quale prevede che il giudice proceda al mutamento del rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c.

Non vi è, però, concordia di opinioni in dottrina e giurisprudenza in ordine all'ammissibilità di nuove domande formulate dal locatore nelle memorie integrative previste dal medesimo art. 426 c.p.c.

Domande nuove del locatore: tesi tradizionali

Secondo l'impostazione prevalente della Suprema Corte (Cass. civ., n. 12121/06; Cass. civ., n. 12288/04; Cass. civ., n. 11148/03) - formatasi con riferimento al vecchio rito e che parte dal presupposto secondo il quale l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del procedimento di convalida a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo processo con cognizione piena (cd. concezione autonomistica), in cui l'intimante deve dare la prova del diritto vantato, non potendosi più avvalere delle ammissioni legali della fase sommaria - ben è possibile per il locatore dedurre una nuova causa petendi e proporre anche una nuova domanda, e per il conduttore proporre nuove eccezioni e/o domande riconvenzionali (Cass. civ., n. 13963/05); tale facoltà potrebbe, peraltro, scaturire anche dall'applicabilità, a seguito della disposta trasformazione del rito, del disposto dell'art. 414 c.p.c. Si è, invero, precisato che, nel procedimento per convalida di sfratto, le parti possono esercitare, nel nuovo e autonomo procedimento che si instaura a seguito dell'opposizione dell'intimato, tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (Cass. civ., n. 3696/12; Cass. civ., n. 15399/10; Cass. civ., n. 5356/09).

Di recente, si è ritenuto che, non essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte dalla controparte (Cass. civ., n. 4771/19; Cass. civ., n. 12846/14; Cass. civ., n. 12247/13).

Si è così sostenuto che, nel procedimento di sfratto per morosità, se il giudizio prosegue con la conversione del rito, il locatore può chiedere:

  • il pagamento anche della penale pattuita per la risoluzione del contratto(Cass. civ., n. 676/05);
  • la risoluzione per inadempimento del conduttore in relazione al mancato pagamento di canoni o oneri condominiali non considerati nell'atto di convalida di sfratto (Cass. civ., n. 5356/09) e maturati in corso di causa, nonché la ripetizione dell'indennità di avviamento (Cass. civ., n. 7423/17; Cass. civ., n. 18686/07; Cass. civ., n. 14961/06);
  • il pagamento del canone sulla base di una diversa causa solvendi, costituita da un ulteriore contratto di locazione, avente ad oggetto un locale contiguo a quello per il quale era stato intimato lo sfratto per morosità, operandosi così un ampliamento del thema decidendum (Cass. civ., n. 12247/13).

Optando per la tesi dell'ammissibilità di domande nuove o riconvenzionali, se l'intimato compare nella fase sommaria senza costituirsi, e si oppone alla convalida, anche la memoria (oltre che l'ordinanza di mutamento del rito), depositata dall'intimante-ricorrente ex artt. 426 e 667 c.p.c., qualora contenga domande nuove, andrà notificata all'intimato-resistente contumace, ex art. 292 c.p.c., a cura della cancelleria (art. 420, comma 11, richiamato dall'art. 447-bisc.p.c.).

Secondo, invece, altro, ormai minoritario, orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel nuovo rito delle locazioni il giudizio, che è unico ed inizia con l'esercizio da parte del locatore di un'azione di condanna nella forma speciale della citazione per la convalida (cd. concezione unitaria), prosegue dinanzi al giudice con la facoltà per le parti di depositare memorie integrative che non possono contenere domande nuove a pena di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, non sanata dall'accettazione del contraddittorio, col solo limite della formazione del giudicato (Cass. civ., n. 11596/05; Cass. civ., n. 15021/04; Cass. civ., n. 8411/03, la quale ha cassato senza rinvio la sentenza di merito che non aveva rilevato la novità della domanda di condanna al pagamento dei canoni scaduti proposta dal locatore non con l'atto di intimazione ma solo con le memorie integrative depositate dopo il mutamento di rito). Si è così ritenuto che, perchè la risoluzione per inadempimento possa essere dichiarata sulla base di una clausola risolutiva espressa, è richiesta la specifica domanda, con la conseguenza che,una volta propostal'ordinaria domanda ai sensi dell'art. 1453 c.c. con l'intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell'avvenuta risoluzione “ope legis di cui all'art. 1456 c.c., in quanto quest'ultima è ontologicamente diversa dalla prima (Cass. civ., n. 11864/15; Cass. civ., n. 24207/06).

È pacifico, invece, che le memorie integrative siano idonee ad introdurre tutte le consentite modificazioni del “petitum(trattandosi di “emendatio libelli”, previa peraltro autorizzazione del giudice, giustificata da gravi motivi ex art. 420, comma 1, c.p.c.: Cass. civ., n. 8729/11, Cass. civ., n. 23908/06), mediante l'allegazione di fatti secondari costitutivi del diritto o, comunque, la prospettazione di una diversa strategia difensiva. In tale contesto, in cui è parimenti consentita anche la rinuncia a far valere eccezioni o difese prospettate nella fase di convalida, non sussiste, peraltro, alcuna preclusione per l'operatività delle difese avanzate nel procedimento speciale di convalida nel caso in cui esse non vengano espressamente riproposte nel procedimento ordinario di cognizione, a meno che la parte interessata non vi abbia inequivocamente rinunciato.

Casistica giurisprudenziale

Esaminando la variegata casistica giurisprudenziale, si è ritenuta non nuova la domanda avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di locazione per cessazione del contratto nel corso del giudizio, formulata all'esito della conversione del rito da sommario in ordinario ex art. 667 c.p.c., trattandosi di mera specificazione dell'originaria domanda di condanna azionata con il procedimento sommario per convalida di licenza per finita locazione (Cass. civ., n. 674/05; Cass. civ., n. 11960/10).

In tema, invece, di domanda di accertamento della scadenza di un rapporto locativo, non si pone di regola un problema di “mutatio” o “emendatio” della domanda con riferimento alle eventuali variazioni da parte dei difensori della data di scadenza del rapporto (in tal senso, Cass. civ., n. 11960/10; contra Cass. civ., n. 12539/00, che ritiene invece trattarsi di “emendatio”, e Cass. civ.,n. 16635/08, che, in un caso di intimazione di licenza per finita locazione ad una certa data e opposizione dell'intimato sulla scorta di altro contratto con scadenza posteriore, ha qualificato la domanda di risoluzione alla stregua del secondo contratto, proposta dal locatore con la memoria integrativa, successiva all'ordinanza ex art. 426 c.p.c., come mera specificazione dell'originaria domanda di risoluzione avanzata in sede sommaria), dal momento che l'individuazione di tale data è comunque rimessa allo stesso giudice in base al principio “iura novit curia”: invero, la giurisprudenza di legittimità ha tradizionalmente sostenuto che il giudice, ove accerti che, per erronea indicazione ovvero per avvenuta rinnovazione del contratto, l'effettiva data di scadenza dello stesso sia posteriore a quella indicata nell'atto introduttivo, può dichiarare la cessazione del contratto per una data successiva senza per questo incorrere nel vizio di extra o ultrapetizione (Cass. civ., n. 684/10; Cass. civ., n. 14486/08; Cass. civ., n. 7927/04). Il giudizio ordinario, infatti, si deve concludere con sentenza, la quale non può limitarsi ad accogliere o rigettare l'istanza di convalida, perchè questo aspetto del procedimento è superato dalla proposizione delle eccezioni dell'intimato, ma deve decidere sul mantenimento o la risoluzione del contratto di locazione sottostante all'intimazione della licenza (Cass. civ., n. 15593/07).

Problematica si presenta Cass. civ., n. 5986/07, la quale, pur ammettendo che il locatore possa chiedere, in corso di causa, il pagamento degli ulteriori canoni maturati, nega però che possano essere chiesti canoni (non pagati) maturati anteriormente alla notificazione della intimazione di sfratto (e non richiesti nello sfratto medesimo): il profilo andrebbe per la verità affrontato avendo riguardo al più generale tema del divieto di frazionamento di un credito unitario in plurime richieste giudiziali di adempimento, divieto che, applicabile anche ai rapporti di durata (Cass. civ.,Sez.Un., n. 4090/17), comporta l'improponibilità di ciascuna delle singole domande, successive alla prima, in cui venga frazionata la pretesa creditoria (Cass. civ., n. 17019/18; Cass. civ., n. 22503/16; Cass. civ.,Sez.Un., n. 23726/07).

La questione dei “nova” dopo le recenti pronunce delle Sezioni Unite

Il problema della distinzione tra domanda nuova, non ammissibile da parte del locatore secondo la concezione unitaria del procedimento in esame, e domanda modificata, ammissibile in presenza dei presupposti di cui all'art. 420, comma 1, c.p.c., è destinato ad attenuarsi significativamente alla luce dei recenti orientamenti con cui la Suprema Corte, sia pure in riferimento al rito ordinario di cognizione (art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.), ha fatto venir meno la tradizionale distinzione tra “emendatio” e “mutatio libelli”, ritenendo, in un'ottica di economia processuale, che la modificazione della domanda possa riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (ossia, il “petitum” e la “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali (Cass. civ.,Sez.Un., n. 12310/15; Cass. civ., n. 23131/15; Cass. civ., n. 816/16; Cass. civ., n. 13091/18). Non può esservi, cioè, mutamento della domanda allorquando resta immutato il bene della vita in relazione al quale è richiesta tutela, pur in presenza di un ipotetico concorso di norme, legali o convenzionali, a presidio dell'unico diritto azionato (Cass. civ., n. 9333/16), sicchè rientra nella “emendatio”, ad es., anche il mutamento della domanda risarcitoria a titolo contrattuale in domanda risarcitoria a titolo di responsabilità aquiliana, se basata sulla medesima vicenda sostanziale (Cass. civ., n. 22540/18).

In base a tale nuovo indirizzo interpretativo, quindi, il “discrimen” tra domanda nuova e domanda modificata va rinvenuto nel carattere ampliativo del “thema decidendumche presentano le domande nuove rispetto invece al carattere sostitutivo della modifica, nel senso che la domanda “nuova” si aggiunge a quella originariamente formulata; la domanda “modificata”, invece, si sostituisce a quella originaria (Cass. civ., n. 16807/18; Cass. civ., n. 11282/18), non essendo ricavabile dalle norme processuali alcuna differenza quanto alla possibilità di variazione degli elementi identificativi fondamentali (causa petendi, petitum), egualmente consentita ad entrambe le domande (Cass. civ., n. 29619/17).

Operando un ulteriore passo in avanti, tuttavia, le Sezioni Unite (sent. n. 22404/18) hanno da ultimo statuito l'ammissibilità di una nuova domanda se formulata in via subordinata (e, quindi, non necessariamente in sostituzione di quella originaria), qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio e sia comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta. Pertanto, ad es., nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c.

Applicando tali principi al procedimento per convalida di sfratto, deve allora condividersi quella giurisprudenza di merito che ha ritenuto ammissibile, in quanto costituente mera “emendatio”, la proposizione da parte del locatore, nella memoria ex art. 426 c.p.c. - a fronte della richiesta del conduttore di declaratoria di nullità del contratto di locazione per mancanza di forma scritta “ad substantiamex art. 1, comma 4, l. n. 431/98 ovvero per omessa registrazione ex art. 1, comma 346, l. n. 311/04 – di una domanda di restituzione dell'immobile fondata non più sulla risoluzione del contratto per grave inadempimento, bensì sulla nullità dello stesso (in tal senso, Trib. Modena 11 dicembre 2015, in “Arch. locazioni” 2016, 200 ss.).

Nella stessa direzione sembra muoversi, proprio in tema di controversie locatizie, anche la giurisprudenza di legittimità, la quale ha ritenuto ammissibile la modificazione dell'originaria domanda di pagamento dei canoni di locazione in quella di pagamento dell'indennità di occupazione “sine titulo”, proposta in via subordinata (ed alternativa) a seguito dell'eccezione di nullità del contratto ad opera del convenuto (Cass. civ.,n. 4322/19).

In ordine alle conseguenze derivanti dalla declaratoria di nullità del contratto di locazione, deve poi rammentarsi che – superando l'orientamento secondo cui, qualora un contratto di locazione sia dichiarato nullo, pur conseguendo in linea di principio a detta dichiarazione il diritto per ciascuna delle parti di ripetere la prestazione effettuata, la parte che abbia usufruito del godimento dell'immobile non può pretendere la restituzione di quanto versato a titolo di corrispettivo per tale godimento, in quanto ciò importerebbe un inammissibile arricchimento senza causa in danno del locatore (Cass. civ., n. 4849/91) – la recente giurisprudenza di legittimità ha, invece, sostenuto che la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., con la conseguenza che il conduttore ha diritto alla restituzione dei canoni versati, mentre il locatore, stante l'irripetibilità del godimento del bene, può chiedere il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. oppure l'ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (Cass. civ., n. 25503/16): ebbene, alla luce dei predetti principi, queste ultime domande potrebbero essere proposte dal locatore anche per la prima volta nella memoria integrativa ex art. 426 c.p.c., in via subordinata sia al rigetto della domanda principale di risoluzione della locazione per inadempimento del conduttore, che all'accoglimento della domanda riconvenzionale del conduttore di restituzione dei canoni pagati.

Domanda riconvenzionale dell'intimato

Risulta, invece, pacifico in dottrina e giurisprudenza che il conduttore possa, a seguito del passaggio dal rito speciale a quello ordinario a cognizione piena, sollevare nuove eccezioni (anche in senso stretto), spiegare domande riconvenzionali, chiedere di chiamare in causa un terzo, articolare nuovi mezzi di prova. Depone in tal senso la dirimente considerazione che non è espressamente statuita alcuna decadenza con riferimento alla fase della convalida, né d'altro canto appaiono applicabili le preclusioni discendenti dall'art. 167 c.p.c., considerata la natura speciale del procedimento per convalida.

Ne consegue che la domanda riconvenzionale del convenuto non deve necessariamente essere proposta con la comparsa di risposta prevista dall'art. 660, comma 5, c.p.c., ma può essere formulata anche nella memoria (ma non oltre) presentata nel termine perentorio fissato con l'ordinanza ex art. 426 c.p.c., richiamato dall'art. 667 c.p.c. (Cass. civ., n. 16190/15; Cass. civ., n. 3696/12; Cass. civ., n. 13963/05).

Ad esempio, la domanda di determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale deve essere proposta dal conduttore, a pena di inammissibilità, entro il termine fissato dal giudice ai sensi del citato art. 426 (Cass. civ., n. 4568/97).

La stessa conclusione, ossia nel senso dell'ammissibilità, vale, a maggior ragione, per le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, anch'esse proponibili per la prima volta dall'intimato con la memoria ex art. 426 c.p.c.

Si è anche precisato che, allorché la controversia prosegua oltre la fase sommaria a seguito dell'opposizione dell'intimato, la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. costituisce l'atto in cui si cristallizzano le posizioni delle parti, sicché non può ritenersi integrata, prima del deposito dell'anzidetta memoria, una “non contestazione” di un fatto idonea ad esonerare la controparte dalla relativa prova (Cass. civ., n. 26356/14, che ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda della sublocatrice per mancata prova della tempestività della disdetta della locazione, la cui tardività era stata eccepita dalla subconduttrice soltanto nella memoria ex art. 426 c.p.c.).

Qualora la domanda riconvenzionale sia stata validamente avanzata dall'intimato già nella fase sommaria (senza necessità, in tal caso, di rispettare il termine di 10 giorni di cui all'art. 416 c.p.c. e di reiterarla espressamente nella memoria integrativa: Cass. civ., n. 24819/16), è opportuno che il giudice, con l'ordinanza di mutamento del rito ex art. 667 c.p.c., conceda un doppio termine a favore di entrambe le parti, e precisamente:

  1. un primo termine al ricorrente principale ed al ricorrente in via riconvenzionale, con il quale le parti potranno integrare le rispettive domande già avanzate e le relative richieste istruttorie a sostegno;
  2. un secondo termine al resistente principale ed al resistente in via riconvenzionale, volto a permettere la proposizione di eccezioni in senso stretto e dei mezzi istruttori di replica, senza necessità per l'intimato di chiedere la fissazione di una nuova udienza di discussione (Cass. civ., n. 2777/03 e Cass. civ., n. 10335/05 in tema di controversia erroneamente introdotta con il rito ordinario e di cui venga disposto il mutamento del rito), non ricorrendo l'esigenza, cui è funzionale la previsione dell'obbligo di formulare tale istanza, di garantire l'utile svolgimento del contraddittorio sulla riconvenzionale, in ragione del regime delle preclusioni proprie del rito speciale, in quanto il contraddittorio ha già avuto corso.

Se, invece, la proposizione della domanda riconvenzionale è effettuata per la prima volta nella memoria integrativa, ciò comporta l'applicazione dell'art. 418 c.p.c. e, quindi, l'onere per il convenuto, a pena di decadenza (con conseguente declaratoria di inammissibilità della domanda), di chiedere lo spostamento dell'udienza di discussione, a nulla rilevando l'eventuale accettazione del contraddittorio da parte dell'attore(Cass. civ., n. 16190/15;Cass. civ., n. 3696/12).

Mette conto peraltro evidenziare che, laddove il conduttore abbia spiegato in sede sommaria eccezioni o domande riconvenzionali, l'intimante ha comunque la facoltà – in sede di memoria integrativa – di spiegare una “reconventio reconventionis” (Trib. Palermo 3 dicembre 2002) o di richiedere la chiamata in causa di terzi se tali esigenze sono sorte dalle predette difese dell'intimato.

Infine, va rilevato che, qualora il conduttore, convenuto in giudizio per la convalida di sfratto per morosità, contesti il fondamento dell'intimazione e proponga a sua volta domanda riconvenzionale, pur chiedendo ed ottenendo termine di grazia e adempiendo tempestivamente al pagamento di quanto chiesto da parte del locatore, l'opposizione così proposta determina la conclusione del procedimento sommario e l'instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, nel quale il giudice dovrà esaminare e considerare tutte le contrapposte domande, eccezioni e contestazioni, rispettando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Ne consegue che deve considerarsi abnorme e avente natura di sentenza il provvedimento – adottato nella forma di ordinanza – di estinzione, che deve, perciò, essere ritenuto invalido e inefficace ai fini della prosecuzione del giudizio (Cass. civ., n. 25393/09).

Il potere del difensore di presentare nuove domande

Il principio della proponibilità di nuove domande a seguito della trasformazione del rito (pacifico, come si è appena evidenziato, con riferimento alla parte intimata e controverso riguardo all'intimante) va in ogni caso coordinato con la disciplina sul mandato alle liti e sui poteri dei difensori in giudizio.

In giurisprudenza (Cass. civ., n. 4356/00; Cass. civ., n. 1393/95), si è ritenuto che il mandato “ad litem” attribuisca al procuratore, a norma dell'art. 84 c.p.c., la facoltà di proporre nel corso del giudizio (salvo le preclusioni del rito) nuove domande, purché le stesse siano comunque ricollegabili con l'originario oggetto.

Secondo tale lettura è, infatti, necessario il rilascio di un nuovo mandato per la proposizione di domande dirette ad introdurre una nuova e distinta controversia eccedente l'ambito della lite originaria (sempre che naturalmente ammissibile).

Secondo Cass. civ., n. 15619/05, rientra in ogni caso nel mandato originario conferito al procuratore per il procedimento di convalida di sfratto per morosità anche il potere di chiedere l'ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti.

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