La regola della postergazione non pregiudica la sottoscrizione del capitale con compensazione del credito

28 Novembre 2019

La disciplina in tema di postergazione dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c. è posta a tutela delle aspettative dei creditori terzi e della società, a fronte di richieste di rimborso relative a crediti non ancora esigibili; la norma deve ritenersi applicabile per analogia anche alle società per azioni, ove abbiano una ristretta base azionaria e il socio finanziatore sia titolare di una posizione influente, o comunque informata, all'interno della società.
Massima

La disciplina in tema di postergazione dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c. è posta a tutela delle aspettative dei creditori terzi e della società, a fronte di richieste di rimborso relative a crediti non ancora esigibili; la norma deve ritenersi applicabile per analogia anche alle società per azioni, ove abbiano una ristretta base azionaria e il socio finanziatore sia titolare di una posizione influente, o comunque informata, all'interno della società.

La violazione della regola di cui all'art. 2467 c.c. può dar luogo a una tutela di natura risarcitoria per il creditore pregiudicato, a un'azione di responsabilità verso l'organo amministrativo che abbia deciso il rimborso o, in sede concorsuale, all'inefficacia dell'atto di rimborso al socio della somma a favore della società. Al contrario, tale violazione non può comportare un vizio che sia in grado di invalidare una delibera assembleare di aumento di capitale che sia poi sottoscritto da un socio mediante compensazione del suo credito verso la società riveniente da un finanziamento soci.

Il caso

La sentenza del Tribunale di Bologna in commento trae origine dall'azione promossa da un (ex) socio di minoranza di una società per azioni a ristretta base azionaria che aveva perso il suo status a seguito di un'operazione di ricapitalizzazione, previo azzeramento del capitale sociale per perdite, effettuata, da quanto si deduce dalla sentenza, in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.. L'aumento di capitale era stato sottoscritto dal solo socio di maggioranza mediante la rinuncia a un proprio credito derivante da un finanziamento soci e, quindi, mediante utilizzo in compensazione del relativo importo per sottoscrivere le azioni di nuova emissione. Al contrario, l'attore, probabilmente “sprovvisto” di un rapporto di credito verso la società (oltre che della liquidità richiesta), non ha esercitato il proprio diritto di opzione, che pure gli era stato offerto, trovandosi così “estromesso” dalla compagine sociale.

La tesi attorea, mirata a far dichiarare la «inesistenza, nullità e/o annullabilità» della delibera assembleare deducendo, in particolare e tra l'altro, una violazione della disciplina di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. e una non meglio motivata lesione del diritto di opzione, è stata integralmente rigettata dal Tribunale adito che ha fatto leva, nelle sue argomentazioni, sull' (insussistente) rapporto tra la pronuncia per invalidità di delibere assembleari e la presunta lesione del principio della postergazione dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c..

Le questioni

Il caso in esame costituisce un'interessante occasione per i giudici bolognesi per rimarcare alcuni principi interpretativi della disciplina della postergazione dei finanziamenti soci e, nel contempo, vagliarne l'applicabilità rispetto alla prassi - lecita e piuttosto diffusa (cfr. Massima del Consiglio Notarile di Milano n. 125 del 5 marzo 2013) - di sottoscrivere un aumento di capitale mediante compensazione di un credito vantato dal sottoscrittore dell'aumento verso la società.

Tralasciando la prima questione affrontata dal Tribunale, orientata a ripercorrere le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza in merito all'invalidità delle delibere assembleari, rispetto a cui oggi «la regola generale è quella della annullabilità», mentre la nullità è limitata ai casi di cui all'art. 2379 c.c. e la categoria dell'inesistenza, dopo la riforma del diritto societario del 2003, deve ritenersi categoria superata, la sentenza tratta innanzitutto della valenza sistematica dell'art. 2467 c.c.. Secondo opinione condivisa in dottrina e giurisprudenza, tale norma rappresenta un argine a difesa delle ragioni dei creditori, introducendo un principio di corretto finanziamento della società che mira a evitare lo spostamento del rischio di impresa sui creditori e prevede, in caso di sua violazione, una riqualificazione imperativa del prestito del socio – purché effettuato in costanza delle circostanze di cui all'art. 2467 c.c. - in prestito postergato (cfr. Cass. civ., Sez. I, 24 luglio 2007, n. 16393; Trib. Milano, 14 marzo 2014, n. 3621, entrambe in DeJure, Giuffrè).

Il Tribunale bolognese, quindi, nell'analisi della disciplina sulla postergazione dei finanziamenti soci, aderisce alla tesi (ormai prevalente) favorevole all'estensione della norma in esame anche alle società per azioni, ove il caso in concreto conduca a una valutazione positiva «se la società, per modeste dimensioni o per assetto dei rapporti sociali (compagine familiare o, comunque, ristretta) sia idonea di volta in volta a giustificare l'applicazione della disposizione citata» e sia così possibile, in definitiva, per il socio di apprezzare compiutamente la situazione di capitalizzazione della società (così anche Trib. Milano, 4 giugno 2019, n. 265 in Leggi d'Italia, Milano).

Ciò rilevato, i giudici, proseguendo nell'esegesi dell'art. 2467 c.c., al fine di valutarne la sua applicabilità al caso di specie, precisano che l'applicazione della regola della postergazione non opera verso tutti i finanziamenti soci indiscriminatamente ma è «circoscritta alle sole ipotesi di finanziamenti realizzati nelle circostanze anomale postulate dal secondo comma»: una situazione di squilibrio patrimoniale o una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento. Non rilevano «successivi peggioramenti della situazione patrimoniale della società» (al riguardo cfr. anche Trib. Roma, 5 febbraio 2019, n. 2631 in Il caso.it) rispetto al momento del finanziamento, cosicché, evidenziano i giudici, è onere di chi vuol fare valere la postergazione, provare che, al momento del finanziamento, fossero presenti gli indici di attenzione richiamati dall'art. 2467 c.c..

L'aspetto più peculiare della sentenza in analisi, cruciale anche per l'assunzione della decisione sul caso in esame, concerne il rapporto tra il principio della postergazione di cui all'art. 2467 c.c. e l'invalidità della delibera assemblare con cui i soci, a maggioranza, hanno deliberato l'azzeramento e la ricostituzione del capitale sociale. Infatti, dicono i giudici, un conto è agire per rilevare anomalie «all'iter di formazione e manifestazione della volontà dell'assemblea dei soci», altro è invocare la violazione del principio della postergazione dei finanziamenti soci “anomali”, la cui violazione non ha un impatto diretto sulla validità della delibera assembleare ma semmai rileva – per il creditore pregiudicato o per la società stessa - in sede di domanda risarcitoria, di azione di responsabilità degli amministratori o, qualora si versi in sede concorsuale, di declaratoria d inefficacia del rimborso.

Osservazioni

Resta sullo sfondo delle argomentazioni dei giudici, seppur rilevante nel caso in esame, l'ulteriore questione dibattuta circa l'operatività della postergazione durante la vita della società o solo nel contesto della liquidazione o della crisi d'impresa.

Al riguardo, in dottrina si sono scontrate una tesi cd. processualistica (cfr. G. Terranova, Commento sub. Art. 2467, in Società di capitali: commentario, a cura di G. Niccolini. A. Stagno d'Alcontres, Jovene, 2004) che interpreta l'art. 2467 c.c. come una norma applicabile solo in sede di esecuzione collettiva o individuale sul patrimonio della società, e una tesi cd. sostanzialistica che invece considera applicabile la postergazione anche durante societate, giungendo a inquadrare la postergazione come una condizione sospensiva dell'esigibilità del credito, avverabile solo nel caso in cui le condizioni patrimoniali e finanziarie della società siano tali da rendere astrattamente possibile il soddisfacimento di tutti i creditori terzi (cfr. A. Balp, commento all'art 2467 c.c., in Commentario alla riforma delle società (diretto da P. Marchetti, L. A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari). Questa seconda tesi ha trovato un recentissimo riscontro giurisprudenziale in sede di legittimità, ove è stato enunciato il principio secondo cui la postergazione «opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma» (Cass. Civ. Sez. I, 15 maggio 2019, n. 12994, in questo portale, con nota di Romano, La natura «sostanziale» del regime della postergazione dei finanziamenti soci). Tesi, questa ultima, che se condotta a estreme conseguenze comporterebbe l'impossibilità di effettuare la compensazione legale del credito da finanziamento con il controcredito della società da sottoscrizione delle nuove azioni, fino a che, quanto meno, la società non sia tornata in una situazione di equilibrio patrimoniale, mancando il credito del socio del requisito dell'esigibilità.

Conclusioni

Tale ultima osservazione relativa alla supposta impossibilità di effettuare una compensazione legale tra il socio e la società, seppur non oggetto delle argomentazioni attoree (e pertanto di analisi specifiche dei giudici), è, nei fatti, avversata dal Tribunale bolognese che si muove, probabilmente giustamente, in termini di coerenza sistematica (in questo senso, in dottrina, cfr. M. Prestipino, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti soci, in Quaderni di Giur. comm., Giuffrè, 2015).

Infatti, se è vero che la compensazione tra il credito del socio da finanziamento e il suo debito da versamento alla società del prezzo di sottoscrizione delle nuove azioni è un modo di estinzione dell'obbligazione, è altrettanto vero che tale modalità soddisfattiva comporta la trasformazione di un finanziamento in conferimento, con una capitalizzazione del passivo a beneficio anche dei creditori terzi, che così vedrebbero soddisfatto un debito sociale senza un esborso di cassa, con relativa crescita del patrimonio netto. Il tutto, rendendo, forse, dubbia la possibilità di invocare in radice l'art. 2467 c.c. in tali fattispecie: con la compensazione, infatti, il socio – seppur, per così dire, solo in seconda battuta – supporterebbe la società in crisi con un apporto di equity (seppur non di cassa), evitandole un esborso di liquidità e rafforzandone il netto patrimoniale.

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